Splendori e miserie del design

UCTAT Newsletter n.16 – ottobre 2019

di Giorgio Bersano

Sullo sfondo di un mercato globale, e di un altrettanto globale economia finanziaria, il design sembra avere acquisito una valenza universale diventando variabile onnipresente di quel mondo artificiale che si contrappone alla natura di cui occulta la complessità attraverso il diffondersi di artefatti destinati al consumo. A causa della moltiplicazione degli interventi, il design ha modificato la propria identità allontanandosi da una tradizione che l’ha visto occuparsi soprattutto degli aspetti estetici della produzione seriale messa a punto dall’industria. Si è così proposto come social design, funzionale alla progettazione di pratiche critiche rispetto alla economia di mercato. Oppure ha incrociato la qualità della visione con gli effetti della illuminazione approdando alla immaterialità del lighting design, inteso come predisposizione di effetti a complemento della sistemazione di interni, scenografie, contesti urbani. Poi si è occupato di un sound design predisposto come modalità di manipolazione di un invisibile suono. E’ diventato Water Design, formula utilizzata fra 2011 e 2015 dal CERSAIE manifestazione romagnola poi denominata Bologna Design Week, ad indicare una serie di manifestazioni di aziende, showroom, punti vendita, coinvolti nella realizzazione o commercializzazione di oggetti derivanti da un progetto dotato di una qualche relazione con l’acqua. Infine si è trasformato in design del movimento, come ha fatto una agenzia immobiliare del nord-Italia in un inserto pubblicitario che ha fatto ricorso alla espressione per illustrare le differenti tipologie di scale utilizzate dalle soluzioni di interior degli ultimi centocinquant’anni. Ne è venuto a mancare l’inevitabile abbinamento con il sesso, come ha sottolineato una mostra promossa qualche anno presso la Triennale di Milano, orientata ad illustrare gli improbabili rapporti fra la configurazione degli oggetti d’uso e fantasmatiche rappresentazioni della sessualità di coppia. Più di recente i percorsi del design si sono incrociati con la produzione di gelati per dare luogo ad un organico connubio fra creatività di progetto e modalità operative della filiera agroalimentare.

Nella convinzione che progettazione, distribuzione e consumo di questo particolare tipo di cibo debbano essere affrontati attraverso una logica globale in cui il designer definisce la forma dell’elemento edibile, si occupa del packaging, progetta le soluzioni del cono o del banco frigo, per arrivare alla progettazione di prodotti e servizi funzionali alla valorizzazione di un intero territorio. Questo dimostra come l’ambito del design si sia di recente arricchito di una nuova area di intervento che ha permesso di applicare le metodologie di progetto al cibo, ai suoi rituali, ai suo attrezzi, ai suoi spazi.  Un fenomeno imputabile ad un generalizzato interesse della realtà contemporanea per l’alimentazione, lungo percorsi dove l’attenzione per i suoi prodotti si è trasformata in una tendenza diffusa che, a partire da avanzate strategie di marketing e dalla pervasiva sollecitazione dei media, ha travalicato gli aspetti commerciali fino a trasformarsi in condizione allargata e in estesa pratica di massa configurandosi come vera e propria gastromania. In questo generalizzarsi degli interessi per cibo e delle esperienze legate al gusto, non poteva mancare un design chiamato in causa a più livelli a modificare pratiche spontanee e procedure legate al piacere istintivo. Il food design è ormai diventato dimensione di frontiera e terreno di sperimentazione che ha investito settori di attività preesistenti: innanzitutto quello legato alla trasformazione dei materiali naturali in prodotto gastronomico, lungo le derive di un processo che ha termine con quella esperienza gustativa che rappresenta momento conclusivo e dimensione visibile di un percorso diventato elitario grazie alla presenza una figura sacrale, quella dello chef stellato, trasformato in celebre interprete e famoso testimonial. Senza dubbio una figura creativa anche se ben pochi tra gli chef si definiscono food designers, forse affine allo stilista del fashion perchè come questo arbitro degli orientamenti del gusto e delle sue tendenze; ma anche punta emergente di una piramide professionale che vede il proliferare, grazie al moltiplicarsi di percorsi di studio affidati a scuole, corsi, master, di una miriade crescente di aspiranti cuochi alla ricerca di una propria visibilità di mercato e di una altrettanto significativa affermazione economica. 

Accanto ad una dimensione artigianale, quella che impiega esperti della cucina all’opera nei diversi ristoranti e alberghi, il food design si occupa inoltre della meno visibile ma tuttavia non meno importante gastronomia industriale, preposta alla messa in circolo di prodotti di massa di cui è chiamata a definire ingredienti, sapori, consistenze, colori, dimensioni, caratteristiche visive. E di cui cura packaging utili alla conservazione e al trasporto di prodotti destinati a supermercati o a negozi specializzati, grazie al ricorso ad una comunicazione grafica funzionale alla riconoscibilità di cibi e bevande oltre che dei relativi brand. Alla tradizione del disegno industriale appartiene inoltre quel settore del food design che presiede al progetto degli attrezzi utilizzati per la costruzione del prodotto e del suo valore economico: dalle pentole ai forni fino ai robot e agli elettrodomestici, spaziando dai frullatori alle macchine per il caffè. Infine, appare ambito del food anche la progettazione degli spazi legati alla produzione, alla vendita, al consumo del cibo, in un’ottica interessata ad affermare la specificità di un interior capace di farsi carico degli aspetti che la cultura alimentare, i suoi consumi, le sue mitologie, impongono alla definizione di interni legati ai rituali gustativi. Anche in questo caso un universo complesso che comprende il progetto della cucina, inteso come luogo preposto alla preparazione degli alimenti, sia che questa appartenga all’ambito domestico o a strutture professionali come alberghi e ristoranti; oppure ad attrezzature della mobilità come navi, barche, aerei, treni, camper ed eventuali automobili. Ma è un’area, quella di un interior che si ricollega alle procedure del food design, che comprende anche il progetto degli ambienti legati al consumo gastronomico: non solo e non tanto i negozi, quanto soprattutto l’infinita serie di ristoranti, bar, enoteche, bistrot, che negli ultimi vent’anni hanno occupato i centri storici, le località di villeggiature, i borghi e le campagne dei territori appartenenti alle società evolute e da queste offerti al crescente pubblico del tempo libero.