La grande distribuzione commerciale nel PGT, quale strategia?

UCTAT Newsletter n.4 – aprile 2019

di Paolo Debiaggi

Gli emendamenti del Consiglio comunale (05/03/2019) all’adozione della Variante al PGT hanno portato all’introduzione della possibilità di “realizzare Grandi Strutture di Vendita nelle aree destinate ad ospitare Grandi Funzioni Urbane di San Siro-Trotto, Porto di Mare e Ronchetto, al fine di garantire la sostenibilità finanziaria delle stesse GFU”. Se risulta chiaro per San Siro l’obbiettivo di consentire la realizzazione del nuovo Stadio/centro commerciale secondo le richieste delle squadre di calcio, non risulta invece chiaro cosa sottintenda per l’area di Porto di Mare. Per quest’area della città il PGT già individuava una ATU con prevalente destinazione trasformativa per funzioni terziarie/commerciali. Nello sviluppo della Variante in corso, tale destinazione era stata superata introducendo la prospettiva di rigenerazione con Grande Funzione Urbana. UCTAT già nel marzo 2017, aveva manifestato la propria contrarietà, presentando un’Osservazione in proposito, di cui si riporta lo stralcio:

“Un ulteriore potenziale contributo al sistema locale sia in termini di rigenerazione urbana che di miglioramento della qualità ambientale è rappresentato dall’area Porto di Mare. L’estesa proprietà comunale rappresenta un’opportunità per garantire un programma di riqualificazione complessiva dell’area nell’interesse collettivo, in cui il tema del rapporto città/campagna venga declinato in maniera corretta e coerente. Si tratta, da un parte, di qualificare il fronte della città consolidata, dall’altro, di organizzare lo spazio/soglia di passaggio tra la città e il Parco Agricolo Sud, attraverso la valorizzazione, completamento e messa a sistema degli interventi già avviati in questo senso (interventi di bonifica ambientale, piste ciclabili, aree a parco,..). L’obiettivo di riqualificazione dovrebbe favorire sia il miglioramento della qualità urbana del quartiere Mazzini, in termini di dotazione di nuovi spazi e servizi pubblici a questo connessi e integrati, sia il completamento e valorizzazione del sistema di fruizione del Parco Agricolo Sud con le sue principali emergenze culturali e ambientali. Andrebbero favoriti e incentivati insediamenti a bassa densità edilizia che abbiano nell’attenzione dei valori ambientali il proprio centro di interesse, con funzioni prevalenti dedicate a tempo libero, ricreazione e sport che ben rappresentino la transizione tra città e campagna. Diversamente, l’insediamento di nuove attività caratterizzate da elevata attrattività (quale ad esempio una grande struttura commerciale o terziaria), come attualmente indicato dal PGT quale vocazione trasformativa per questa ATU, potrebbe  provocare effetti molto negativi sia sulle aree urbanizzate a nord che su quelle agricole a sud, non producendo valore aggiunto per il contesto locale e generando flussi di traffico sostenuti non compatibili con la riqualificazione ambientale auspicata.”(UCTAT, Osservazione alla revisione di PGT, marzo 2017).

Tali considerazioni sono tuttora valide, anzi, addirittura rafforzate dalle stesse iniziative comunali verso l’area in questione. Infatti, in tempi recenti, si sono affermate e rafforzate strategie di valorizzazione ambientale da parte dell’attuale Amministrazione che sembravano avere definitivamente confermato la vocazione dell’area in virtù del suo essere porta di accesso al Parco Agricolo Sud e assolutamente incoerenti con questa ulteriore revisione di prospettiva. Si pensi ad esempio al progetto “Open Agri”, polo agricolo innovativo proposto proprio dal Comune di Milano, insieme a Fondazione Politecnico, Camera di Commercio, Industria e Agricoltura di Milano, Fondazione Parco Tecnologico Padano e 12 altri partner. Progetto vincitore del bando “Urban Innovative Actions”, finanziato dal Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), per proposte innovative che affrontino problematiche urbane destinate a diventare di grande rilevanza per l’UE. Cuore del progetto Open Agri è la riqualificazione della Cascina Nosedo, proprio ai bordi dell’area in questione, che diventerà un nuovo centro per l’innovazione aperta: coltivazioni acquaponiche, sviluppo di nuovi modelli per la logistica dell’ultimo miglio, coinvolgimento di PMI e start-up nella gestione dellafiliera dell’agrifood, produzione e innovative modalità di consumo alimentare. Altra iniziativa promossa e sostenuta dall’attuale Amministrazione cittadina, anche al fine di sostenere azioni di presidio dell’area in contrasto all’enorme problema del vicino “boschetto della droga”, è quella che ha visto la concessione d’uso della vasta area non edificata a Italia Nostra “ai fini della sua riqualificazione, pulizia, cura, tutela e manutenzione del patrimonio naturalistico”. Queste iniziative, sommate agli investimenti pubblici già fatti per il Parco Cassinis e le piste ciclabili realizzate sul perimetro dell’area, non sembrano trovare alcuna coerenza con la possibilità che la prospettiva di rigenerazione urbana dell’intera area possa essere sostenuta con l’ausilio della grande distribuzione commerciale.

Il parco organizzato a cura di Italia Nostra

Non dovrebbe poi essere trascurata, da parte di chi è responsabile della pianificazione urbana della città, una riflessione profonda sulla genesi delle forme di distribuzione commerciale e il suo effetto in termini di modelli spaziali e usi urbani. Immaginare che le Grandi Strutture di Vendita possano garantire la sostenibilità finanziaria delle Grandi Funzioni Urbane, così come affermato dal Consiglio comunale per ambiti urbani in cerca di rigenerazione, è un’affermazione che oggi rischia di essere quantomeno anacronistica. L’avvento e l’affermarsi sempre più diffuso dell’e.commerce ha stravolto le logiche commerciali e i suoi modelli distributivi. Se fino a vent’anni fa la diffusione dei centri commerciali sul territorio sembrava inarrestabile e la fine dei piccoli esercizi commerciali una realtà a cui rassegnarsi, oggi, la fine del modello di centro commerciale come pensato e realizzato anche solo fino a dieci anni fa, sembra essere in parte superato e si stanno già studiando e analizzando, non solo negli Stati Uniti dove questo fenomeno è oramai consolidato, possibili strategie di riconversione a nuovi usi dei grandi contenitori costruiti per questa funzione.

Osservando solamente le dinamiche locali qualche domanda bisognerebbe porsela prima di attribuire alla Grande Struttura di Vendita una malriposta fiducia salvifica. Il centro commerciale di Arese, nella cintura nord-ovest di Milano, è attualmente il più grande per dimensioni e fatturato in Italia. Pur avendo in programma di ampliarsi ulteriormente, con addirittura il progetto di costruire al suo interno una pista da sci, sarà presto superato nel suo primato dal nuovo Shopping Mall Westfield di Segrate con apertura prevista nel 2021 (entrambi i mega progetti affidati alla firma Michele De Lucchi). Questo progetto, accanto all’Idroscalo, avrà dimensioni mostruose, 165.000 mq. di superficie coperta, 17.000 persone occupate (Segrate segna 35.000 abitanti), 60.000 visitatori al giorno (la metà della media di Expo 2015). Questi shopping mall, insieme al Vulcano di Sesto San Giovanni, la cui genesi inizia nei primi anni 2000 in un epoca di forte passione per l’edilizia sfrenata, hanno in comune il gigantismo, l’essere concepiti su modelli di sviluppo tipici dei paesi arabi, essere un ultimo estremo tentativo di valorizzazione immobiliare di un modello commerciale in via d’estinzione, l’essere situati in comuni contermini a Milano dove il potere contrattuale dello sviluppatore diventa sensibilmente più forte rispetto ad amministrazioni piccole, con fenomeni di deindustrializzazione da governare e necessità di investimenti infrastrutturali che, in assenza di risorse pubbliche, risultano impossibili da affrontare (l’australiana Westfield in joint venture con la bergamasca Percassi a Segrate costruirà un pezzo consistente di tangenziale e riqualificherà uno scalo ferroviario, oltre a versare una montagna di euro di oneri di urbanizzazione). 

Progetto del Shopping Mall Westfield a Segrate

Ci sarebbe una questione fondamentale da porsi a livello di progettazione urbana, che effetto avrà tutto ciò nei prossimi 30-40 anni? Stiamo parlando di interventi che hanno il potere di modificare e decidere la viabilità intorno a loro: capire le conseguenze che portano a lungo termine è un obbligo, se si vuole dare alla propria città un minimo di progettazione territoriale (che ruolo ha in tutto ciò la Città metropolitana?). Inoltre, questi grandi poli monopolizzano il mercato e come impatto sul territorio lasciano molte chiusure, non solo di piccoli negozi, ma anche di molti centri di prima generazione, degli anni ‘90 e ’00, che oggi non riescono a essere competitivi con questi nuovi formati come Arese o Segrate. Probabilmente, quello che bisognerebbe fare è ridurre la diffusione di questi centri, tentando di riqualificare quelli esistenti o dando la priorità a chi vuole riqualificare e valorizzare quelli che già ci sono.