Una generazione esagerata

UCTAT Newsletter n.60 – OTTOBRE 2023

di Matteo Gambaro

Con la morte di Andrea Branzi, avvenuta il 9 ottobre scorso, un altro protagonista del secondo Novecento ci ha lasciato. Ogni volta mi sembra incredibile che personaggi così noti e importanti nel mondo del progetto e della cultura architettonica possano sparire improvvisamente e non essere più presenti con opere, pubblicazioni o semplicemente pareri e prese di posizione.  La sensazione che percepisco è di incredulità di fronte alla prova che si sta esaurendo una generazione che per circostanze storiche, culturali, politiche ed economiche ha vissuto una stagione irripetibile, da protagonista assoluta nell’Italia degli anni Sessanta proiettata positivamente verso il futuro, tra Boom economico e Guerra Fredda.

Branzi si è laureato in architettura e formato a Firenze in un periodo in cui la città rinascimentale è stata la culla italiana di una vera e propria rivoluzione culturale dell’architettura.  È stato uno dei protagonisti indiscussi della stagione delle avanguardie radicali con lo studio Archizoom Associati, fondato con Gilberto Corretti, Paolo Deganello e Massimo Morozzi, elaborando contributi teorici, opere di architettura e soprattutto di design divenute vere e proprie icone del design italiano e internazionale.

Da diversi anni organizzo momenti di confronto e di presentazione di libri presso il Circolo dei Lettori di Novara, emanazione diretta di quello torinese, oggi diretta da Elena Lowenthal, invitando i principali protagonisti del mondo della cultura architettonica italiana.  Gli esiti di questi incontri sono diventati spesso libri, pubblicazioni, interviste o articoli su riviste. Anche Andrea Branzi era tra le serate programmate, poi, come spesso avviene, le circostanze hanno portato in altre direzioni rimandando l’invito al momento giusto, che non è più arrivato.

Non ho mai conosciuto Branzi di persona, anche se avevo programmato di incontrarlo e di presentare il suo libro autobiografico pubblicato nel 2014 da Baldini e Castoldi e intitolato “Una generazione esagerata. Dai radical italiani alla crisi della globalizzazione”. Un libro molto bello, di quelli che si leggono tutto d’un fiato, rimasto però ai margini dei dibattiti e delle recensioni critiche e passato inspiegabilmente quasi in sordina, che ripercorre con precisione e passione un’epoca storica che ha visto la nascita del movimento radical italiano. Una cavalcata incredibile di un gruppo di ragazzi neolaureati: composto, oltre che da Archizoom, da Superstudio fondato da Natalini, Toraldo di Francia, Magris, Frassinelli e Poli, dal Gruppo 9999, dagli Ufo, dagli Zziggurat,  da Gianni Pettena e Remo Buti nonché da altri raggruppamenti meno noti ma ugualmente impegnati, che daranno vita ad un’intensa produzione teorica e utopica con notevole influenza anche in ambito internazionale.

La cultura radicale italiana nasce come risposta al linguaggio modernista, ritenuto troppo razionale e rigoroso, refrattario alla creatività e all’espressione libera della cultura architettonica, e contemporaneamente lontano dalle ricerche e sperimentazioni rogersiane sulle preesistenze ambientali. I giovani architetti sono interessati soprattutto a rifondare la disciplina architettonica proponendo soluzioni volutamente esagerate e ironiche, ma preveggenti, “più morali che pratiche, del tutto diverse del moralismo possibilista dei razionalisti”.

L’architettura, e poi soprattutto il design, sono trasformati, come in un processo di ready made, in strumenti per la lettura critica della società consumistica; anche con il contributo importante e continuativo, per circa un decennio (1965-1975), delle riviste “In” di Ugo La Pietra e “Casabella” diretta da Alessandro Mendini.

Il movimento radical, e Branzi che fu tra i principali protagonisti, avevano intuito la crisi dell’architettura come strumento di regolazione e di ordine e di conseguenza la decadenza della città contemporanea. Precorrendo i tempi avevano capito che nell’epoca della globalizzazione progressiva “basata sull’anarchia mondiale del mercato, quelle esagerazioni [sarebbero] diventate realtà quotidiana e lo stato di disagio perenne il segno più vero della nostra epoca”. L’incredulità e il disagio che proviamo sempre più spesso di fronte alle trasformazioni delle città e agli episodi architettonici e urbani che ci colgono impreparati probabilmente sono proprio la complessità e la discontinuità a cui alludevano i radical.

Possiamo non essere d’accorso sul loro approccio culturale, ma non c’è dubbio che ha segnato, nel bene o nel male, pur nella brevità del movimento, la cultura architettonica italiana e internazionale ponendo istanze clamorosamente attuali. Come scrive lo stesso Branzi: “… il movimento fu da un parte l’ultima delle avanguardie storiche e dall’altra l’inizio di quella che potremmo chiamare l’epoca delle avanguardie permanenti…”. La nostra epoca è indubbiamente caratterizzata dalla crisi del progetto e dei suoi significati e la percezione diffusa è di vivere un momento di passaggio, un vuoto momentaneo tra due stagioni, una stagnazione che si trascina senza apparente via d’uscita in attesa di un cambiamento appunto epocale. Ma forse è semplicemente la storia che si ripete e si rinnova fino al nuovo necessario rinnovamento.

Archizoom Associati, No Stop City, Per una architettura non figurativa, 1970. Photo © Studio Branzi.
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