UCTAT Newsletter n.78 – maggio 2025
di Marino Ferrari
Mi capitò, decenni orsono, di presiedere la commissione edilizia del mio paesello. In quegli anni appariva tutto agli inizi, sia per l’Amministrazione comunale insediatasi la quale voleva impegnarsi nel rinnovamento mettendo ordine con il nuovo strumento urbanistico, che i giovani laureati, come me, con l’ambizione di cambiare il mondo. Mi laureai con una tesi di laurea che escludeva il “progetto”, come voleva allora una certa e significativa cultura accademica, estremamente critica proprio sugli approcci progettuali; progettare per la “professione” tradizionalmente intesa, si scontrava con il dibattito in atto, foriero di contraddizioni sociali e politiche anche dentro la Facoltà. Occorreva proporre e discutere un progetto che avesse tutti i “crismi “dell’opera architettonica sviscerandone le nature ideologiche, andare appunto all’origine dell’ideologia che li sottendeva. Guido Canella, laureandomi, si mostrò pienamente interessato e alquanto in accordo con la mia tesi. Le sue opere pubbliche mi apparivano viepiù espressione delle contraddizioni ideologiche.
Gli architetti progettano con ambizioni elevate e con una visione del mondo piuttosto illuminista. Peccato che la visione del mondo era allora, e oggi ancora con qualche strascico lo è sotto mentite spoglie, una visione fondamentalmente soggettiva e destinata di fatto, a racchiudersi nella stretta sfera individuale della professionale. Orbene, mi trovai a giudicare (termine impegnativo) con i componenti della Commissione, un progetto di Aldo Rossi. Proprio così, Aldo Rossi che a noi giovani veniva indicato come “maestro” dell’Architettura. Se ricordo, uno dei suoi progetti “residenziali” dopo la interessantissima esperienza di Monte Amiata con Aymonino. Opera oggetto di pellegrinaggi studenteschi. Confesso il mio imbarazzo. Ovviamente di fronte mi trovai i suoi collaboratori e fu interessante, per me, cercare di comprendere quel progetto inusuale ed in apparenza estraneo al contesto ed anche alla mia visione piuttosto ingenua dell’Architettura. Una soluzione progettuale per una abitazione collocata nel bosco che appariva eccessiva per la sua semplicità ed il suo rigore formale, difficile da “leggere” sia pure fortemente espressiva nei suoi contenuti culturali. Un aspetto che tradiva la mia curiosità fu la concezione della parte fondamentale dell’opera sospesa nel bosco. Per un momento mi passò nella mente il riferimento alla civiltà di Golasecca. Si sa che i contenuti culturali non si formalizzano così facilmente: occorre individuarli con uno sforzo intellettuale non indifferente. Già, perché in seguito, mi sono capacitato e positivamente come Aldo Rossi dimostrò una inestimabile propensione all’approccio culturale e storico dell’Architettura. Ciò che da tempo è scomparso unitamente dalla Architettura. Impegnativo, pensavo, perché da quel giudizio sarebbe scaturito inevitabilmente un giudizio per tutta la commissione ed in modo particolare per il presidente. Proposi una semplice “correzione”, ritenuta opportuna formalmente, e forsanche ingenua, una sorta di mediazione contestuale che mettesse noi tutti nelle condizioni di avvicinarci all’opera con maggiore convinzione; la commissione avrebbe dovuto mediare il progetto con una realtà semplice del nostro paese.
Ciò mi permetteva spontaneamente ed ambiziosamente di entrare nel progetto, di farne parte. Uno come me formatosi nelle complessità culturale ed ideologica della architettura e dell’urbanistica, in quei tempi rappresentata magistralmente da insegnati di grande valore, solo criticamente avrebbe potuto dialogare con una “architettura” vera. E, con modestia, penso anche di averne tratto un beneficio al punto di trattare la mia tesi di laurea, come annotato, non con un progetto (banale, mi sia concesso) ma proprio sulla complessità disciplinare della architettura e dell’urbanistica nelle loro implicazioni territoriali. Va da sé che mi trovai qualche tempo dopo sul luogo del progetto realizzato, in presenza di Aldo Rossi. Persona squisita e, inutile sottolinearlo, di intelligenza particolare, predisposta all’ascolto ed alla osservazione, capace di condividere sia le osservazioni che le critiche: indubbiamente persona colta. Imbarazzante per me. Ho avuto modo di frequentare altra persona di alto livello culturale sia pure con sfaccettature critiche differenti: Paolo Portoghesi. Ma al di là di queste comprensibili “narrazioni” ed anche compiacenti, interloquire con Aldo Rossi, a quei tempi, non era da tutti. Abbiamo trascorso una piena giornata parlando della realizzazione di quella opera da me “corretta”, e corretta in modo tale che Aldo Rossi tutto sommato, ne apprezzò la sua valorizzazione. Ne fui orgoglioso ovviamente. Ripensandoci e con una solenne autocritica, mi accorgo oggi di aver fatto una proposta credibile. Aver “racchiuso” quella Architettura (posi scoprii …loosiana) tra due” setti”, fu come predisporre l’opera nella sua integrità tra le mani, come si rappresentava negli affreschi, per offrirla, in tutta la sua sacralità. Se ben ricordo, fu un riferimento a Villa Steiner. Abbiamo disquisito sui materiali semplici utilizzati nella costruzione come l’intonaco e la lamiera di ferro con tutte le specifiche modalità di realizzazione; abbiamo anche disquisito sulla relazione tra il contesto e l’opera approfondendone gli approcci. Insomma, una vera lezione alla quale non potevo sottrarmi. Sottolineai la presenza nella mia famiglia di un capomastro e di un fabbro ferraio. Si è compiaciuto, chiedendomi particolari sulle loro attività. Non ci siamo ritrovati a pranzo, ce ne siamo scordati, sarebbe stato troppo per me, e non sarei stato in grado di dialogare a lungo con Lui. Qualche tempo dopo una carissima amica, Conservatrice di alcuni musei parigini, mi disse che negli Stati Uniti d’America assistette ad una lezione di Aldo Rossi, una delle lezioni che Rossi teneva sovente stupendosi oltretutto, per la diffusa partecipazione giovanile. Ed in quella lezione, Aldo Rossi propose tra gli esempi “di relazione contestuale”, una casa di abitazione che fu il mio primo progetto. Peccato non avere avuto, in seguito, l’occasione di discuterne con lui..
So ist es und so sollte es sein.

