UCTAT Newsletter n.64 – FEBBRAIO 2024
di Fabrizio Schiaffonati
La gestione dell’urbanistica e dell’edilizia milanese sta evidenziando crescenti criticità. Un problema non solo di ora, che rimanda a un giudizio più generale sulla politica dell’Amministrazione comunale e sulle iniziative immobiliari dell’ultimo decennio. Un confronto particolarmente acceso tra i principali operatori, senza più le convergenze fino a ieri.
Il tono è salito con l’annuncio da parte del Comune di voler mettere mano alla Revisione del PGT, il Piano del Governo del Territorio del 2019 che avrebbe dovuto avere valenza fino al 2030. Niente di male se una Amministrazione ritiene opportuno riorientare lo strumento per migliorarne l’efficacia e correggerne il tiro alla prova di fatti che non hanno sortito gli effetti sperati.
Ma in questo caso le motivazioni sembrano sottendere un più generale disagio, per gli esiti di una dinamica imprenditoriale che ha operato in condizioni di particolare favore. L’aumento dei prezzi, dei mutui e l’inflazione hanno spinto il costo della casa non più alla portata di molti strati sociali, divaricando quindi la forbice tra domanda e offerta; con il diradarsi anche di interventi pubblici per la qualità ambientale e dei servizi, soprattutto nelle periferie. La rendita fondiaria di vaste aree, dagli scali ferroviari ai milioni di metri quadrati di ex aree industriali, non ha determinato un significativo beneficio pubblico.
È noto che a Milano gli investitori hanno trovato una accoglienza senza i vincoli di altre città, con le dinamiche favorevoli del mercato, anche per la disponibilità a delegare loro compiti di pianificazione attuativa. Un orientamento politico di accentuata matrice liberista, col superamento di consolidate prassi e una notevole libertà interpretativa delle norme. Non a caso è stato richiamato il lontano “rito ambrosiano” della Ricostruzione e del boom edilizio degli anni Sessanta. Ma si è andati ben oltre, visto che allora il Comune operava direttamente anche con Piani Particolareggiati e con molte opere pubbliche; dotato tra l’altro di un consistente Piano di Edilizia Economica e Popolare, il PEEP della legge 167 del 1962. Avvalendosi inoltre di Uffici tecnici di sicura competenza.
Ora la capacità gestionale sembra essersi inceppata, e l’annunciata Revisione del PGT parrebbe voler metter mano a una diversa regolazione del processo; anche se gli obiettivi annunciati dalla Giunta per ora sono di carattere generale. Condivisibili, ma l’esperienza insegna che le buone intenzioni non sono sufficienti per tradursi in operatività.
La situazione si è ulteriormente complicata, con il clamoroso annuncio di ben centocinquanta tra dirigenti, funzionari e tecnici comunali, dell’Urbanistica e dell’Edilizia, di essere intenzionati a chiedere il trasferimento ad altro Settore. Non sentendosi tutelati a fronte dell’iniziativa della Procura che ha attenzionato decine di pratiche, entrando già nel merito di alcuni progetti fortemente criticati dall’opinione pubblica. In altre parole, per essere state a loro delegate responsabilità autorizzative in un quadro di norme di non sempre chiara applicabilità. Un vero e proprio marasma, di cui è difficile rintracciare un precedente nella pur complessa vicenda italiana; tanto più grave nella città che ha fatto dell’efficienza della sua Amministrazione un titolo di merito.
Un punto d’arrivo, quindi, di nodi irrisolti ampiamente noti ma sottovalutati, e con indubbie responsabilità politiche per non aver provveduto per tempo. Il nodo gordiano di norme e procedure sempre più complicate, esattamente il contrario dell’esigenza si snellimento e semplificazione. Un esempio di divaricazione tra la legislazione in materia dagli anni Novanta fino ad oggi, con l’obiettivo anche della trasparenza degli atti amministrativi e delle responsabilità degli Enti territoriali.
Il caso milanese è più che esplicito, a cui va aggiunto un diffuso disagio da parte di professionisti e di quanti abbiano a che fare con una pratica edilizia. Problemi di tempi, di difficoltà ad accedere a informazioni, a destreggiarsi tra norme e procedure che minano la fiducia nella Pubblica amministrazione e hanno invalso la crescente convinzione di una fastidiosa discrezionalità. Il peggior tarlo nel rapporto tra Istituzioni e cittadini.
In questo clima è diffusa l’opinione delle grandi difficoltà che si incontrano, se non con noti architetti, collaudatissimi professionisti di pratiche edilizie, e indispensabili avvocati amministrativisti di grande esperienza in grado di districarsi nelle interpretazioni di leggi e regolamenti.
Tutto ciò richiama la fondamentale necessità della certezza del diritto urbanistico e edilizio; certo non facile anche per le conflittualità in materia tra Stato, Regioni e Comuni, e col sempre più frequente ricorso al giudizio dei TAR che complica ulteriormente la questione.
Ma rimanendo nell’ambito disciplinare di architetti e urbanisti, è ormai palese l’urgenza di una decisa assunzione di responsabilità sulla qualità del progetto, per una sua razionalità, morfologica tipologica funzionale, che non può essere subissata da norme che con tutto ciò nulla hanno a che fare. Necessità quindi di richiamare un rigoroso approccio, troppo spesso dimenticato nello slalom delle procedure e dei cavilli. I regolamenti e le norme debbono ritornare a essere chiari ed essenziali, senza la necessità di dover ogni volta ricorrere a interpretazioni. Soprattutto a livello della morfologia urbana, con consolidate conformazioni che hanno definito la struttura della città, con adeguate altezze e distanze degli edifici, e qualità degli spazi di vicinato.
Una indispensabile correzione di rotta per ridare certezze e valore a ogni intervento, che trasferimenti e cessione di diritti volumetrici e norme morfologiche vigenti non hanno certamente agevolato.
In tal senso un approfondimento sulle responsabilità e i diversi ruoli per la qualità urbanistica e architettonica è ormai urgente. Un problema allo stato attuale archiviato. Certamente non riducibile ai “Dittatori del gusto” della napoleonica Commissione d’ornato, ma non come ora, dove questo fondamentale aspetto sembra tuttalpiù nelle pieghe di qualche comma. La Commissione del paesaggio pare non abbia migliorato le cose, rispetto alla Commissione edilizia che, con il fondamentale supporto dei Municipi, operava in un clima di condivisione alla soluzione di problemi che sono di tutti. Il rimando è a diverse iniziative allora promosse congiuntamente da diversi Assessorati, con il ruolo anche di una autorevole Commissione scientifica.
La Revisione del PGT può essere l’occasione per ragionare anche di ciò. Non ci sono aspetti più o meno importanti. Il buon governo della città si palesa nella condivisione e nella gestione partecipata, dalla Città metropolitana al decoro dei quartieri. Una complessità che va trattata nella sua interezza, senza la quale si fa sempre più strada la perdita di socialità, che è la prima ricchezza della città.
