UCTAT Newsletter n.79 – GIUGNO 2025
di Adolfo F.L. Baratta, Rosaria Revellini, Valeria Tatano
Per imparare a progettare l’accessibilità in termini di reale inclusione è indispensabile una formazione specifica, come quella che dallo scorso anno accademico viene offerta dal Corso di Alta Formazione Accessibilità Ambientale organizzato dal Cluster Accessibilità Ambientale della SITdA, Società Italiana della Tecnologia dell’Architettura, tenuto da docenti e ricercatori di sette atenei, coordinati da RomaTre[i].
Nella struttura didattica, oltre alle lezioni, che si tengono prevalentemente online, sono previsti alcuni sopralluoghi in edifici o luoghi di particolare interesse per i temi affrontati, intesi come momenti di esperienza condivisa e di confronto. Una delle visite esperienziali di quest’anno si è svolta a Venezia, città che per specificità e criticità offre molti punti di riflessione.
L’itinerario predisposto è stato pensato per consentire di conoscere alcuni degli interventi che negli ultimi trent’anni, con una accelerazione in quelli più recenti, sono stati condotti per migliorare l’accessibilità e la vivibilità di una città che per morfologia si articola in insulae collegate da oltre 400 ponti. Questi costituiscono altrettante barriere architettoniche per l’autonomia di movimento delle persone che si muovono con la carrozzina o usano un deambulatore, e un importante elemento di difficoltà per gli anziani e per tutto il ‘traffico su ruote’, compresi i passeggini dei bambini e i trolley dei turisti.
Venezia è da anni interessata da fenomeni come la diminuzione degli abitanti e il loro invecchiamento i quali, uniti al sovraffollamento turistico e all’aumento delle affittanze turistiche, hanno reso sempre più difficoltosa la vita dei residenti. In controtendenza a questa realtà che accomuna molte città storiche, si è posta invece l’attenzione per l’accessibilità da parte dei servizi tecnici del Comune, coadiuvata dai cittadini e supportata dalla Soprintendenza, che in una combinazione virtuosa tra attori diversi, certo non esente da sbavature, è riuscita ad attivare e mantenere l’attenzione sulle necessità di autonomia di movimento di tutti, turisti compresi.
Se escludiamo la vicenda fallimentare del ponte della Costituzione, vero nome di un ponte che la maggior parte delle persone ricorda per quello del suo progettista, Santiago Calatrava, Venezia ha negli anni studiato, progettato e realizzato molti interventi che oggi la rendono un esempio virtuoso di città storica, age-friendly, a cui fare riferimento per la capacità di aver saputo coniugare la tutela del patrimonio culturale con l’esigenza di vivibilità.
Innanzitutto, la città ha due Piani per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche (PEBA), il primo redatto nel 2004 e il secondo nel 2020, che hanno guidato le logiche di intervento cercando di unire le potenzialità del trasporto pubblico urbano via acqua con una lettura chirurgica delle necessità e delle possibilità di azione.
I ponti, ad esempio, soprattutto quelli più antichi, in muratura di laterizio o pietra, nascono senza le sponde laterali, realizzate successivamente, e senza veri e propri corrimani. Consentire l’installazione di mancorrenti in acciaio, prima sui ponti in muratura di laterizio, poi su quelli in legno e infine su quelli di pietra, è stata un’operazione che ha richiesto uno studio attento del tipo di sostegno da utilizzare e del modo in cui collocarlo sui manufatti, con un risultato importante per quanto concerne il sostegno che assicurano, in salita e in discesa, specie quando piove ed è maggiore il rischio di scivolare sui gradini che presentano i bordi in pietra d’Istria.
Un’altra ‘piccola’ azione ha riguardato l’eliminazione dei dislivelli presenti in calli e fondamenta, rappresentati da due o tre gradini, la cui problematicità è solo all’apparenza irrisoria. Queste microbarriere sono state risolte inserendo rampe che nella continuità materica con la pavimentazione in trachite sembrano appartenere da sempre al disegno della quota di terra.
Più complesso è il tema del superamento dei ponti, che dopo la ‘stagione’ dei servoscala e di vari dispositivi meccanici, naufragata negli anni Novanta, sono stati risolti con soluzioni diverse, come le rampe sovrapposte o inserite nel sedime dei gradini, con modalità temporanee e permanenti. Tra queste la vicenda delle rampe per la VeniceMarathon, la maratona che si corre ogni anno dal 1986, con partenza da Stra e arrivo sulla Riva degli Schiavoni, è la più emblematica. Per consentire ai maratoneti il superamento dei ponti venivano montate e smontate, in concomitanza con la gara, rampe in tubo giunto e pianali in legno lungo la Riva delle Zattere e, appunto, degli Schiavoni. La loro presenza è stata negli anni accolta molto positivamente dai residenti che ne hanno chiesto il mantenimento ben oltre le giornate necessarie, tanto da arrivare, dopo diversi anni, alla decisione di realizzare due progetti ad hoc di rampe temporanee e, dopo una lunga ‘sperimentazione’, di considerarle, con decisione condivisa dalla Soprintendenza, definitive.
Ma, soprattutto, a Venezia è stata sperimentata la ‘rampa a gradino agevolato’, un dispositivo che unisce una pedata in pendenza con una alzata a forma di smusso che pur presentando pendenze medie più elevate rispetto a quanto consentito dalle norme, e necessitando di un aiuto per l’attraversamento della rampa in caso di fruitore su sedia a ruote manuale, si pone come unica soluzione laddove lo spazio a disposizione non ne renda praticabili altre, diventando una possibilità ora applicata anche in altre città.
Tutto positivo? Non del tutto. La visita ha confermato, ad esempio, una evidenza: gli interventi condotti non sono riusciti nell’intento di costruire dei percorsi o delle aree accessibili completi, per cui il gruppo in qualche passaggio si è diviso, con alcuni partecipanti che hanno dovuto utilizzare i mezzi di navigazione per raggiungere tutte le tappe previste. Un problema limitato se si è visitatori, meno se si ha la necessità di muoversi tutti i giorni per andare a scuola o a lavorare.
Molte criticità sono legate anche alla comunicazione, dal momento che non esiste una mappa aggiornata delle aree accessibili e solo se si conosce bene la città ci si può muovere con la sicurezza di arrivare a destinazione senza problemi, con il supporto dei mezzi pubblici. L’accessibilità inclusiva sembra inoltre essere un concetto ‘soggettivo’ (e qui si capisce quanto contino conoscenza e formazione), così, ad esempio, un gradino per accedere a un servizio igienico pubblico, presentato come accessibile e non segnalato nel sito dedicato, blocca l’autonomia delle persone e lede la loro dignità.
Ultimo elemento negativo: il ponte della Costituzione, che dopo l’insuccesso dell’ovovia, installata nel 2013 per dare una soluzione all’inaccessibilità del progetto, e smontata nel 2020 per malfunzionamenti continui, continua a provocare problemi a quanti lo usano quotidianamente – e tra residenti, lavoratori e turisti, è sicuramente un numero elevato di persone – come le cadute sui gradini di vetro, ora in fase di sostituzione con altri in pietra, e ricorda, ogni giorno, che l’architettura deve garantire qualità formale e funzionale.
Quando non lo fa, fallisce il suo compito.


[i] https://architettura.uniroma3.it/didattica/offerta-formativa/accessibilita-ambientale-
