Ristrutturazione o nuova costruzione?

UCTAT Newsletter n.76 – marzo 2025

di Angelo Rabuffetti

La maggioranza delle opinioni percepite al di fuori delle sedi istituzionali, per strada o all’interno delle associazioni, in campo urbanistico a Milano, in particolare su quanto sta succedendo, sono sconcertanti. Più frequentemente ci si domanda perché la Magistratura è entrata a gamba tesa nell’operato dell’Assessorato alla Rigenerazione e nell’Assessorato alla casa e perché ha inquisito i tecnici e la Commissione del Paesaggio e non gli Assessori e il Sindaco che, nella catena autorizzativa, sono i primi responsabili.

Ma soprattutto, entrando più a fondo nel tema, che ci si domanda che differenza c’è tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione ai fini autorizzativi?

Le risposte non le troviamo negli articoli dei giornali o in televisione perché questi sono troppo impegnati a celebrare il processo mediatico fuori dalle aule istituzionali, a cercare la corruzione e la concussione e non, invece, a spiegare nel dettaglio la confusione in cui si è infilata l’Amministrazione Comunale e quali sono le vie d’uscita migliori. Facciamo un po’ di chiarezza e partiamo dalla normativa.

Il concetto e la definizione di ristrutturazione edilizia, fino a circa l’anno 2000, era assai chiaro e inequivocabile: “è essenziale mantenere la stessa sagoma di costruzione, la stessa destinazione d’uso e la stessa volumetria già costruita, fatto salvo nuovi “volumi tecnici” quali scale, vani ascensori, recupero sottotetti, autorimesse e poco altro a servizio dell’esistente. È ammessa la verifica e messa in sicurezza delle parti strutturali e portanti, l’ottimizzazione dei consumi in termini di Kilowatt per mq mediante impermeabilizzazioni, coibentazioni, isolamenti e componenti meccaniche adeguate quali serramenti a taglio termico, impianti di riscaldamento e raffrescamento a basso consumo, coperture intelligenti e possibilità di cambio del colore e materiali di facciata meglio performanti”.

Da questa definizione sono nate una serie numerosa di normative sia locali che nazionali che hanno ridefinito e annacquato il concetto di ristrutturazione edilizia fino al famoso “Decreto del Fare” (DL 69/2013 convertito in legge Nazionale 98/2013) che ha alleggerito a dismisura la definizione di ristrutturazione edilizia ammettendo che la demolizione con ricostruzione,con cambio di sagoma, addirittura con cambio di destinazione d’uso, viabilità di vicinato e altro ancora, venga “considerata come ristrutturazione edilizia la totale o parziale demolizione e ricostruzione che porti alla realizzazione, all’interno del medesimo lotto di intervento, di organismi edilizi che presentino sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche, funzionali e tipologiche anche integralmente differenti da quelli originari, purché rispettino le procedure abilitative e il vincolo volumetrico previsti dalla legislazione regionale o dagli strumenti urbanistici comunali”. Così è possibile aumentare la volumetria esistente e cambiare la destinazione d’uso mediante la semplice presentazione di una Segnalazione certificata di inizio attività (Scia) per ristrutturazione e non la istituzionale classica licenza edilizia che comporta più tempo per l’iter di analisi e più onerosa.

Di più: è ammesso l’utilizzo di volumetria posta anche distante dal lotto oggetto dell’intervento purché questa volumetria venga abbattuta e il terreno risultante destinato ad altri scopi quali per esempio la formazione di verde e giardino.

Un tempo era facile per un “non addetto ai lavori” intendere la differenza tra ristrutturazione e nuova costruzione, è più difficile oggi anche dagli “addetti ai lavori”. Nessuno ha mai sollevato il dubbio, solo un Comitato spontaneo di cittadini residenti in Piazza Aspromonte ha fatto un esposto ufficiale alla Procura della Repubblica perché si sono visti spuntare un palazzo enorme costruito all’interno del cortile del proprio condominio e, da quel momento, la Procura ha cominciato le indagini e si è inserita prepotentemente nel dibattito.

Per porre rimedio e mettere la classica “pezza” alcuni hanno pensato alla Legge ”Salva Milano”, valevole, cosa di non poco conto, su tutto il territorio nazionale, che avrebbe previsto che “per l’edificazione di nuovi immobili su singoli lotti e per la sostituzione edilizia attraverso demolizione e ricostruzione con volumi e altezze maggiori di quelli consentiti dalla legge urbanistica del 1942 e degli edifici preesistenti e circostanti, i piani attuativi comunali, (fino a ora necessari per la demolizione e la ricostruzione con sagome e volumetrie differenti), non sarebbero più obbligatori, se gli interventi edilizi sono realizzati in “ambiti edificati e urbanizzati”.

A tal proposito, cosa ne pensano le Associazioni di categoria?

L’Associazione nazionale costruttori edili ha sottolineato che “dopo lunghi mesi di trattative prevale la linea dell’interpretazione autentica. Quella venuta fuori alla fine è la soluzione migliore”.  Ognuno di noi può liberamente interpretare il significato di interpretazione autentica visto che sono numerose le diverse interpretazioni autentiche. Tuttavia, ANCE ha evidenziato e ammesso che serve un riordino della materia da attuarsi con una nuova legge sulla rigenerazione urbana e, più in generale sulla pianificazione territoriale al passo con i tempi e le situazioni.

Al contrario, l’Istituto nazionale di urbanistica (INU), per bocca del Presidente Michele Talia, ha affermato che la legge “Salva Milano” determina “confusione e incertezza normativa, nonché effetti dannosi e potenzialmente irreversibili nel governo pubblico della rigenerazione urbana nel nostro Paese. Ampliare ulteriormente il concetto di ristrutturazione edilizia, come fa il testo in questione, al fine di sottrarla alla verifica per legge dell’obbligo del ricorso alla strumentazione urbanistica attuativa, comporta un’ulteriore contrazione del potere di indirizzo e di discussione delle comunità urbane sui cambiamenti della città. Con il deprecabile effetto di mantenere in capo alle Amministrazioni locali un semplice controllo burocratico sugli interventi edilizi e di favorire un ricorso crescente a titoli abilitativi sempre più semplificati e autocertificati”.

Le Legge urbanistica del 1942, seppur valida e innovativa, per i tempi in cui è entrata in vigore, si avvia a compiere 84 anni suonati. Anch’io penso sia giunto il momento di rivederla nel suo globale insieme rendendo decadute ed eliminate tutte le Leggi oggi in vigore, e che debba necessariamente tenere nel dovuto conto il contenimento del consumo di suolo, la rigenerazione della città esistente, nuovi parametri e indici urbanistici adeguati ai tempi e la cura e l’attenzione minuziosa all’ambiente.

Ma una legge di questa portata così importante per la convivenza di tutti i cittadini italiani non può essere formulata da una sola persona, seppur autorevole, o in maniera veloce, come uscita dal cappello di un prestigiatore che fa comparire all’improvviso conigli e colombi, ma deve essere sentita e sponsorizzata da una volontà politica aperta e condivisa da una larga platea sia di operatori interessati addetti ai lavori che di semplici appassionati della materia.

Intanto occorre attendere di conoscere il giudizio condizionante che sarà emesso da parte della Magistratura.

Cortili, via Brembo.
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