Qualità dell’architettura e bellezza della città

UCTAT Newsletter n.66 – aprile 2024

di Elena Mussinelli

Si è concluso lo scorso 21 marzo il Ciclo di incontri su “Il buon governo e la bellezza della città”, organizzato dal Gruppo di ricerca ENVI.Reg. Osservatorio sulla Rigenerazione ambientale del Dipartimento ABC del Politecnico di Milano, in collaborazione con la nostra Associazione UCTat.

In coerenza con la formula adottata per tutti gli incontri, aperta e dialogante, anche la Tavola rotonda conclusiva è stata occasione di scambi e interlocuzioni vivaci e stimolanti, che mi suggeriscono alcune riflessioni sui principali temi emersi dal dibattito.

In primis, la necessità di oltrepassare i limiti di approcci progettuali sempre più specializzati e settoriali, necessari ma non sufficienti a garantire la qualità formale e tecnica degli esiti, siano questi opere di architettura o più estesi interventi di rigenerazione urbana. Occorre recuperare un respiro più ampio nella lettura della città e dell’ambiente, alimentato da un approccio intellettualmente critico in grado di intrecciare molteplici riferimenti, dall’arte (le arti) alla sociologia, alla psicologia e alle scienze della percezione, calandosi nella dimensione concreta – anche molto politica – del reale. Un approccio volto a proiettare ogni azione tecnica dentro una visione artistica, culturale e sociale connotata da “profondità intellettuale”. Tutto l’opposto degli specialismi, ma anche del genericismo multitasking, tutto orizzontale e superficiale, che connotano oggi il dibattito pubblico sui temi della città, dentro ai social media e, purtroppo, anche in molti ambiti del confronto scientifico.

L’osservazione più ricorrente negli scambi intercorsi durante questo Ciclo di Incontri è stata forse proprio quella relativa all’assenza di un vero dibattito, in un appiattimento conformistico al pensiero mainstream, dove l’uso di parole come sostenibilità, rigenerazione, equità sociale, biodiversità, innovazione tecnologica piuttosto che digitale è sufficiente ad ammantare di legittimità qualsiasi narrazione sulle magnifiche sorti di città e territori sempre più smart, resilient, inclusive…, anche quando ci si trova di fronte a interventi palesemente insensati. La testimonianza portata da Daniele Fanzini con riferimento al progetto di “ammodernamento” della Strada Statale 45 della Valle Trebbia (https://urbancuratortat.org/la-partecipazione-per-finta) ne è un esempio paradigmatico: un’opera costosissima (oltre 230 milioni di euro), sostanzialmente non necessaria, che finirà col deturpare paesaggi e luoghi di grande valore, nonostante la strenua difesa della comunità locale. Il tutto dentro al meccanismo deterministico inarrestabile della programmazione delle opere pubbliche (CIPE, Ministero dei Trasporti, ANAS, decreto “sblocca cantieri”, procedimento VIA/VAS del Ministero dell’Ambiente…), per il quale alla fine – alla faccia del Do Not Significant Harm, dei criteri ESG (Environmental, Social, Governance), dei 17 Sustainable Development Goals (SDGs), delle procedure per la partecipazione e di tutti gli altri strumenti che dovrebbero garantire della qualità e della sostenibilità di questo tipo di interventi, basta una mano di vernice verde sul viadotto a risolvere ogni criticità: dal green-washing al green-painting

Un’ultima riflessione riguarda proprio la questione ambientale, che verrà posta al centro della prossima edizione di questo ciclo di incontri. Per sottolineare la superficialità e l’inadeguatezza delle modalità con le quali viene affrontato un aspetto oggi fondamentale nello sviluppo di qualsiasi progettualità architettonica, urbana e territoriale. Non si può non rilevare, infatti, come mai come ora decisori istituzionali, progettisti e operatori privati siano dotati di un ricchissimo insieme di strumenti utile a supportare e orientare scelte e modalità di inserimento delle opere nel contesto (VAS, VIA, certificazioni, Criteri Ambientali Minimi, Digital Twin, ecc.). Tutta la programmazione comunitaria, nazionale e locale ha messo al centro la questione climatico-ambientale, per la cui “risoluzione” sono stati definiti precisi obiettivi, e scadenze per il loro raggiungimento.

Uno scenario molto articolato, anche conteso e discusso in molti suoi aspetti, che mi pare però non tenere sufficientemente in conto una dimensione ineludibile della sostenibilità, ovvero quella temporale. L’accelerazione determinata dall’innovazione tecnologia e digitale ha incrementato notevolmente il potenziale di “disposizione tecnica” dell’uomo sulla natura e sull’ambiente. L’azione antropica ha determinato, e continua a determinare, trasformazioni rapide e permanenti degli habitat, trasformazioni la cui reversibilità, se e quando possibile, richiede investimenti cospicui e tempi lunghissimi.

La bellezza e la qualità ambientale della natura e del paesaggio sono infatti connesse a equilibri ecosistemici e culturali che, soprattutto in contesti quali quelli europeo e italiano, si sono determinati entro dinamiche temporali lente, sedimentandosi lungo cicli plurisecolari, in un indissolubile intreccio tra dinamiche bio-ecologiche e fattori antropologici. Tutto il contrario delle architetture e dei paesaggi “a pronto effetto” e degli interventi “tattici” che abbiamo visto realizzarsi in questi ultimi anni, nei quali un appeal in linea con il più aggiornato lifestyle globale sostituisce una bellezza derivante dalla lentezza dei processi naturali e di progressivo consolidamento delle identità culturali locali.

Sono bastate poche decine di anni per devastare il ricchissimo patrimonio culturale e ambientale che abbiamo ereditato dal passato, in un trend omologante che rischia di portare le città e i territori europei verso l’indistinta urbanizzazione che connota le realtà insediative di molte altre metropoli internazionali. Difficile pensare che, senza una drastica inversione di rotta, nell’arco breve di 20-30 anni (Fit to 2050, recitano i programmi comunitari…), si possa giungere a qualche risultato significativo.

Milano gode oggi dei benefici ambientali generati dalla presenza di alberature, giardini e parchi urbani realizzati prevalentemente tra la fine dell’Ottocento e la seconda metà del 900: grandi boulevard quali quelli di corso Sempione, Corso Indipendenza o XXII Marzo, e parchi come il Sempione (quasi 400.000 mq), il Lambro (900.000 mq) o il Forlanini (oltre 500.000 mq). Da allora lo sviluppo urbano ha continuato a determinare il consumo di cospicue quantità di suolo libero o agricolo, mentre non una delle grandi aree industriali dismesse degli anni 80 e 90 è stata oggetto di una riconversione in chiave propriamente ambientale ed ecosistemica, come è accaduto invece in altre realtà europee.

La longevità degli alberi varia a seconda delle specie e delle condizioni ambientali e, in un contesto favorevole, tigli, farnie e querce possono vivere 100, 200, 500 anni, e anche di più. Ma tutti gli alberi hanno un loro ciclo di vita e richiedono qualche decina d’anni per il loro accrescimento fino a raggiungere quella maturità che consente loro di erogare i benefici ambientali che tutti ormai conoscono: ombreggiamento, stoccaggio di C02, drenaggio idrico, incremento della biodiversità e, non da ultimo, caratterizzazione dei luoghi e del paesaggio urbano. Ciò che può fare anche un singolo albero maturo piantato in terra profonda non può essere fatto da cento alberi giovani, men che meno se piantati sulla soletta di un centro commerciale…. Ogni volta che un albero maturo muore, per ragioni fisiologiche, per le pressioni di un ambiente fortemente antropizzato e sfavorevole alla sua crescita, per l’impatto di eventi climatici estremi (come accaduto drammaticamente lo scorso luglio) o, peggio, perché intenzionalmente tagliato in quanto “interferente” con lo sviluppo urbano (dal Parco Bassini, al glicine di piazzale Baiamonti, agli alberi della ex caserma Montello, al bosco di via Falck…), sono necessari decenni perché un nuovo impianto torni a generare i benefici di quello perduto. Sempre ammesso che il ripristino avvenga….

Cosa lascerà la nostra generazione a quelle future senza i lungimiranti interventi del passato?

Si tratta solo di spunti, certamente non conclusivi di un dibattito che è stato ricco e articolato, ma utili anche nella prospettiva di un rilancio di questa iniziativa, già programmato per il periodo settembre-dicembre 2024, nell’ambito dell’offerta di Formazione Continua del Politecnico di Milano, e che metterà al centro proprio il rapporto tra buon governo, bellezza e qualità ambientale della città. Con l’auspicio di un crescente coinvolgimento del pubblico e soprattutto dei progettisti e dei ricercatori più giovani, il cui approccio ai temi del progetto urbano e architettonico potrà indubbiamente svolgere un ruolo importante per il futuro – e la bellezza – delle nostre città.

Piazza Croce Rossa, arch. Aldo Rossi
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