UCTAT Newsletter n.77 – aprile 2025
di Annamaria Sereni
Le scelte che i giovani devono affrontare per la scuola superiore e l’università spesso appaiono come decisioni irrevocabili, destinate a plasmare il loro futuro. Questa pressione arriva quando la maturità personale non è ancora piena: il diritto di voto, per dire, si conquista solo più tardi. Quanto è realistico chiedere a quindicenni o diciassettenni di avere una visione chiara del proprio percorso professionale?
Già negli anni ’50 lo psicologo Donald Super aveva sottolineato che la carriera è un processo in divenire, articolato in fasi di crescita, esplorazione, stabilizzazione, mantenimento e declino, e non una scelta una tantum. Introducendo il concetto di maturità vocazionale, Super invitava a vedere la professione come un cammino flessibile. Sebbene la sua teoria abbia ricevuto critiche per eccessiva linearità e limiti culturali, il suo fulcro – l’importanza di sapersi adattare ai cambiamenti – è oggi più valido che mai.
Negli ultimi anni ho vissuto in prima persona il tema dell’orientamento, prima come studentessa di liceo chiamata a supportare i ragazzi delle scuole medie, poi come tutor in progetti PNRR promossi dal Politecnico di Milano, insieme a miei colleghi del dipartimento ABC, per gli studenti delle superiori in procinto di scegliere l’università. Queste iniziative non si limitano a illustrare piani di studio o sbocchi professionali: adottano metodologie di apprendimento attivo, laboratori pratici e incontri con esperti, con l’obiettivo di far emergere competenze trasversali e inclinazioni personali.
Il mio coinvolgimento in entrambi i tipi di attività che ho seguito nasce forse da un forte senso di appartenenza alla mia scuola (superiore prima e università poi) e dal desiderio di restituire ciò che ho ricevuto. Ma è stato anche uno specchio: osservando le reazioni dei ragazzi ho ripensato al mio percorso e ho compreso quanto ogni scelta, anche quella che può sembrare “sbagliata”, contribuisca alla crescita.
Ho notato differenze nette tra le fasce d’età. Con i ragazzi delle medie il dialogo è spesso mediato dai genitori: sono loro a fare domande, a cercare garanzie, quasi intimoriti per il passaggio all’adolescenza dei propri figli, mentre i giovani appaiono più timidi, quasi spaventati dall’idea di proiettarsi nel futuro. Nelle scuole superiori la mediazione genitoriale ovviamente sparisce, anche se a volte si va a sostituire con la figura della loro insegnante che aiuta a generare l’input per un possibile confronto. È come se, anche a 17 anni, la paura di sbagliare o di non avere la “risposta giusta” impedisse di esprimersi liberamente.
Questa esperienza mi ha insegnato che orientare significa prima di tutto creare uno spazio di ascolto, dove domande e dubbi non siano visti come segnali di debolezza ma come tappe di un naturale percorso di scoperta. Significa mostrare che cambiare idea non è un fallimento, ma un passo naturale nell’evoluzione personale.
Anche la struttura dei progetti PNRR riflette questa filosofia: più che trasferire nozioni, si punta a far vivere esperienze che aiutino a comprendere il legame tra studio e mondo reale attraverso attività che non forniscano mere nozioni ma stimolino invece l’utilizzo di qualità e conoscenze coerenti con un possibile corso di studi. L’orientamento efficace non è lezione frontale, ma condivisione di storie, errori e successi, in un contesto partecipativo.
Il momento della scelta rimane cruciale, ma non deve essere visto come un bivio da cui non si può tornare indietro. Io stessa ho fatto quella che si potrebbe definire una “scelta sbagliata” all’uscita dal liceo scientifico ma questo non mi ha impedito di ritrovare la via accademica più affine ai miei interessi, oltre che essere sicuramente stata un’importante lezione di crescita personale.
Per accompagnare davvero i giovani è fondamentale utilizzare metodologie partecipative che trasformino l’orientamento in esperienza diretta, sottolineare il valore della flessibilità e della possibilità di cambiare rotta. Solo così l’orientamento diventa un’opportunità di crescita, non un esame da superare, e i giovani possono imparare che ogni scelta è solo un inizio, non una gabbia.

