UCTAT Newsletter n.18 – dicembre 2019
di Gianpiero Venturini
La relazione illustra i risultati di una ricerca promossa dall’associazione culturale New Generations della quale sono responsabile, che ha preso forma attraverso la pubblicazione intitolata “Atlas of emerging practicies. Being an architect in the 21st century”. Pensata per fornire strumenti a studenti, giovani architetti, neolaureati che hanno intenzione nell’immediato di iniziare un proprio percorso professionale, la pubblicazione si suddivide in 4 capitoli: organisation; business; media; projects. I risultati della ricerca descritti nella pubblicazione sono stati elaborati a partire da un questionario che ha coinvolto una selezione di circa cento pratiche emergenti provenienti da paesi che coprono la quasi totalità del territorio europeo. Al questionario hanno infatti risposto 95 studi di 22 paesi della comunità europea. I dati, analizzati e messi tra loro in relazione, sono stati rielaborati per produrre grafiche e diagrammi attraverso i quali raccontare la grande diversità delle pratiche emergenti connesse al progetto di architettura.
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Il primo capitolo, intitolato organizzazione, indaga il modo in cui le tecnologie digitali influenzano le forme organizzative della professione e come le stesse abbiano a loro volta attinenza con i modi in cui il progetto architettonico prende forma. Il secondo capitolo, dedicato al business, indaga il modo in cui i progetti promuovano nuovi rapporti con la committenza, a partire dalle modalità di finanziamento; il terzo capitolo, dedicato ai media, analizza il modo in cui gli strumenti di comunicazione digitali siano oggi in grado di produrre modalità innovative di svolgimento della pratica professionale, anche per quanto riguarda il coinvolgimento del pubblico; il quarto e ultimo capitolo racconta invece la grande varietà di progetti che la combinazione dei fattori citati può produrre.
Il capitolo dedicato al rapporto tra tecnologie digitali e professione classifica diverse pratiche emergenti, che vanno dall’uso dei social media piuttosto diffusi come Facebook, Instagram, Pinterest, Vimeo, YouTube per comunicare e diffondere i progetti, ai modi in cui altri strumenti come GoogleDrive, OneDrive, Skype, WhatsApp ecc. permettono di riorganizzare l’attività dello studio professionale e la pratica professionale vera e propria.

Su questo tema la ricerca ha promosso una serie di interviste rivolte a giovani professionisti per approfondire nello specifico come l’uso delle tecnologie digitali possa promuovere nuove modalità di coinvolgimento del pubblico nella direzione di rendere possibili forme di collaborazione basate sulla costruzione di reti estese di operatori, oppure di favorire forme ampie di partecipazione. Una prima intervista è stata rivolta a Parasite 2.0, ed ha per oggetto il progetto realizzato negli spazi del Museo MAXXI grazie al concorso YAP (Young Architect Program) che prevede la realizzazione di un allestimento temporaneo costruito per i mesi estivi come quinta scenografica per generare atmosfere cangianti dello spazio pubblico grazie all’uso di specifiche applicazioni digitali. In questo caso la tecnologia permette all’utente di modificare l’ambiente fisico progettato dagli architetti sovrapponendo ad esso nuovi scenari. Un secondo caso coinvolge lo studio NDVR, che ha lanciato la realizzazione di una piattaforma on line condivisa per l’acquisto di un immobile abbandonato nella città di Bruxelles al fine di evitarne la demolizione. L’immobile, infatti, rappresentava un bene comune per la comunità e per questo motivo lo studio in questione ha deciso di unirsi ad altri operatori per cercare risorse. In breve tempo, grazie ad un canale Facebook appositamente creato, è stata raccolta una somma sufficiente per acquistare l’immobile. Nonostante ciò, il Comune ha comunque deciso di procedere alla demolizione, ma l’esperienza ha comunque fatto scuola. Attualmente i membri dello studio NDVR stanno scalando il modello da loro stessi creato per la riattivazione di luoghi iconici per la città. Un terzo esempio interessante è il progetto del collettivo belga “Pool is Cool”, che prevede la promozione di una nuova piscina pubblica a Bruxelles. L’iniziativa utilizza strumenti digitali di comunicazione per sensibilizzare la cittadinanza e creare un nuovo bisogno, nel caso specifico il bisogno di una piscina all’aperto. Nonostante Bruxelles sia circondata dall’acqua, la città non dispone di impianti natatori fruibili nel periodo estivo. Il collettivo decide così, attraverso una serie di eventi temporanei, nonché di micro installazioni urbane, di sensibilizzare la cittadinanza. Un processo che potremmo definire ibrido, in quanto posto a cavallo tra il coinvolgimento diretto della popolazione nello spazio reale e quello indiretto che usa installazioni virtuali, al fine di sensibilizzazione la popolazione e chiamarla a raccolta attraverso una campagna molto intensa attraverso le reti sociali. Il progetto ha richiamato l’attenzione della politica che grazie all’azione di sensibilizzazione ha preso in carico l’iniziativa promossa dal Collettivo belga.
Queste iniziative dimostrano come i canali social offrano oggi grandi possibilità per aprire nuovi canali e nuove opportunità per il progetto di architettura anche nelle forme nuove della partecipazione.
