UCTAT Newsletter n.20 – febbraio 2020
di Fabrizio Schiaffonati
Il problema di un razionale assetto istituzionale e operativo degli Enti territoriali è al centro del dibattito da oltre cinquant’anni, senza ancora una ragionevole soluzione. Uno dei tanti temi di un riformismo mancato che blocca il Paese. Negli anni Sessanta il PCI era propenso alla soppressione delle Province. La DC le difendeva a spada e tratta. Nel decennio successivo furono istituite le Regioni. Con l’auspicio del superamento di un centralismo burocratico inefficiente. Una stagione positiva presto messa in discussione da una diaspora legislativa e normativa, anche contraddittoria da regione a regione. Non infrequente il conflitto Stato-Regioni, con incertezza dello stesso diritto in particolare in materia urbanistica e ambientale. Una autonomia che non ha sanato gli squilibri tra Regioni, anzi li ha resi più eclatanti. Con casi in cui è esplosa la spesa pubblica. Sono emerse quindi diverse critiche sul ruolo dell’ente regionale, fino ad alcune richieste di revisione e anche di soppressione.
Rimane del tutto irrisolto il tema della Province. Tenerle o abolire? Come al solito la strada intrapresa è irta di contraddizioni. Non più organi elettivi e di fatto mai soppressi, ma deprivati dei loro originari compiti. Una struttura quindi che sembra sopravvivere solo per qualche ragione burocratica, nella impossibilità italiana di sopprimere qualsiasi ente. Una delle tante vicende del lunghissimo elenco degli enti inutili che rimangono in vita e sembra impossibile eliminare. Con quale logica e razionalità e a chi sono state affidate le loro originarie competenze? Nel frattempo la struttura viaria del Paese è in uno stato sempre più pietoso. Per non dire pericoloso. Un degrado di cui non si aveva memoria. Manutenzione un tempo compito delle Province.
Vi è poi la vicenda delle Aree Metropolitane. Ipotizzate dagli anni Ottanta con anche l’accorpamento dei piccoli Comuni, erano proposte con l’ambizione di dare un governo amministrativo alle grandi città e ai Comuni limitrofi. Un governo e una gestione territoriale non compatibile con la legge comunale esistente. Una decina di aree metropolitane rimasta poi solo sulla carta, evocate ma mai attuate. Fino alla legge Del Rio del 2014, che dopo tanti stop&go, ha varato un provvedimento confuso e contraddittorio. A detta di tutti, anche degli stessi estensori. Un nuovo Ente quindi che potremmo definire “questo sconosciuto”. Non elettivo, presieduto dallo stesso sindaco della città capoluogo, con competenze non ben definite. Certamente ora non in grado di produrre una pianificazione territoriale e urbanistica.
È questo uno dei principali problemi. L’assenza di un piano comprensoriale in grado di governare i problemi delle conurbazioni a cavallo dei confini di diversi comuni. Per superare l’autarchia delle singole amministrazioni. Un caso emblematico è il nord milanese, dove appena al di là del confine di Milano si addensano ad esempio ipermercati e centri commerciali d’ogni genere. Di fatto sfruttando i benefici di posizione della grande città ma al di fuori del suo territorio. L’urgenza quindi di un piano di governo del territorio sovracomunale, con le stesse cogenze. Un problema che nessuna legge regionale ha affrontato. Per una malintesa autonomia e delimitazione dei confini comunali risalenti a ben altri tempi. Un immobilismo che vanifica ogni ipotesi di organico sviluppo armonico del territorio. Determinando di fatto una anarchia urbanistica.
Non ultimo il tema del decentramento amministrativo urbano dei Comuni di grandi dimensioni: del ruolo cioè delle circoscrizioni, oggi a Milano dei nove Municipi. Una vicenda che risale agli anni Sessanta, che ha portato, dopo un decennio di dibattito e di rivendicazioni in tutte le città, al varo della Legge Gui nel 1969 con l’istituzione delle Circoscrizioni amministrative per i Comuni di media e grande dimensione. Allo scopo di riavvicinare i cittadini alla partecipazione e alla gestione della cosa pubblica.
Un tema che torna ad essere oggi di grande attualità per colmare il divario tra decisione pubblica e partecipazione della popolazione alle scelte. Una istanza continuamente registrabile nei pronunciamenti di gruppi, associazioni, cittadini che non trova un adeguato canale istituzionale. I 9 Municipi di Milano come configurati con il Regolamento del 2014, dal riaccorpamento delle precedenti 24 zone, non hanno capacità attrattiva e visibilità politica nel merito delle grandi scelte che li riguardano direttamente. In particolare in questo momento caratterizzato da un notevole mercato delle aree e da progetti su grandi aree dismesse. Una situazione quindi che vede venir meno una dialettica tra un sistema decisionale sempre più accentrato e le articolate istanze dei bisogni dei quartieri e delle aree periferiche. Questo corrisponde ai limitati poteri, per non dire nulli, che la recente regolamentazione ha affidato ai Consigli municipali.
Un Municipio oggi rappresenta una realtà urbana e sociale paragonabile a quella di una città di medie dimensioni, nell’ordine di più di 100.000 abitanti. Una dimensione, seppur consistente, che può consentire ancora la possibilità da parte di un cittadino di interfacciarsi con l’istituzione locale. Il Municipio, appunto, come è vissuto e sentito nelle piccole e medie città. Un problema quantitativo che fa scattare una possibile qualità del confronto politico e dell’identità sociale di una comunità. È necessario quindi partire da questa consapevolezza per ipotizzare un rilancio dei Municipi milanesi, affidando loro nuovi compiti, ma soprattutto identificandoli come centri di aggregazione e di riconoscimento della identità locale. Oggi i Municipi, nelle loro strutture anche di significativa dimensione, svolgono prevalentemente importanti servizi anagrafici e assistenziali. Ma sono dotati anche di biblioteche e di altri spazi, non riuscendo tuttavia ad avere un’adeguata attrattività sulla popolazione. Luoghi poco frequentati, con qualche eventuale positiva iniziativa promossa sporadicamente.
Il recente Piano di Governo del Territorio ha introdotto in termini puramente identificativi 88 NIL, nuclei di identità locale. Un censimento anche utile per segnalare le tante micro identità storiche di una città. Ma nulla è stato detto per le 9 realtà municipali, di un loro rilancio e di un loro ruolo in questo momento in cui la città sta ridisegnando molti dei propri assetti futuri. Ecco allora la necessità di un Piano strategico, di azione e di comunicazione, per investire i Municipi di nuovi significati e identità. Se ne possono indicare alcuni, tra i principali.
1) Riqualificare i loro edifici, anche con azioni di restyling e di impatto percettivo adeguato a un edificio nodale per la comunità locale, rendendoli visibili anche per la loro significativa immagine. Come è sempre stato per il principale edificio pubblico nella città storica. Ogni situazione è diversa dall’altra, per caratteristiche dell’intorno e dell’immobile. Un progetto micro-urbano e architettonico dovrebbe essere in grado di definire una nuova qualità di questa centralità civica.
2) Prospettare un programma di decentramento, di attività culturali, mostre, festival, convegni, ecc., di rilevanza per tutta la città ed oltre, perché no, anche nazionale e internazionale?
3) Strutturare lo spazio del Municipio come un centro civico in grado di accogliere persone, gruppi, associazioni, in un arco temporale esteso anche alle ore serali. Luoghi quindi di socialità, di accoglienza, di confronto politico, di cultura e di tempo libero, anche per far fronte a un “deserto metropolitano” dove ogni giorno si chiudono negozi e servizi di vicinato e dopo una certa ora i problemi di sicurezza aumentano col venire meno del controllo sociale del territorio.
4) Caratterizzare ogni territorio municipale per la localizzazione di una nuova “grande funzione urbana”, nel quadro dell’attuale riorganizzazione dei servizi anche a scala metropolitana.
Sono questi alcuni spunti di un possibile programma che voglia finalmente riequilibrare la “piramide dei valori” della città. Un concetto che rimanda al “Piano a Turbina” di De Carlo, Tintori e Tutino del 1963, lontano ma del tutto attuale. E individuare quindi nei Municipi un volano per il recupero delle periferie. La rigenerazione di Milano, sociale e non solo immobiliare, si gioca tra due polarità. Dal basso un nuovo ruolo dei Municipi, e dall’altro capo con un governo metropolitano.

Dal 1984 ad oggi…?