UCTAT Newsletter n.82 – ottobre 2025
di Massimo Venturi Ferriolo
Un orizzonte visivo gradevole permette di scorgere le relazioni della vita umana, individuandole e percependo la loro qualità in un quadro dalla buona visibilità etica ed estetica. Questa dimensione paesaggistica percettiva è stata recuperata dalla Convenzione europea del paesaggio, che è così risalita alla visione originaria dei rapporti tra le cose per ritrovare il significato dell’esistenza, riannodando i fili di una tradizione qualitativa dei luoghi, connessi al profondo significato della dimora: abito quindi sono.
La realtà vivente, abbracciabile con lo sguardo in tutto ciò che accade ed è avvenuto, forma l’orizzonte di tutte le storie, la narrazione di un paesaggio; un processo da cogliere fin dall’inizio, fin dal primo racconto, fin dal mito originario, da curare per il futuro della sua identità narrativa e per riconoscervi la qualità della vita dei suoi abitanti in ogni luogo, senza eccezione alcuna, indipendentemente dal giudizio estetico. La cura si sposta sulla qualità della dimora. L’etica riprende il suo primato sull’estetica, secondo l’antico precetto che il buono è bello. Il bello in sé, staccato dalla realtà vivente, è un’astrazione. La qualità e non la bellezza è essenziale in vista del successo delle azioni. Comprende i tre principi che animano il Preambolo della CEP: benessere, soddisfazione, identità; concetti che marciano insieme allo sviluppo dell’individuo e alla sua affermazione socio-culturale giornaliera. Questa è la vera bellezza di un paesaggio.
Queste considerazioni conducono alle relazioni di paesaggio e alla proposta di soluzioni in un ambito dove interagisce il rapporto, evidenziato da Bernard Lassus, tra substrato – supporto – apporto, a partire da un suolo originario su cui la società ha costruito un supporto, dove l’individuo deposita il contributo del suo vissuto con la domanda di qualità degli abitanti paesaggisti che hanno suggerito una specifica pratica di paesaggio. La qualità interessa concretamente ogni luogo come ambito totale dell’esistenza, con i peculiari caratteri etici ed estetici di una narrazione che va presa in considerazione per garantire il processo di paesaggio nella sua trasformazione, governandolo a partire dagli e con gli abitanti. Essi abitano un luogo, lo vestono e sanno cogliere la qualità della fattura del loro abito.
Abito dunque sono, posso indossare un abito di qualità e mantenere o migliorare le mie abitudini. È la mia aspirazione, il desiderio di soggiornare in una dimora di qualità – un fine legittimo. Vivere bene significa essere ben vestito; avere in loco un sarto raffinato. Non voler essere compensato da surrogati o ideali estetici. Aspirare a una quotidianità buona e bella, con la possibilità di riconoscere i propri luoghi, seguendo la loro trasformazione.
Non c’è qualità senza il coinvolgimento degli abitanti, che va progettato, consolidato con il riconoscimento della vita attiva. Mi riconosco e ho il mio ruolo in un luogo: un ruolo attribuito, che per i greci era la prima misura di comportamento, e il suo conflitto latente con il luogo era recitato nella tragedia perché fosse da monito per le comunità – un insegnamento a partecipare con equilibrio. La qualità si coglie con la percezione. Lo sguardo la comprende e ingloba una serie di azioni. La sua valutazione coinvolge tutti gli attori sociali in un dialogo vicendevole. La percezione non è la semplice osservazione di un orizzonte, ma la possibilità di cogliere la connessione dei diversi elementi vitali all’esistenza e d’individuare i segni dell’appartenenza: il loro riconoscimento. Percezione è la facoltà di ritrovare le relazioni per interpretare la realtà. Permette un’analisi dei luoghi e acquisisce informazioni sullo stato e i mutamenti dell’ambiente circostante di vita tramite i cinque sensi. Il corpo riconosce. L’abitante riconosce la sua appartenenza a un uno in se stesso distinto di parti eterogenee in divenire: partecipa a una costellazione concreta di elementi variegati visibili e celati che si muovono entro un quadro unitario e sono analizzabili individualmente nella loro unicità, con una propria essenza autonoma, e nel contempo nella loro appartenenza a una totalità dalle trame molteplici, decifrabili con lo sguardo attento del paesaggista informato.
L’ambiente vissuto, percepito e conosciuto, fonda l’esperienza contemporanea del paesaggio con la sua dimensione cognitiva composta dai dati oggettivi della percezione. La contemporaneità non è solo attualità, ma lo sguardo bivalente, orizzontale e verticale, che mostra allo stesso tempo la compresenza di diverse epoche in uno spazio visivo. È un dato certo della qualità, un «marchio» che si coglie connettendo, nella loro accessibilità, le relazioni tra temporalità e temporaneità. Una volta compresa la dimensione della percezione, apriamoci alla conseguente aspirazione alla qualità. Vedo, dunque, dove sono.
La vista oltrepassa il limite della barriera per scoprire i nuovi orizzonti della multiculturalità, impronta dei paesaggi futuri che accolgono lo spirito di altri luoghi. Molti orizzonti vengono da lontano. Ogni paesaggio cela, dunque, una verità profonda. Narra la rapida trasformazione del nostro mondo e la scomparsa delle dimensioni originarie dei luoghi: le misure dell’uomo. Queste misure hanno valore. Si conferma il fenomeno ampio, in superficie, e profondo, in verticalità, dell’abitare come un abito indossato: un radicamento, non una semplice occupazione di spazio. Il luogo appare circoscritto: una parte misurata dal valore attribuito entro un quadro non misurabile; un contenitore di valutazioni e giudizi non quantificabili in grandezza o espansione, in quantità, con misure precise e calcolabili, ma che rientrano nella sfera qualitativa d’eccellenza giudicata soggettivamente. Questa considerazione solleva il problema della misurabilità di un territorio percepito dalle popolazioni.
L’eccellenza del paesaggista dovrebbe cogliere queste realtà, gettando lo sguardo, quindi prevedendo l’azione dall’inizio alla fine per inserirsi nel processo di paesaggio. Il ruolo dell’anticipazione e della previsione è essenziale e i loro aspetti molteplici. Riconosciamo così i luoghi e le identità che emergono confrontandosi tra loro e con quella dell’osservatore. La volontà comune riconosce gli accadimenti e solidifica il quadro di vita alimentando la rappresentazione sociale. Non esiste quadro di vita senza accadimenti riconosciuti che formano un orizzonte di valori comuni. La qualità è riconosciuta con la percezione. Riconoscere significa curare un quadro di vita, regolare l’attività di una popolazione in un progetto spirituale ampio, comprensivo dell’operare, eseguito nello spazio e trasmesso nel tempo, oltrepassando la temporaneità dei suoi autori per introdursi nella temporalità, come un racconto nella narrazione. Questo processo richiede anticipazione e previsione con i loro molteplici aspetti: due eccellenze del paesaggista informato. Ogni paesaggio porta con sé un sapere percepibile individualmente e collettivamente, una visibilità che supera la rappresentazione sociale nella sua identità intrinseca, quindi rapportata con tutti gli elementi eterogenei, e negli sviluppi della sua evoluzione. La narrazione comporta così una lunga durata nello spazio e nel tempo per divenire essa stessa identità, identità narrativa, nel senso dello zoccolo duro dinanzi al tempo e alla trasformazione con tutti gli eventi che porta con sé: la promessa costante dell’anticipazione in una prospettiva temporale e non temporanea. Un progetto di qualità che dia modo alla sua temporaneità di entrare nella temporalità e renderla così accessibile alla percezione: un processo costante.
Per operare occorre comprendere la natura della costellazione concreta che costituisce realmente un paesaggio, le sue trame intessute di relazioni e in particolar modo di legami che uniscono gli abitanti al loro luogo sotto le forme dell’appartenenza: figure fragili da cogliere anche nella contestazione, nella non accettazione del quadro di vita come segno di malessere, esclusione, talvolta emarginazione. Si tratta di un’arte della tessitura che richiede l’utilizzo dell’ago e dei fili dai diversi e variegati colori.
Come operare? Come anticipare il tempo desiderato per una società migliore di paesaggio? La domanda chiede di sistemare il futuro. Potremo ripartire da un’etica con le sue norme di comportamento rivolte a mettere ogni cittadino nelle condizioni di contribuire alla qualità dei paesaggi: un’etica della responsabilità con condizioni e strumenti che possano assicurare la qualità. Quale migliore parola d’ordine per il futuro? La politica deve giocare il suo ruolo. Ha un nomos da compiere: un ruolo incisivo. Gli abitanti devono diventare paesaggisti informati, gli specialisti occuparsi più dei paesaggi che del paesaggio, entrare nei luoghi e cogliere le attese degli abitanti.
Potremo proporre e discutere, di conseguenza, le condizioni per un’esperienza dello sguardo senza perdere il suo fondamento etico, scoprendo le trame dei paesaggi. Esse prevedono cinque preposizioni per una pratica di paesaggio: visibilità, orizzonte del gusto e della qualità della vita; la temporalità, il fluire del tempo; temporaneità, la vita umana e la sua con-temporaneità con altre epoche, il racconto; accessibilità, la possibilità di entrare nella temporalità e temporaneità; narrazione, percorso contemporaneo dal passato al futuro come essenza di una pratica di paesaggio: un metodo rivolto ai luoghi dove s’interviene per conservarne il processo aprendolo al futuro. Un processo che elabora relazioni, rapporti di paesaggio tra i vari spazi da sistemare in vista di un quadro il più possibilmente unitario nella sua composizione di elementi eterogenei.
