UCTAT Newsletter n.4 – settembre 2018
di Fabrizio Schiaffonati
Sul Corriere del 27 luglio Giangiacomo Schiavi, commentando l’apertura del nuovo Apple Store in Piazzetta Liberty, osservava che ora bisognerebbe qualificare gli spazi periferici. Un’istanza che periodicamente si ripropone, ma poi le trasformazioni partono sempre dal centro. Ad esempio, a due anni dal primo Bilancio Partecipativo non si è ancora realizzato alcun intervento, dopo un’ampia mobilitazione referendaria che ha visto impegnato un gran numero di persone a dibattere e a selezionare i più urgenti progetti. Progetti circoscritti e limitati ad esempio a qualche miglioria, come il semplice innalzamento della recinzione di un parco di quartiere periodicamente vandalizzato e abusivamente frequentato nelle ore notturne.
Un confronto stridente quindi tra le rutilanti architetture delle multinazionali e delle archistar e gli elementari bisogni degli abitanti delle periferie, ormai da anni in attesa di qualche vera mossa in grado di segnare un cambiamento di rotta rispetto a tante situazioni di degrado, mancanza di manutenzione e progressivo abbassamento della qualità degli spazi pubblici. Dopo i tanti annunci politici per un Piano delle periferie.
Sempre nella stessa data sul Corriere troviamo una cronaca più dettagliata dell’inaugurazione dell’Apple Store, dove si concorre trionfalisticamente a celebrare questo evento con entusiastiche descrizioni sulla partecipazione di massa e l’affollamento di giovani in ore e ore d’attesa in coda con la piazza blindata. Mentre Schiavi introduce una dialettica tra questo intervento e quelli mancati per la periferia, nella cronaca il tono è di tutt’altra natura e l’articolista non è neppur sfiorato da qualche ironia sul trionfante narcisismo di tanti selfie di una gioventù che deve avere qualche difficoltà a vedere qualcosa oltre la patina del consumismo.
Ma la considerazione più importante, che mi pare essere avanzata da parte degli organi di stampa, degli urbanisti, di quanti sono interessati al progetto urbano e dell’architettura, ma soprattutto in generale dall’opinione pubblica e dei milanesi, è che non può non balzare agli occhi che l’intervento della Apple rappresenta una vera e propria occupazione impropria dello spazio pubblico. Tante altre potevano essere le alternative per una esigenza commerciale privatistica, e non quella di alterare la funzionalità di una piccola oasi urbana a pochi passi da corso Vittorio Emanuele. Uno spazio di grande equilibrio racchiuso dai fronti di edifici di notevole dignità, di architettura eclettica e moderna. Un affaccio su una inconfondibile e iconica facciata con elementi e fregi liberty recuperati dal bombardamento dell’Hotel Corso, uno scorcio su un edificio di Giò Ponti, la presenza del “grattacielino” dei fratelli Soncini, esempio di architettura degli anni Cinquanta.
Un luogo, quello di Piazza Liberty, in cui ci si poteva dare appuntamento e sostare sulle panchine di un dignitoso arredo urbano di recente attuazione, o intrattenersi nei dehor dei bar e ristornanti, ora radicalmente alterato da un invasivo flusso consumistico che esonda da ogni parte, senza alcun rispetto per luoghi ed edifici storici della città.
Nella città di Ponti, Albini, Belgiojoso, Caccia Dominioni, delle “preesistenze ambientali” di Ernesto Nathan Rogers, la Commissione per il Paesaggio e la Sovrintendenza non hanno nulla da dire?