UCTAT Newsletter n.79 – GIUGNO 2025
di Alessandro Ubertazzi
Se, sotto il profilo organizzativo, una città può essere considerata come la realtà più idonea alla crescita della comunità umana, la sua componente fisica ne costituisce una sorta di scheletro che la rende possibile e addirittura la sostiene.
In tal senso, le strutture edilizie e, più in generale, le parti fisiche di questa realtà possono però riscontrare nel tempo un certa vulnerabilità ovvero un’ineluttabile inadeguatezza.
Talune città sono così l’evidente testimonianza di millenni di vita sociale, ne esprimono la storia e ne emanano il fascino, talune altre sono state invece spazzate via dalla suddetta inadeguatezza. Così è stato, ad esempio, per Roma che, a seguito dello scadimento morale caratteristico del cosiddetto “basso impero”, rischiò perfino di sparire.
Nel gioco perverso e spietato del potere esercitato dagli stati prepotenti, l’attacco esplicito alle città come aspetto più significativo della vitalità di un paese, è il punto di partenza per ogni sopruso: fiaccare la vita urbana attraverso la mortificazione dei suoi simboli, è un’azione che apre la via alla sottomissione di un’intera nazione.
Facevo queste riflessioni, fra me e me, stamattina solcando la città con la bicicletta con la quale mi sposto abitualmente.
In realtà, proprio Milano rivela oggi molto esplicitamente i sintomi di una irrefrenabile decadenza di quella comunità che, un tempo, era considerata esemplare al punto di meritare il titolo di “capitale morale” del nostro Paese.
Mi permetto, perciò, qui di seguito, di riferire a ruota libera alcune delle riflessioni che mi sono state indotte da questa lettura del contesto cittadino.
Cercando di evitare, zigzagando pericolosamente, le pietre molto sconnesse del pavé e le stesse rotaie del tram, mi sono detto, ad esempio «Ma è mai possibile che i responsabili dell’arredo urbano e della viabilità e perfino anche della Sovrintendenza non abbiano ancora capito che le vie di questa città che ospitano i tram (se proprio non esistono alternative intelligenti a questa tipologia di veicoli) devono prescindere dall’uso dei “pentagoni” in pietra?. Possibile che non abbiano ancora capito che un selciato in lastre di granito di quel genere era adatto in passato solo al traffico leggero delle carrozze?» (figg. 1-4).
Sottoposte al carico di veicoli pesanti (come gli attuali autobus o camions), le traversine in legno (alle quali esse sono fissate), si inarcano ed estromettono le soprastanti lastre di pietra dalla loro sede creando una pericolosissima discontinuità della superficie carrabile: tentare di aggiustare, giorno dopo giorno, questi dissesti è un’operazione inutile e, fra l’altro, davvero molto costosa.
Sostengo infatti da anni che i preziosi componenti in pietra di quelle pavimentazioni sono semmai da ricollocare negli spazi pedonali dei luoghi più emblematici della città. Raccomando comunque che, nel pavimentare o ripavimentare porzioni di città con lastricati occorre (e sottolineo il termine occorre) prevedere una selezione monovarietale del materiale litico, come era originariamente ovvio nella fornitura di pavimentazioni da parte delle cave di provenienza: porfiroide rosa di Cuasso al Monte, sienite della Balma di Andorno, granito rosa di Baveno, granito bianco di Montorfano o di San Fedelino, arenaria quarzosa della Cinque Terre, ecc. Per contro, la posa “arlecchino” di lastre oggi in uso è una orribile e fuorviante prassi che non rende giustizia alla preziosa opera delle maestranze che hanno lavorato per secoli nell’opera di pavimentazione della città come, ad esempio, la “Cooperativa di operai selciatori e posatori di Milano”.
Procedo con la mia bici e incappo in una serie di cosiddetti “graffiti” che ormai sconciano vastissime estensioni dei muri delle case della città.
Anche qui mi chiedo «E’ mai possibile che nessuno abbia ancora capito che è urgente mettere seriamente un freno alla criminale attività degli imbrattatori?» (fig. 5).
Se non vengono presi immediati e risoluti provvedimenti, la sistematica devastazione degli ambienti collettivi della nostra comunità non solo testimonia la miseria degli ideali estetici degli autori del degrado ma tende gradualmente a far ritenere accettabile e quasi ad accreditare l’idea che il peggio debba prevalere sul meglio, che lo sconcio sia ineluttabile, che non valga la pena di anelare a una città progressivamente migliore per tutti.
La conseguenza ultima del degrado sistematico degli ambienti pubblici autorizza e giustifica l’anarchia, autorizza progressivamente l’illegalità e sottrae autorevolezza alle Istituzioni che dovrebbero essere preposte alla difesa del patrimonio collettivo.
Fra me e me rifletto «Come si spiega che basta varcare il confine italiano verso la Svizzera, ad esempio, per non incappare mai in fenomeni simili?».
Vale la pena di sapere che, nella vicina Confederazione Elvetica, i contadini ricevono dallo Stato adeguati sostegni e sussidi economici alla loro attività, ancorché costosa. Essa, infatti, è ritenuta strettamente necessaria per mostrare al mondo quei “pascoli verdi” e quelle “mucche felici” che sono funzionali all’idea che in quel paese vale la pena di investire perché si tratta di un paese virtuoso. Tutto il contrario di quanto succede da noi ove il degrado genera una progressiva e inarrestabile percezione di insicurezza.
Al decadimento morale della nostra comunità hanno agito coscientemente gli agit-prop di afferenza cinese che negli anni del ’68 cominciarono a diffondere gratuitamente ai più giovani, agli studenti, l’eroina nell’evidente intento di fiaccare le difese naturali della società occidentale per poter affermare modelli culturali alternativi.
Abito nella cosiddetta “zona Tortona” e, perciò, sono particolarmente vicino ai luoghi della cosiddetta movida. Quando attraverso questa parte di città, mi chiedo «E’ mai possibile che non si riesca a disinnescare questo improbabile clima da paese dei balocchi? Perfino Pinocchio ha scoperto a sue spese quanto costa disconoscere un limite al dissennato divertimento!» (figg. 6-7).
Passo davanti alla vetrina di un noto antiquario amico e questo fatto mi induce a ricordare che, in tutte le grandi città che ho frequentato, esistono interessanti mercati che propongono oggetti di seconda mano provenienti da solai e cantine. Basta pensare ai vari Marchés aux puces di Parigi, al Rastro di Barcellona, al Mercado de bolsas a San Telmo di Buenos Aires o a Portobello di Londra.
Anche a Milano c’era un autentico emporio di quel genere, il cosiddetto “Mercatone dell’Antiquariato sul Naviglio Grande”: un tempo esso costituiva davvero una curiosa miniera di cose vecchie ma significative racimolate dai vide grenier (svuota solai): peccato che, in questo mercato, oggi dilaghino e quasi prevalgano bancarelle di bigiotteria e di generi fasulli, destinati a un improbabile pubblico di pseudo indossatrici, di sculettanti operatori di moda o di incalliti movidari che stanno radicalmente travisando quella feconda realtà che assicurava acquirenti ed esperti perfino dall’estero.
«Possibile che nessuno abbia capito che, così facendo, il sofisticato mondo dei collezionisti e degli intenditori diserteranno sempre più spesso quella istituzione alla quale è stata sottratta la sua iniziale identità?» (figg. 8-9).
Passo spesso, faticosamente con la mia bici, attraverso luoghi che, per molti, troppi anni, sono stati “interessati” dai cantieri per la realizzazione della Linea Blu della Metropolitana Milanese: «Cosa pensare, ad esempio, della sistemazione di piazza San Babila?». Milano la capitale mondiale del design non si merita certo lo scandalo di quella miserabile spianata frutto della mancanza di un progetto degno di questo nome (fig. 10).
Riflettendo sul degrado architettonico di Milano vorrei fare un’ulteriore riflessione sulla maleducazione che, giorno dopo giorno, divora questa antica città che pure, nel suo DNA, contiene i geni della virtuosa dominazione asburgica: «Ma è mai possibile che, soprattutto nei luoghi del terziario dove oggi giustamente si tende a limitare il fumo indoor, gli irriducibili viziosi si sentono liberi di gettare per la strada i mozziconi delle loro sigarette? (figg. 11-12). Per questi malfattori, lo spazio pubblico, così poco tutelato, se non è una res nullius, è comunque un vero e proprio portacenere. Oltre che sotto il profilo economico, però, quanto ci costa sotto quello estetico questa triviale pseudo libertà?».
Non ho ancora finito di riflettere su questo tipo di impunita villania che vengo sorpassato a destra da un monopattino sul quale sfrecciano, privi di casco, due giovinastri probabilmente non alieni a qualche altro tipo di fumata: «Dopo tante chiacchiere non mi risulta che le forze dell’ordine della nostra distratta Amministrazione abbiano cercato di arginare davvero simili insensatezze: i “ghisa” non ricevono evidentemente istruzioni su come dissuadere e sanzionare solennemente comportamenti così pericolosi e imbecilli!» (figg. 13-14).
Sempre a proposito di veicoli, procedo a rilento nel traffico e non posso non riscontrare quanti SUV con un solo passeggero contribuiscano a generare insopportabili code: «Molti ritengono, e quasi si compiacciono, pensando che si tratti di “traffico” (con il sottinteso che questo fenomeno caratterizzi una città “moderna”) ma io credo che si tratti invece di una vera e propria controproducente congestione, una reale costipazione!».Davanti agli asili, al mattino, il traffico si strozza per la presenza di mamme alla guida di SUV che sembrano dire alle altre: il mio è più grande del tuo! (fig. 15).
Siamo sicuri che tutto ciò sia normale?
Si potrebbe continuare ad elencare l’infinità di situazioni urbane anomale che ciascuno incontra più e più volte al giorno. «Possiamo perciò concludere che la nostra città sia sempre più fragile? Sempre più vulnerabile? Se non si provvede con determinazione in tempi celeri temo proprio di si!».
La città degradata genera disaffezione sociale: dato che la causa di tale degrado è imputabile praticamente solo alle istituzioni; «Come ci si può stupire se poi le persone chiamate al voto disertano le urne?».















Didascalie.
1.-4.
Masselli pericolosamente dissestati, degni di miglior uso altrove.
5.
Graffiti realizzati ad opera di impuniti delinquenti imbrattatori.
6.-7.
Immagini di movida.
8.-9.
Bancarelle di un autentico mercato delle pulci.
10.
Piazza San Babila a Milano: uno spazio urbano emblematico ma particolarmente mal progettato.
11.-12.
Lo spazio pubblico non è e non deve essere considerato come un portacenere.
13.-14.
Pericolosi comportamenti di cialtroni.
15.
Ingombranti SUV come status symbol di mamme che portano i figli all’asilo.
