UCTAT Newsletter n.69 – luglio 2024
di Aldo Castellano
Nel n. 67 di questa newsletter del maggio scorso scrivevo che fosse ormai giunto il tempo di passare dalla impostazione istituzionale autocratica delle attuali Soprintendenze a un’altra più moderna, democratica e condivisa in materia di tutela del patrimonio culturale. Il mio ragionamento si fondava sulla palese contraddizione che esiste tra l’attuale gestione del catalogo dei beni culturali, da sottoporre a tutela di legge, di carattere essenzialmente privatistico da parte del soprintendente territoriale e dei suoi funzionari, e la natura, invece, squisitamente pubblica delle ragioni storiche per le quali quel bene particolare possa rientrare in quel catalogo.
I valori della storia, in base ai quali un singolo oggetto può essere riconosciuto come bene culturale da tutelare, non riguardano l’etica o la morale degli uomini, come i Dieci Comandamenti iscritti dal dito di Dio sulle due tavole di pietra di Mosè. Sono prodotti squisitamente culturali e, dunque, collettivi, storicizzabili.
Chiudevo l’articolo del maggio scorso, auspicando, al posto dell’attuale impostazione autocratica dell’istituto delle soprintendenze, un nuovo indirizzo collegiale in materia di difesa del patrimonio culturale, ma, forse perché assalito da tardiva prudenza, aggiungevo: «pur sempre sotto l’autorevole regia del soprintendente, quale decisore ultimo».
Mi accorsi di questa mia timidezza, quando ormai il pezzo era stato consegnato alla redazione. Ora colgo l’occasione per precisare meglio il mio pensiero, suggerendo una possibile reimpostazione liberal-democratica di questo particolare ufficio della soprintendenza, cioè quello dell’eventuale elezione di un nuovo bene nell’arca patrimoniale.
Fermo restando che, a mio giudizio, sia essenziale la trasformazione di quell’ufficio in un collegio di esperti – ora, invece, di esclusivo appannaggio dei soli dipendenti dal Ministero della Cultura – anche il ruolo del sovrintendente dovrebbe cambiare da dominus indiscusso a primus inter pares nel collegio stesso. Il quale dovrebbe essere costituito, sulla falsa riga delle giurie popolari nei processi civili statunitensi, attraverso la creazione di liste di specialisti per categoria (vedi più avanti), da cui estrarre casualmente di volta in volta 6-12 giurati, i quali, insieme al soprintendente o un suo funzionario, studiano il caso sottoposto al loro esame e deliberano a maggioranza qualificata la risoluzione adeguatamente motivata a favore o meno del riconoscimento della tutela. Tale risoluzione avrà effetto di legge con la firma del soprintendente.
Particolarmente delicata è la composizione delle liste dei giurati e la loro selezione. Limitiamo il discorso ai casi di immobili da analizzare.
Le liste delle diverse categorie dei giurati potrebbe includere – io credo – anzitutto gli storici dell’architettura e della città; poi i tecnologi, per gli aspetti tecnici della vecchia costruzione, da valutare se possibili e quanto onerosi, in caso del suo riconoscimento come bene culturale; gli strutturisti, per indagare sull’eventuale necessità di suoi adeguamenti statici; gli urbanisti, per studiare il quadro urbano interessato e la correlazione del vecchio immobile con l’intorno; e infine gli economisti per valutare l’impatto economico della messa a norma dell’esistente e del nuovo intervento.
Da queste liste vanno estratti casualmente un numero sovrabbondante di specialisti, che devono essere intervistati da parte del promotore dell’intervento sull’immobile contestato e del soprintendente o un suo funzionario, al fine di escludere “per causa”, ossia per specifiche ragioni, come pregiudizi evidenti o incapacità di essere imparziale, o in modo perentorio, senza fornire giustificazione, per un limitato numero, per poter giungere, infine, ai 6-12 giurati effettivi, ciascuno appartenente a una delle categorie indicate.
Il confronto democratico tra le ragioni dei singoli specialisti e del rappresentante ministeriale dovrà concludersi con una motivata decisione a maggioranza qualificata, in modo che sia finalmente ristabilito anche in materia di patrimonio culturale lo spirito liberal-democratico del nostro tempo.

