Un segno di continuità

UCTAT Newsletter n.67 – maggio 2024

di Cesare Stevan

Il profilo accademico e professionale di Paolo Portoghesi è stato oggetto, in questi anni, di numerose analisi e riflessioni di grande interesse, soprattutto dove tendono a mettere in luce e sottolineare i contributi originali dati alla definizione dello spirito di un’epoca fondati su un approccio culturalmente aperto a recepire e interpretare il nuovo, senza aprioristiche esclusioni e senza, tuttavia, esimersi da un rigoroso esame critico delle conseguenze dei cambiamenti da fronteggiare e governare secondo una precisa strategia. Colleghi, più e meglio preparati sapranno offrire, nel tempo, contributi più consistenti nel merito.

 Mi piacerebbe qui di seguito riassumere quanto mi ha attratto di Paolo, da neo-laureato e, grazie a lui, giovane docente della facoltà milanese, a partire dal primo incontro e nella successiva stretta frequentazione. Innanzitutto il come la cultura propria di un raffinato intellettuale si inverasse in un insieme di comportamenti e in una gestualità capace di trasmettere un messaggio di fiducia sulla possibilità di affrontare con esiti positivi la molteplicità di eventi che punteggiavano una realtà caratterizzata da fortissime tensioni; la capacità inoltre di interpretare un ruolo istituzionalmente riconoscibile in una istituzione resa irriconoscibile da troppi anni di voluta trascuratezza. Non nego, infine, la simpatia che mi ispiravano sia i motivi del suo abbandono di Roma, sia della sua rapidissima ascesa al vertice della Facoltà. Immediata fu la scelta di essere, senza condizioni, dalla sua parte e di collaborare al successo del suo non facile mandato.

 Coglie, con grande sensibilità politica, i termini della situazione milanese e sceglie di porsi al di fuori dei conflitti di interessi giocati attorno alla Facoltà. Attese del Politecnico nelle sue componenti più retrive, cautelative e perentorie imposizioni ministeriali, aspettative e desiderata contrastanti di forze politiche, economiche e sociali, e di parte dello stesso ambiente professionale e dell’opinione di una città che non sembrava riservarle la tradizionale, calorosa accoglienza.  Sceglie di concentrarsi prioritariamente e pragmaticamente sulla definizione di un programma che si fondi sulle potenziali risorse, umane e materiali, disponibili nella città e nel suo territorio e sulle risorse inutilizzate di cui è ricco il Politecnico: studenti, giovani assistenti e docenti impegnati a promuovere l’opera di rinnovamento, fino ad includere la valorizzazione, allora poco praticata, del personale non docente. Gli esempi sono numerosi e mi esimono dal parlarne. Nomi di studiosi di chiara fam a come Franco Russoli ed Eugenio Battisti sono chiamati ad insegnare in Facoltà. Significativo è l’elenco dei docenti, rimossi a seguito della   sospensione dei membri del Consiglio di Facoltà, cui, sotto la sua presidenza, era stato conferito l’incarico di insegnamento. Nessun vincolo è posto a priori alla introduzione di nuovi contenuti e a forme Innovative della didattica in diretta connessione con la ricerca entro un verificabile quadro sperimentale.

Tra gli aspetti che, tuttavia, ho più apprezzato nel rapporto con Paolo è la naturalità con cui sapeva veicolare un messaggio/insegnamento fondamentale rivolto in particolare ai giovani docenti: la necessità di cambiare prioritariamente se stessi se si vuole operare un cambiamento, seppur piccolo, del mondo.  “Cambiare se stessi” per ottenere un cambiamento della Facoltà è l’imperativo del nuovo corso e Paolo non si sottrae ad esserne di esempio. La brillante presidenza della Biennale a Venezia e la realizzazione della Grande Moschea di Roma, trovano un felice antecedente nella esperienza milanese. A Milano Paolo Portoghesi si trasforma in una icona riconoscibile dallo sguardo che si proietta al futuro, fuori da schemi precostituiti ed angusti, come atto di libertà nel vivere la propria vita nella sua pienezza, ivi comprese le inevitabili contraddizioni. I motivi del fascino che esercita, tuttavia, in parte sfuggirebbero se ricercati solo negli scritti e nei progetti.  Il credito conquistato con l’opera di rilancio della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano va legato, a mio avviso, a due qualità su cui riflettere e che ho colto come un ulteriore, prezioso insegnamento: una gestualità misurata ed espressiva e il contributo immateriale ed evanescente della voce. Suadente, pacata, capace di facilitare la comprensione e la condivisione di concetti, proposte e posizioni negoziabili e dialettiche, di inibire affermazioni superficiali e banali e, infine, di rendere rapidamente attuabili, ove necessario, decisioni difficilmente contestabili.  Queste riflessioni, custodite con discrezione nel mio privato, trovo oggi giusto offrirle a una condivisione in occasione di un partecipato, affettuoso ricordo di un lungo e proficuo rapporto dal quale ho appreso, nel quotidiano, cio’ che mi sarebbe stato utilissimo, nel “allora ignotum”, futuro che mi attendeva.

A testimonianza di una ricerca di continuità (nelle finalità e nei modi) perseguita in un processo di lunga durata, si ascrive la dedica autografa sul retro di un disegno a colori di Villa Baldi. Il disegno, “consensualmente rubato”, come ricordano due carissimi amici andati in missione a Calcata, luogo magico e splendida rappresentazione della reverie di un ritrovato “Paradiso terrestre”, era il dono scelto da una comunità coesa che aveva reso possibile il realizzarsi di un progetto sicuramente ambizioso. All’inizio del nuovo secolo si chiudeva l’appassionante avventura da me vissuta alla presidenza della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Il dono allora gradito, mi è assai caro oggi, perché il pensiero di Paolo Portoghesi, ancora affettivamente partecipe a quella esperienza e ai suoi esiti, si incrocia con il riconoscimento, implicito nella scelta dei donatori, di aver impresso e trasmesso un SEGNO di CONTINUITA’. Il dono è ben visibile nel soggiorno della mia casa milanese

Cesare Stevan.
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