UCTAT Newsletter n.18 – dicembre 2019
di Daniele Fanzini
La pratica del progetto partecipato prende spunto da Jane Jacobs e altri attivisti come Jane Addams a Chicago e Charles Rowley a Manchester che preparano la strada all’advocacy planning, un termine coniato da Paul Davidof per indicare una teoria della pianificazione pluralistica e inclusiva nella quale i pianificatori cercano di rappresentare gli interessi di vari gruppi sociali.
A distanza di qualche decennio Jan Gehl, ispirandosi alla forma delle città storiche italiane (Siena in particolare), rivede i principi della pianificazione urbana nella direzione di una maggiore attenzione ai bisogni della persona. Quello che per altri architetti e urbanisti del periodo appariva come un disturbo al corretto funzionamento della città, Gehl lo interpreta come elemento di qualità urbana. Per Gehl il futuro delle città giace nel loro passato, quando le città erano disegnate attorno alle persone. Grazie a Gehl i metodi delle scienze sociali entrano a far parte della cassetta degli attrezzi di architetti e urbanisti creando una nuova relazione tra spazio fisico e vita sociale.
Il processo globale di deregolamentazione degli anni ’70 e ‘80 (in Gran Bretagna il Thatcherism), e la conseguente frammentazione sociale, crea un vuoto nell’esercizio dei diritti civili che riguarda anche le vicende urbane e che viene solo in parte colmato dall’attivismo locale. Il tema del coinvolgimento e della partecipazione dei cittadini si diffonde prima negli Stati Uniti grazie alla spinta propulsiva di Barack Obama, poi in Europa.
La Raccomandazione n. 19 (2001) del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulla “Partecipazione dei cittadini alla vita pubblica” incentiva la concreta apertura degli enti e delle istituzioni verso le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’ottica della trasparenza e del dialogo con il cittadino.
Con il termine “open government” (letteralmente “governo aperto”) si intende una modalità di esercizio del potere basato su modelli, strumenti e tecnologie che consentono alle amministrazioni di essere trasparenti nei confronti dei cittadini, anche al fine di garantire il diritto di esercitare il loro controllo. Grazie all’Agenda ONU 2030 tale diritto si lega al tema dello sviluppo sostenibile, rispetto al quale le città sono chiamate a diventare luoghi umani più inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili, riducendo l’impatto procapite negativo e adottando politiche integrate e piani tesi all’inclusione.
Nei vari passaggi il tema della partecipazione si specializza, arrivando a conoscere nuovi termini come Co-pianificazione, co-progettazione, sottolineando in questo modo la necessità di un agire comune etico, consapevole e responsabile, e con esso la necessità di garantire processi aperti e trasparenti. Nella logica della co-pianificazione e del co-design le amministrazioni mettono al centro la comunicazione e la collaborazione con i cittadini, si aprono al dialogo e al confronto partecipato, focalizzando i processi decisionali sulle effettive esigenze e necessità delle comunità locali.
Gli elementi fondamentali della logica open sono:
1 – l’apertura, ossia la capacità di enti e istituzioni pubbliche di ridefinire le proprie relazioni con i cittadini e le comunità locali nella direzione di favorire forme di interazione basate su bidirezionalità, condivisione e partecipazione ai processi decisionali dell’amministrazione;
2 – la trasparenza, ossia la libertà di accesso ai dati e alle informazioni amministrative da parte dei cittadini, nonché alla condivisione di documenti, saperi e conoscenze tra istituzioni e comunità locale.
3 – la Collaborazione, ossia il fatto che le istituzioni siano inserite all’interno di una rete collaborativa e partecipata da organizzazioni no-profit e comunità di cittadini.
A dicembre 2014 l’Istituto Nazionale di Urbanistica ha promosso la sottoscrizione della Carta della Partecipazione. Si è trattato dell’inizio di un percorso che punta al rafforzamento dello scambio tra enti pubblici e strutture associative per creare reti e diffondere la cultura di una partecipazione effettiva e “di qualità” .
I 10 punti della Carta si basano sinteticamente sui seguenti principi:
1 – Cooperazione: la cooperazione nasce dal conflitto. Compito della partecipazione è provare a superare le contrapposizioni per definire una direzione condivisa.
2 – Fiducia – i processi partecipativi mirano a generare relazioni di fiducia tra soggetti tra soggetti diversi e il reciproco rispetto degli impegni presi.
3 – Informazione – la comunicazione deve essere diffusa in modo semplice ed efficace.
4 – Inclusione – un processo partecipativo si basa sull’ascolto attivo delle persone per capire i reciproci punti di vista;
5 – Efficacia – i processi partecipativi devono prima di tutto chiarire l’oggetto della discussione e perché gli argomenti in discussione sono importanti per i partecipanti.
6 – Interazione costruttiva – un processo partecipativo è una interazione che si genera dal rapporto costruttivo tra le parti. La chiave del gioco è creare relazioni a somma positiva.
7 – Equità – chi gestisce un processo partecipativo deve dare a tutti la stessa possibilità di esprimersi.
8 – Armonia e riconciliazione – i processi partecipativi devono scardinare le posizioni di resistenza creando punti di connessione per costruire il rapporto collaborativo.
9 – Rendere conto – per generare fiducia è necessario spiegare il perché delle decisioni prese.
10 – Valutazione – l’esito dei processi partecipati deve essere misurato, anche al fine di rendere conto delle decisioni prese.
In questa logica è chiaro ed evidente come le tecnologie digitali possano costituire la chiave di volta per rendere tali processi più facilmente praticabili. Se fino a qualche tempo fa le metodologie del coinvolgimento partecipativo prevedevano approcci analogici, le più recenti forme si avvalgono di strumentazioni computerizzate e di rete. Le tecnologie digitali diventano in questo senso strumenti abilitanti, che possono rendere la partecipazione più effettiva, e ampiamente partecipata.
In giro per il mondo è possibile trovare un’ampia casistica di strumenti:
– piattaforme che usano il potere del progetto e dell’arte per accrescere il coinvolgimento dei cittadini http://welcometocup.org;
– think thank per supportare il pubblico nella definizione di politiche ambientali, economiche e sociali https://cles.org.uk/about/cles/;
– soluzioni per il community’s facility che utilizzano i social media come strumento progettuale https://ecosistemaurbano.com;
– strumenti per la pianificazione di comunità
https://www.canr.msu.edu/michigan_citizen_planner/.
Un’ampia casistica riguarda anche il tema del patrimonio culturale, che nel corso del 2018 è stato adottato come tema di rilevanza europea. Nel corso dell’anno europeo del Patrimonio culturale è stato quindi avviato un progetto organico dedicato ad esplorare le possibili generazioni di valore sociale ed economico prodotte dalla relazione tra digitale e patrimonio culturale materiale e immateriale. Tra gli obiettivi del programma vi era l’individuazione di pratiche e applicazioni utili a favorire la partecipazione attiva degli utenti nel loro rapporto con i beni culturali, secondo i principi della Digital Social Innovation.
Progetto Cultura 3.0 è u progetto ideato e promosso da DeRev Lab, reparto di ricerca e sviluppo dell’azienda DE Rev, i cui contenuti si ispirano agli studi del Professor Pier Luigi Sacco. DeRev crede fermamente nelle potenzialità del digitale come elemento di cambiamento sociale ed empowerment individuale e collettivo. In questa visione i social media e i canali digitali sono considerati parte essenziale della vita di relazione delle persone e le dinamiche di consumo. I social media e le piattaforme digitali determinano e insieme documentano piccoli cambiamenti di massa che producono il costante movimento della società in evoluzione. La connettività in real time spalmata su tutta la giornata offre un osservatorio privilegiato per intuire e studiare i trend emergenti e in seguito definire azioni progettuali mirate. Mentre, come abbiamo visto, esistono diversi strumenti per la partecipazione elettronica dei cittadini (digital engagement), non esistono ancora specifici strumenti digitali che consentano la partecipazione creativa della cittadinanza. La vera sfida per i futuri ambienti di co-design è consentire un processo di effettiva collaborazione progettuale per progetti di interesse pubblico. In altre parole vi è la necessità di strumenti e ambienti che abilitino ampie forme di coinvolgimento del pubblico, anche per quanto riguarda le attività creative.
In alcuni contesti (Germania, Francia, Paesi Bassi, ecc.) si sono sviluppate metodologie di massive co-design che utilizzando particolari soluzioni informatizzate in grado di facilitare la partecipazione pubblica anticipando problemi e permettendo l’interazione creativa tra esperti, pubblico e portatori a vario titolo di interesse. Queste tecnologie rappresentano una possibile soluzione per risolvere il problema evidenziato in precedenza: usare i dati come una risorsa per l’empowerment della comunità di cittadini. Il tema riguarda sia l’uso democratico dei dati come risorsa crere valore e significato (sense making), sia l’innovazione sociale che trasforma i dati in qualcosa che può essere compreso e utilizzato da più ampie comunità (data sensification). Sense making e data sensification rappresentano due importanti sfide future che uniscono il mondo delle tecnologie informatiche a quello della pianificazione e del progetto partecipato.