UCTAT Newsletter n.81 – settembre 2025
di Luca Marescotti
Che cos’è l’urbanistica? Ottima domanda direbbe IA.
“È la perseveranza, non il talento innato, che rende l’educazione un’avventura etica. Nel criticare con dolcezza, ma anche con severità, la scuola di Barbiana di don Milani, Pasolini metteva in guardia dal rischio di ridurre la scuola a un egualitarismo che cancella le differenze, che appiattisce tutto in nome di una falsa democrazia. Ma, soprattutto, metteva in guardia dal rischio di ritenere che la cultura non esiga impegno, costanza, studio, applicazione. Una buona scuola se vuole davvero essere inclusiva deve favorire questa cultura senza trascurare il ritmo singolare dell’apprendimento, senza, cioè, tagliare fuori chi corre più piano.”[1]
Ho preso nota degli spunti che dovevano introdurmi al tema, un tema da trattare velocemente, con un piglio per così dire giornalistico, salvo quella garanzia ultima di disporre di tutto il tempo necessario. Intanto, però, se non ho frainteso, c’è un confronto non facile con Qu’est-ce que la littérature?. Nel proseguire lungo quella traccia lasciata come esca, mi pare che devo mettere in discussione il rapporto tra l’urbanista e i suoi cittadini, come peraltro la stessa copertina dell’edizione italiana sottolineava nel sottotitolo: Lo scrittore e i suoi lettori.
Associazioni di idee mi portano immediatamente a quanto scriveva mezzo secolo fa Marcel Cornu sulla conquista di Parigi[2]. Cornu, se non ricordo male, voleva attirare l’attenzione su due pluralità di soggetti, tutti coloro che in vario modo dirigevano l’urbanistica (gli urbanizzatori) e quelli che invece la subivano (gli urbanizzati), un allarme, qualcuno scriverebbe oggi un warning, per stare all’erta e arginare il rischio di questo subire passivo. Certamente la situazione francese era assai diversa da quella italiana, sempre così approssimativa e casereccia, in contrasto con quell’organizzazione amministrativa assai più strutturata e forte. Il titolo allora e il sottotitolo diviene Che cos’è l’urbanistica? L’urbanista e i suoi urbanizzati.
Intanto, però, le connessioni tra i pensieri, così strane che non saprei dire il perché, mi fanno tornare in mente quell’avvertimento scritto un tempo sui tram milanesi accanto al posto di guida: Non disturbare il manovratore. Già, perché mai gli urbanizzati non dovrebbero disturbare gli urbanizzatori? Un controsenso.
Nel 1979 volevo mettere assieme una serie possibile di atti che influivano sull’organizzazione del territorio ponendo però l’accento su due elementi che rendevano la specificità disciplinare, cioè marcando una netta separazione tra il piano urbanistico e l’atto urbanistico, o in altre parole suggerendo che l’urbanistica avesse bisogno di una coerenza con una molteplicità di azioni, ma che fosse anche possibile usare quelle azioni senza il piano per incidere sul divenire della città:
“L’organizzazione delle attività umane sul territorio costituisce il dominio dell’urbanistica. Ogni azione tendente a modificare l’aspetto del territorio in senso quantitativo e qualitativo, mutando per esempio la distribuzione della popolazione e delle strutture produttive, è un atto urbanistico; quotidianamente se ne sperimentano gli effetti, usufruendo dei vantaggi di situazioni privilegiate per la vicinanza di attrezzature sociali, per la facilità di collegamenti o per la bellezza del sito, o sopportando i disagi della segregazione e di condizioni abitative insalubri.”[3]
Nella revisione di quel testo fatta quasi trent’anni dopo ne mantenevo la sostanza precisando però:
“L’urbanistica è l’insieme degli atti di pianificazione e di programmazione delle trasformazioni territoriali. Ogni azione tendente a modificare l’organizzazione del territorio, sia mutando la distribuzione della popolazione e delle strutture produttive e delle infrastrutture di servizio, sia alterando le relazioni tra esse, è un atto urbanistico. (…) La pianificazione e la programmazione di queste azioni e il loro attuarsi nel tempo è urbanistica. (…) Così la pianificazione di tutti quegli atti urbanistici diviene urbanistica, facendo attenzione che non tutti gli atti urbanistici rientrano o possono rientrare nella sfera disciplinare dell’urbanistica e che l’urbanistica non si sostanzia, né può sostanziarsi solo attraverso piani.”[4]
A distanza di anni dalla deregulation e dall’estremismo liberistico di Milton Friedman e dei Chicago Boys è giunto il momento di mettere sul tavolo le carte, con regole ben chiare: dunque, è ora che si ricominci a parlare di urbanistica. Anche se non avevamo mai smesso. Noi. Tutto da capo, ricominciando a spiegare l’alfabeto.
Troppo? Un vasto programma?
Sembrerebbe proprio così, guardando da una duplice prospettiva, quella del sistema dell’istruzione in generale e quella in particolare dell’istruzione universitaria.
Nell’ultimo rapporto Ocse sullo stato dell’istruzione risulta non solo il debole impegno che lo stato italiano mette nell’istruzione e soprattutto in quella superiore e nella ricerca, ma anche per la situazione sociale in cui il 37% della popolazione con un’età compresa tra 25 e 64 anni risulta carente nelle competenze necessarie al mercato del lavoro e deficitario nella comprensione di discorsi e testi “normali”. Inoltre, in Italia nella fascia di età tra 25 e 34 anni solo il 32% è laureato mentre nei paesi Ocse la media (la media, si legga bene) è il 48%.[5] Questa situazione se messa a confronto con la produzione industriale italiana che è seconda nell’Unione Europea dopo la Germania e che ha tra i suoi punti forza l’ingegneria meccanica, la componentistica automotive e i prodotti farmaceutici, settori tutti fortemente caratterizzati dalla qualità tecnologica[6]. Siamo una potenza industriale ma non investiamo a sufficienza nell’istruzione, come se fossimo incapaci di comprendere il senso del futuro.
Lo stesso accade nel nostro mondo, piccolo quanto si vuole, dell’urbanistica che per l’appunto è una disciplina che per definizione lavora sul futuro. Per fornire linee guida alla costruzione della città futura, per rispondere alle necessità dei suoi cittadini e della sua amministrazione. E lo fa indicando possibili soluzioni, aiutando a immaginare come sarà la città ma anche guidandone tecnicamente le regole. Definire lo spazio per la qualità dei servizi, delle case e delle strade, nel pensare all’organizzazione delle attività umane sul territorio, nel riflettere sulla forma degli spazi e sulle relazioni tra i volumi. Abbandonare questo programma significa poter eliminare le opposizioni e magari concentrarsi quasi esclusivamente sulla ricchezza della città, intendo giocando sulla rendita differenziale, accentuando gli squilibri sociali. Senza considerare l’entità del danno collaterale che riduce il capitale sociale e la quantità e qualità delle capacità e professionalità individuali da riversare nella ricchezza sociale.
In un profondo discorso stimolato dal libro di Alberto Clementi Alla conquista della modernità Pier Carlo Palermo fornisce una serie di possibili declinazioni della disciplina “che dovrebbe presentare caratteri specifici”, senza svelare se li ha poi, mantenendo comunque due caratteristiche: si presenta con valenze multidisciplinari e raramente viene attuata tanto che “se così fosse, dovremmo riconoscere la sostanziale irrilevanza della disciplina rispetto alle intenzioni originarie”:
«Urbanistica? Necessaria e irrilevante. Il dilemma è noto e non ammette una soluzione semplice. L’urbanistica è un’istituzione, una forma di sapere, una pratica (o meglio, una famiglia di istituzioni, saperi e pratiche) che dovrebbe presentare caratteri specifici, cioè disporre di quadri concettuali, regole e strumenti peculiari, ma mette in gioco anche una vasta rete di relazioni con un complesso di fenomeni e meccanismi di varia natura – sociale, culturale, politica, ambientale, economica, istituzionale, amministrativa…»[7]
Purtroppo la multidisciplinarietà che accompagna l’urbanistica, fatto però che è tipico di tutte le discipline per quanto ben definiti siano i loro confini disciplinari, porta una certa confusione fino a deformarsi e a perdere quei suoi caratteri specifici. Ecco che allora potrebbero prevalere “la dimensione sociale, antropica e mediale” e “la vita delle persone” e “i comportamenti umani” per essere urbanisti dimenticando o mettendo in secondo o terzo piano la definizione degli spazi, tanto che giuristi, geografi sociologi all’improvviso scoprono di essere loro i veri urbanisti. Mentre l’urbanistica consiste proprio nella definizione degli spazi privati e pubblici pensati anzi progettati assieme all’architettura, disegnati dall’architettura. Edifici e infrastrutture nascono in risposta alle esigenze sociali e sono prima di tutto volumi e spazi. Quelle tradotte in questi. Ci sono tanti, infiniti modi, per rispondere a questa costruzione come si dimostra in ciascuna città, così diverse l’una dall’altra, ma così avvertibile nell’accoglienza e nella bellezza, tanto da spingere taluni a stilare graduatorie, anche se qualche volta beffarde o inutili. Almeno finché quell’omologazione del tecnicismo del verticalismo, che non è certo una questione di risparmio del suolo, non prenda il sopravvento.
Serve riaprire un discorso interrotto, e l’unica strada è l’istruzione.
Cambiamo la domando da “che cosa è l’urbanistica?” a “che cosa fa un urbanista?”. Una volta mi definivo eretico perché spiegavo ancora l’importanza del piano urbanistico, ma ora appena scritta questa frase, mi fermo e così di getto chiedo a AI: che cosa è l’urbanistica e quale è il processo di pianificazione? Per chiarire la mia domanda cito il processo di progettazione dell’architettura e le risposte di AI (Chatgpt) sono immediate e senza dubbio alcuno.
Che cosa è l’urbanistica? [lm]
[AI] L’urbanistica è la disciplina che studia, pianifica e regola l’organizzazione e lo sviluppo degli spazi abitati dall’uomo, in particolare delle città e dei territori connessi.
In altre parole, si occupa di progettare la disposizione di strade, piazze, quartieri, aree verdi, zone residenziali, industriali e commerciali, di coordinare le esigenze della collettività (abitare, lavorare, muoversi, svagarsi) con la tutela dell’ambiente e del paesaggio, di regolare l’uso del suolo attraverso strumenti come i piani regolatori o i piani urbanistici comunali, che stabiliscono cosa può essere costruito e in che modo e di integrare aspetti sociali, economici, ambientali e architettonici per migliorare la qualità della vita nelle città.
In sintesi: l’urbanistica è la “scienza e arte” di organizzare lo spazio urbano affinché sia funzionale, bello, sicuro e sostenibile.
L’architetto progetta un edificio con un schema di progettazione che va dal progetto di massima all’esecutivo e l’urbanista come procede? [lm]
[AI] In architettura c’è una sequenza abbastanza chiara – progetto di massima, definitivo, esecutivo – che porta dalla prima idea alla realizzazione dell’edificio.
In urbanistica, il percorso è simile ma su una scala diversa (dal quartiere alla città intera). Anche qui si parte da fasi concettuali e si arriva a strumenti molto concreti. – Analisi preliminare, Linee guida / Piano strategico, Piano urbanistico generale, Piani attuativi o di dettaglio (es. Piani particolareggiati, Piani di lottizzazione, Piani di recupero), Progetti esecutivi urbanistici.[8]
Per concludere: l’urbanistica è un processo lento, forse, ma necessario e chiaro nelle sue fasi dal preliminare al piano e all’attuazione.
Non resta che prendere atto che da qui bisogna ripartire, magari facendo capire che nell’urbanistica la tecnica è solo una parte e che più importante è saper sviluppare le idee che guideranno il piano, attraverso quegli schemi concettuali che l’urbanista disegna prima del piano. Questo appartiene al preliminare e questo è il momento chiave in cui si spiega come si procederà. Qui serve saper comunicare per ascoltare le prime osservazioni e per procedere con il sostegno pubblico. Da qui scaturisce anche la necessità per cui a scuola si deve insegnare non solo a saper vedere l’urbanistica, ma anche a immaginare l’urbanistica, a saper disegnare il piano, a spiegare il piano prima del piano ai cittadini e alla politica.
Bisognerebbe ripartire, per fare un esempio, dagli schizzi con cui Campos Venuti spiegava le sue idee o dagli schemi urbani e di inquadramenti morfologici di Daniel Zarza per il preliminare di Madrid.
[1]Massimo Recalcati, “Se la scuola non è tutta da buttare”, La Repubblica, 15 settembre 2025, pp. 1, 22.
[2]Marcel Cornu, La conquête de Paris, Mercure de France, Parigi, 1972.
[3]Luca Marescotti, Urbanistica. Saggio critico, testimonianze, documenti, Edizioni Accademia, Milano, 1979, p.55.
[4]Luca Marescotti, Urbanistica. Fondamenti e teoria, Maggioli, Sant’Arcangelo di Romagna, 2008, p.70.
[5]OCSE (2025), Education at a glance 2025: OECD indicators, OCSE, Paris, 2025.
[6]Philipp Heimberger, “Miti da sfatare sull’economia italiana”, Il Mulino Rivista di cultura e politica, 24 ottobre 2022.
[7]Pier Carlo Palermo, “Urbanistica? Necessaria e irrilevante. Commento al libro di Alberto Clementi”, Città Bene Comune, Casa della Cultura, 14 settembre 2023.
[8]Per curiosità: sostanzialmente non cambia nulla rivolgendo la domanda in inglese.
