La tematica dell’uso del sottosuolo

UCTAT Newsletter n.7 – dicembre 2018

di Carlo Lolla

Negli ultimi decenni la pressione antropica si è fatta estremamente pesante. L’uso del territorio per fini insediativi, ha portato le superfici occupate da fabbricati e da infrastrutture a raggiungere incrementi tali da produrre gravi conseguenze all’ecosistema.

L’esigenza di passare da una considerazione del territorio come spazio fisico, organizzato al solo fine del suo sfruttamento per le attività umane, a una più matura valutazione di quei meccanismi di equilibrio del territorio che non possono essere forzati oltre certi limiti senza gravi danni alle stesse possibilità di fruizione da parte del cittadino.
Le grandi città, espressione fondamentale dello sviluppo sono anche il punto di massima vulnerabilità delle civiltà moderne. 

La risposta opportunistica, circoscritta a competenze specifiche, la politica degli interventi marginali e il rifiuto della pianificazione, hanno portato le nostre metropoli al limite del collasso, alla paralisi della mobilità, all’avvelenamento delle aree metropolitane. 

L’utilizzazione del sottosuolo come nuova riserva di spazio da esplorare e sfruttare per restituire all’uomo un ambiente meno congestionato, rappresenta una delle soluzioni alternative a quelle dettate dai tradizionali metodi di intervento sul territorio, impone comunque l’adozione di una progettualità globale che preveda sin dalla fase ideativa di servizi e impianti accessori. Pensiero che non noto sia con la riapertura dei Navigli sia con la rigenerazione degli Scali Ferroviari, e che il settore dell’urbanistica non spiega, alla cittadinanza, come riunire in un disegno omogeneo e funzionale, al fine di un inserimento armonico del tutto nell’ambiente.
La realizzazione di insediamenti nel sottosuolo, la destinazione ad aree di magazzini, laboratori, ottenuta con tecnologie di scavo, oggi esistenti, sofisticate e potenti, potrebbe fornire grandi volumi a prezzi concorrenziali rispetto alle superfici edificabili dell’area urbana, dove maggiore è la pressione edilizia, con la conseguenza di risparmio di suolo.

Entro nel merito parlando di servizi.
Tutti hanno osservato in questi anni a Milano il continuo cuci e scuci di strade e marciapiedi da parte di vari gestori impegnati a posare guaine per innervare la città con fibre ottiche e quant’altro. E sono molti ormai, fra coloro che si occupano di edilizia industriale, a rilevare la povertà, il disordine e l’assenza di pianificazione nella costruzione di reti tecnologiche al servizio degli utenti nelle città italiane. È noto che da oltre un secolo le industrie sono dotate di reck porta tubi, tutte realizzate secondo geometrie che perseguono la massima funzionalità.
Non è possibile dare spiegazioni o giustificazioni valide all’arretratezza della logica applicata alla realizzazione di opere di urbanizzazione – strade, fognature, acquedotti, gasdotti, elettrodotti, linee telefoniche – alle quali si dovrebbe aggiungere le reti dedicate: forniture idriche, scarico, fornitura di servizi telematici.

Già nel 1913 l’architetto Renzo Picasso aveva studiato per Genova, un piano delle reti di urbanizzazione nel sottosuolo di grande respiro e sicuramente molto avanzato. E nel volume “Alla scoperta della città sotterranea di Parigi” edito nel 1990 a cura di Patrick Saletta, giovane architetto e grande sostenitore dell’utilizzo del sottosuolo per l’ordine e la qualità della vita nelle città, si trovano molte informazioni interessanti.
Oggi sono migliaia le gallerie sotterranee, delle più diverse dimensioni, che corrono nel sottosuolo di Parigi, e sono migliaia i chilometri di tunnel, ed ogni anno si aggiungono nuove realizzazioni ormai di dimensioni sufficienti a permettere agevoli ispezioni o interventi. Sono le “gallerie tecnologiche”, spesso frequentate solo dai dipendenti delle aziende che distribuiscono i servizi.
Esse eliminano la necessità di aprire in superficie cantieri per manutenzioni ed ampliamenti di rete e portano lungo i percorsi stradali il gas, l’elettricità, i telefoni, l’acqua, il teleriscaldamento e tutto ciò che risulti utile alla vita della metropoli. 

Le prime gallerie di Parigi per la posa dei sottoservizi risalgono alla fine dell’800. Oggi il sottosuolo parigino è occupato da infrastrutture e da costruzioni varie sia nelle zone sub corticali che in quelle più profonde, oltre i 100 metri nel sottosuolo.
Milano ha un territorio piccolo, ma con l’allargamento all’Area metropolitana si potrebbe pensare, laddove sia fattibile, ad un “Progetto urbano per una viabilità sotterranea”, che influirebbe, in positivo, sull’area esterna alla città. Si deve tener conto nel posare, mantenere, innovare le reti tecnologiche e prevedere, lungo i manufatti, doppie serie di gallerie da riservare ai servizi. 
L’aumento del numero e soprattutto dei volumi dei servizi diffusi, la sempre più caotica viabilità di superficie impongono di pensare a opere pubbliche in sedi stradali liberate dalle reti posate nella parte superficiale del terreno. Anche perché se sino a ieri si guardava principalmente al costo degli interventi, oggi risulta ancor più importante l’attenzione ai fattori di rischio (tagli di cavi, black-out, infortuni sul lavoro).

Logica vorrebbe che si concentrassero insieme le strategie d’intervento, per unificare le dimensioni, ottimizzare la produzione, certificare la sicurezza e qualità. Oggi le gallerie tecnologiche devono essere pensate per ospitare le reti ma anche gli addetti ai lavori.
Devono quindi essere realizzate applicando tutta la cultura e le tecnologie disponibili in materia di sicurezza (tele gestione degli accessi, dei parametri qualitativi dell’aria, del confinamento delle reti, dello stato di invecchiamento e usura dei materiali, degli spazi di sosta, dei luoghi di lavoro, delle stazioni di controllo).

È fattibile tutto ciò? È utopistico tutto ciò? Forse! Certamente nella nostra Milano non tutto è possibile, ma in alcune zone, come grandi arterie, qualcosa si potrebbe fare, forse non tutto quanto ho detto, ma sicuramente incominciare a prendere in considerazione, a riflettere, a ideare, a progettare penso non sia un male, anzi se mai si incomincia mai si farà.

Interscambio, Stazione di Rogoredo (Foto di G. Castaldo)