UCTAT Newsletter n.4 – aprile 2019
di Elena Mussinelli e Andrea Tartaglia
Tra gli obiettivi che il nuovo Piano di Governo del Territorio per Milano 2030 dovrà perseguire vi è anche l’esigenza di rinnovo e adeguamento delle strutture e dei servizi sanitari della città.
Milano è certamente una realtà di eccellenza nel settore sanitario pubblico e privato, con la presenza di grandi strutture ospedaliere e IRCCS, che erogano servizi di qualità e sviluppano ricerche di livello internazionale. Come testimonia la credibile candidatura a sede dell’Agenzia Europea del Farmaco, un risultato mancato probabilmente per l’insufficiente presidio del Governo ai lavori della commissione, vista anche la grande rilevanza delle industrie farmaceutiche dell’area vasta milanese.
Da diversi decenni il tema della funzione sanitaria torna periodicamente al centro del dibattito, tra ipotesi di decentramento o di rinnovo in situ, con il susseguirsi di numerose proposte e iniziative.
La “Città della Salute“, lanciata nel 2008 con gli studi di Infrastrutture Lombarde, doveva essere pronta nel 2015 in occasione dell’Expo, rilocalizzando anche il Besta e l’Istituto Tumori sulle aree disponibili del Sacco. Ipotesi inattuata, probabilmente per la difficile accessibilità dalle tangenziali Ovest e Nord e per la mancata realizzazione di una linea metropolitana a servizio di Expo e Cascina Merlata. Optando poi per la nuova localizzazione a Sesto San Giovanni. Qui la funzione ospedaliera doveva essere il motore trainante per attivare dopo tanti progetti via via sfumati la trasformazione dell’area Falck. L’attuazione del progetto si è rivelata problematica, per i problemi della bonifica dei terreni e il contenzioso insorto nella fase di appalto. Si prospetta quindi uno sforamento tutt’altro irrilevante dei tempi e dei costi di realizzazione.
L’Ospedale Ca’Granda a Niguarda ha portato a termine un significativo parzaile rinnovamento degli spazi all’interno dell’originale “recinto” ospedaliero: alcuni padiglioni sono stati completamente ricostruiti con soluzioni tecno-tipologiche aggiornate (hospital street), in grado di fornire servizi qualitativamente e quantitativamente adeguati alla domanda di diagnosi e cura (DEA-Dipartimento di Emergenza Urgenza e Accettazione).
Dopo un lunghissimo dibattito e un alternarsi di proposte avviate sin dagli anni Ottanta (ad esempio con l’ipotesi di rilocalizzazione nell’area dell’ex Montedison), dieci anni fa anche il Policlinico di via Sforza ha scelto la strada della radicale ricostruzione in situ, con il progetto di Stefano Boeri vincitore del concorso internazionale del 2007. Progetto decisamente interessante dal punto di vista funzionale e ambientale rispetto ai 10 selezionati per la seconda fase nel concorso, che riconfigurerà una parte importante del centro città.
L’ipotesi di riaggregazione fisica e gestionale degli Ospedali San Carlo e San Paolo, condivisa da diversi livelli istituzionali, sembra ora trovare sbocco nella perimetrazione di un’area in zona Ronchetto sul Naviglio destinata dal PGT a una Grande Funzione Urbana, tra le quali è appunto compresa la funzione ospedaliera. Una rilocalizzazione che dovrebbe prevedere una significativa riorganizzazione delle relazioni, dei servizi e della mobilità, con impatti su tutto l’ovest Milano. La Regione ha già ipotizzato, per ridurre gli oneri economici, di cedere al realizzatore delle opere le attuali strutture ospedaliere nelle aree di via Novara e Famagosta. Opzione che apre il tema della ridestinazione di aree e volumetrie collocate in un ambito fortemente urbanizzato e infrastrutturato, la cui trasformazione richiede anche in questo caso una visione strategica di più ampia scala.
In questi anni anche gli operatori privati della sanità hanno sviluppato e potenziato le loro strutture all’interno della città e diversi progetti sono ancora in fase di definizione e attuazione.
Ormai consolidata è la realtà dell’Istituto Europeo di Oncologia nel Sud Milano, mentre è stata definitivamente abbandonata l’iniziativa di realizzare il CERBA-Centro Europeo di Ricerca Biomedica Avanzata, lungo via Ripamonti concomitante con lo stesso IEO. Il nuovo PGT ha infatti precluso ogni ulteriore possibilità edificatoria nell’area, che torna a essere funzionalmente coerente con gli obiettivi del Parco Agricolo Sud Milano.
Altra realtà rilevantissima nel sud Milano è quella di Humanitas, nel Comune di Rozzano, che sta evolvendo in una struttura universitaria con la formazione di un vero e proprio Campus. Anche con la realizzazione delle residenze per studenti recentemente finanziate da un bando MIUR.
Il Gruppo Ospedaliero San Donato, fondato da Luigi Rotelli, nell’Est Milano eroga servizi con strutture di eccellenza, quali l’Ospedale San Raffaele, il Centro Cardiologico Monzino e l’IRCCS Policlinico San Donato. Lo stesso gruppo ha colto anche l’opportunità del riuso dell’area EXPO per riunire i servizi dell’Istituto Ortopedico Galeazzi, oggi distribuiti in più sedi, in una nuova struttura ospedaliera con oltre 700 posti letto.
Vi è poi il modello “a rete” rappresentato ad esempio dall’Istituto Auxologico Italiano, con la realizzazione e l’acquisizione di strutture di piccola media dimensione distribuite capillarmente. Come dal tessuto di eccellenza delle cliniche private, gravitante non a caso attorno al Policlinico, tra cui la Madonnina e la Capitanio. Ma anche in altre zone della città (San Giuseppe, San Camillo, ecc.).
L’adeguamento servizi sanitari ospedalieri a quadri nosologici e a una domanda in continua trasformazione rappresenta sicuramente un problema complesso, che richiede un salto di qualità nella capacità politica di determinare forme anche innovative di coordinamento e interrelazione tra i diversi soggetti pubblici e privati interessati, con una governance in gradi di individuare ricadute e coerenze pianificatorie.
Il nuovo PGT definisce alcuni indirizzi e opportunità per la rigenerazione degli spazi della salute, lungo una linea di tendenziale concentrazione, soprattutto per le strutture pubbliche di eccellenza. Rimangono invece poco indagati gli effetti di questa programmazione sulle aree che saranno conseguentemente dismesse, in assenza di indicazioni circa la loro futura trasformazione e valorizzazione.
Certamente si evidenzia l’esigenza – per le strutture ospedaliere come per altri servizi di valenza sovracomunale – di una maggiore capacità programmatoria coordinata a scala metropolitana che non si limiti a inserire singole proposte e soluzioni specifiche nel mosaico degli strumenti pianificatori locali, ma che prospetti un quadro a scala vasta delle scelte effettuate ai diversi livelli amministrativi.
A tali criticità si sommano anche temi quali quelli delle risorse pubbliche e private, della finanza di progetto e delle forme miste di attuazione degli interventi. Opportunità ancora non sufficientemente esplorate e praticate nella realtà italiana.
Non da ultimo, in controtendenza rispetto alle dinamiche sopradescritte, sembra qui opportuno richiamare alla memoria l’azione, poi rapidamente esauritasi, avviata vent’anni fa dall’allora Ministro Veronesi per una politica organica di tutti gli ospedali. Politica che, partendo dal dibattito sulla scelta tra dismissione o recupero delle vecchie strutture, suggeriva di non puntare sulle grandi strutture, ma di promuovere un modello di ospedale di non più di 400 posti – secondo il modello tipologico sviluppato da Renzo Piano – con alla base una main street dotata di servizi per degenti e visitatori, all’interno di un’ampia area a verde. Strutture diffuse sul territorio, alle quali affiancare una azione di valorizzazione e qualificazione della rete dei medici di base, entro un sistema di informatizzazione e digitalizzazione della sanità.
