UCTAT Newsletter n.27 – ottobre 2020
di Paolo Debiaggi
La qualità dello spazio pubblico urbano è profondamente correlata al grado di civiltà di una società in un dato momento storico. Nell’indagare tale assunto mi soffermerò non tanto sul grado di civiltà dimostrata sul lato dell’utenza urbana, il cittadino, bensì sul sistema che governa le decisioni e l’attuazione delle dinamiche urbane. È mia convinzione, infatti, che il cittadino vada educato nel suo comportamento verso la cosa pubblica e, nello specifico, attraverso il buon esempio che deriva dalla capacità di chi go- verna di produrre qualità nello spazio pubblico collettivo. Capacità che si esprime nella costruzione di spazi pubblici in grado di stimolare il cittadino a identificarsi in quei luoghi e a rispettarli.
Sviluppo alcune considerazioni e individuo una serie di elementi in grado di aiutarci a valutare il livello attuale di efficacia del sistema e dei processi che dovrebbero governare la produzione dello spazio pubblico urbano. Prima di tutto, definiamo quali modalità e strumenti chi amministra la città, si trova oggi a poter disporre per incidere sulla produzione o rinnovamento dello spazio pubblico. Individuerei due categorie:
1) Intervento diretto
2) Intervento indiretto (o delegato)
Intervento diretto
Intendo la selezione diretta da parte dell’amministrazione pubblica del luogo, del tipo di intervento e sua attuazione, a cui dare priorità in base alla valutazione della capacità di quell’intervento, attraverso la sua realizzazione, di generare qualità urbana e diffonderla in maniera virtuosa al tessuto circostante, in termini non solo fisici ma anche socio-economici (Esempio Place Garibaldi a Nizza o, sempre a Nizza, Place Massena e la spina di giardini pubblici).
Ho individuato tre semplici chiavi di lettura che possono servirci per valutare il grado di efficacia e efficienza che dimostra oggi in Italia questo tipo di intervento.
a) la capacità di ascolto e decisione condivisa delle scelte da parte di chi amministra (buona politica);
b) la capacità di spesa sia in termini quantitativi (disponibilità di risorse pubbliche) che qualitativi (come si spende ovvero gli strumenti di controllo e gestione della spesa);
c) la capacità tecnico-amministrativa di controllo e gestione dell’intervento in fase realizzativa e poi manutentiva.
Purtroppo, converrete, ognuno dei tre aspetti selezionati presenta forti criticità in termini di trasparenza, efficienza ed efficacia nel nostro sistema amministrativo pubblico attuale. Criticità note oramai da tempo, direi qual- che decennio, a cui sembra proprio non si riesca a porre rimedio. Scarsa rappresentatività della politica, crisi della finanza pubblica, sovrapproduzione normativa rivolta a contrastare corruttela e illegalità nei processi e insieme controllo minuzioso della spesa, attraverso revisione costante del Codice degli Appalti, scarsa qualificazione delle funzioni tecniche amministrative,.., insomma, tanti argomenti in grado di generare interi dibattiti, ma che tutti insieme generano i risultati che osserviamo e lamentiamo, pochissimi interventi di produzione e rinnovo dello spazio pubblico urbano, quei pochi realizzati con spesa e tempi di attuazione fuori controllo, spesso nemmeno compresi e condivisi dai cittadini, con esito complessivo deludente. Morale: l’utente cittadino è il primo a non riconoscersi in tale pro- getto di spazio collettivo, non se ne identifica e finirà per non rispettarlo. Degrado rapido e assicurato a cui la mancanza di risorse e capacità di gestione e manutenzione da parte pubblica ne determina già in partenza il destino.
Intervento indiretto o delegato
Questa è la modalità che il pragmatismo meneghino ha scelto in particolare di seguire, in epoca relativamente recente, proprio per superare i limiti e le difficoltà dell’intervento diretto appena descritto caratterizzante l’intero sistema italiano. Intervento pubblico indiretto attraverso delega al privato, modalità non solo utilizzata nella produzione dello spazio pubblico ma an- che in altri settori socio-economici (pensiamo ad esempio alla sanità e al sistema socio-assistenziale in genere lombardo). Si tratta di una modalità particolarmente utilizzata nella recente esperienza milanese di produzione di spazio pubblico, con delega al privato attraverso contratto/convenzione: io ti consento di sviluppare il tuo business immobiliare in cambio tu attui e realizzi, per mio conto, un intervento in grado di incrementare o migliorare la dotazione urbana di spazio pubblico collettivo.
Esaminiamo ora anche questa modalità attraverso le chiavi di lettura usate in precedenza:
a) la capacità di ascolto e decisione condivisa delle scelte da parte di chi amministra (buona politica);
nell’intervento diretto la capacità di ascolto deriva da un rapporto stretto con i cittadini, dalla capacità di essere sul territorio a valutare i bisogni e le necessità. In questo caso, ci si sposta nella capacità di selezionare le proposte ricevute dai privati, decidere quali siano quelle più meritevoli di sostegno e supporto. Credo di poter dire che il tema della trasparenza del processo decisionale sia ancor più delicato e rilevante nel permettere a tutti i cittadini di valutare il significato delle scelte e delle strategie di produzione della città e dello spazio collettivo. Nell’intervento diretto la programmazione di interventi viene stabilita dal Programma triennale delle opere pubbliche, documento programmatico sottoposto ad approvazione del consiglio comunale, mentre, in questo caso, la definizione degli interventi viene rimandata alla governance urbanistica di Piano e alla sua contrattazione con il privato. Le scelte dovrebbero riferirsi ad una bussola pubblicamente condivisa che le indirizzi e legittimi nell’interesse comune. L’impostazione neo liberista che ha generato il Piano di Go- verno del Territorio in salsa lombarda ritengo necessiti anche in questo senso di un doveroso tagliando, strategie, programma, priorità, costi/benefici pubblici sono assenti o appena accennati. Tutto viene rimandato a Piani attuativi e progetti speciali la cui verifica di coerenza risulta molto arduo dimostrare.
b) la capacità di spesa;
il tema potrebbe sembrare irrilevante, l’intervento lo realizza il privato e quindi lo paga lui, ovviamente non è così. Si tratta sempre di risorse pubbliche che il privato spende al posto nostro a compensazione (parziale) di un beneficio che ottiene in forma di concessione per la trasformazione a fini speculativi dello spazio urbano. Come le si indirizza e si decide di utilizzare è altrettanto importante che nel caso dell’intervento diretto. Trasparenza e partecipazione nella loro definizione dovrebbe essere certificata e garantita.
c) la capacità tecnico-amministrativa di controllo e gestione dell’intervento in fase realizzativa e poi manutentiva;
la formula della realizzazione da parte del privato dello spazio pubblico a scomputo degli oneri di urbanizzazione dovuti, si è spesso rivelata una fregatura per l’interesse collettivo, sia nell’esito quantitativo che qualitativo. La negoziazione pubblico-privato di cosa e come costruire spazi e servizi pubblici si è sempre dimostrata carente nel suo esito in termini di benefici collettivi. Spesso, una volta realizzati, pur di non averne in carico la manutenzione, pulizia e controllo, l’amministrazione pubblica ne rimanda sine die la presa in carico e questi spazi rimangono di nessuno.
I grandi progetti di sviluppo urbano milanese a cui abbiamo recentemente assistito, sono stati in grado di produrre, accanto all’interesse privato, un’adeguata risposta in termini di qualità e identità dello spazio collettivo? Mi è capitato di leggere recentemente un post fb dell’attuale assessore al governo del territorio di Milano. In un clima già elettorale, decantava le prospettive di riqualificazione che la realizzazione della futura sede di A2A in piazza Trento, ai margini dello scalo di Porta Romana, genererà nell’intorno urbano. Suggerisce di non concentrare troppo l’attenzione sulla tipologia del nuovo imponente edificio a grattacielo, ma di concentrarsi sul beneficio che questo investimento potrà generare in termini di rigenerazione dell’area, suggerendo come centrali i temi di connessione tra i due bordi dello scalo. Viene citato come esempio virtuoso lo sviluppo di Porta Nuova, in cui, a suo dire, gli aspetti più significativi siano stati quelli relativi allo spazio pubblico, in particolare la realizzazione della piazza Gae Aulenti e la BAM-la biblioteca degli alberi.
Bene, l’esempio mi sembra assolutamente calzante. Penso che questo sia proprio l’atteggiamento e l’impostazione di governo della trasformazione dello spazio pubblico che andrebbe rivisto in profondità.
Primo. Il paesaggio urbano non è forse lo spazio pubblico principale della città? La decisione di sposare la tipologia dell’edificio a torre come regola di ogni nuovo intervento è stata decisa da chi? In funzione di cosa? Personalmente la trovo una deriva pericolosa, contro la natura stessa dei caratteri con cui la città di Milano si è costruita nel dopoguerra, la derivazione di un’idea provinciale di becero internazionalismo di cui il progetto Mind/Cascina Merlata ne è per me l’iconica rappresentazione. Sovrapporre, una quinta desolante di torri al fondale naturale dell’arco alpino, mi sembra una scelta scriteriata, irreversibile e irresponsabile.
Secondo. Piazza Gae Aulenti, di piazza ha solo il nome, tutto il resto non è una piazza. Quantomeno non secondo i canoni della nostra tradizione di formazione della città. Si tratta di uno spazio strumentale e di complemento all’interesse privato, un suolo artificiale a copertura di parcheggi e infrastrutture viarie, la sua funzione di tessuto connettivo e sociale mi sembra arduo da sostenere.
Terzo. L’area verde chiamata la Biblioteca degli Alberi di Milano, in questo caso il termine inappropriato è “di Milano”, se per Milano si intende della città di Milano. No, questo spazio non è di Milano, non è pubblico. Ne viene consentito l’accesso a tutti, ma viene affittato a pagamento da una società privata per organizzare eventi, spiagge estive con ombrelloni, insomma, un non senso che dovrebbe essere riconsiderato profondamente o quanto- meno codificato in maniera chiara, condivisa e replicabile.