UCTAT Newsletter n.53 – febbraio 2023
di Alberto Celani
Quando si chiede a un giornalista la presenza su una newsletter i cui contenuti di architettura sono preminenti si accetta la sfida di poter incontrare pensieri e parole fuori dai canoni dell’eleganza del pensiero architettonico, si possono incontrare termini non comuni e pensieri scritti di getto. L’ibridazione rende ricca la discussione e aiuta a guardare i fenomeni con filtri diversi. Apprezzo da sempre il modello comunicativo della newsletter che permette di esprimersi con calma e d’istinto, un po’ come si faceva negli inserti della domenica dei bei quotidiani di una volta. Vorrei partire da questo per parlare di una chiesa, di un edificio non eccessivamente antico, non eccessivamente bello, non eccessivamente fortunato, ma molto grande. La Chiesa di Cristo Re in via Colleoni è stata costruita tra gli anni Venti e Trenta per rispondere alle esigenze di culto e di aggregazione di un quartiere in piena crescita. Erano gli anni della Fiera Campionaria (inaugurata nel 1922), dello stabilimento Alfa Romeo del Portello (inaugurato nel 1906), del Velodromo Sempione che poi è diventato per tutti il Vigorelli (nel 1939 ha ospitato il campionato del Mondo e nel ‘42 il record dell’ora di Fausto Coppi). Ho voluto accompagnarvi tra i ricordi di una parte di Milano che ha sedimentato fotografie mitiche per tre generazioni impresse nelle menti e nei ricordi che sin tramandano ai nipoti. Era una Milano industriale, che andava a vedere il ciclismo e la boxe, che leggeva la Gazzetta in riga alle fermate del tram come adesso noi facciamo con gli smartphone. Era una Milano che pregava e magari bestemmiava, che passava le domeniche all’oratorio a giocare a pallone sotto il sole, in mezzo alla nebbia e con la neve. Era una Miano operaia che aveva bisogno di spazi all’interno dei quali integrarsi, conoscersi, uscire di casa e giocare. Adesso siamo a esattamente un secolo da quando le vetture prodotte al Portello la facevano da padrone nei circuiti del mondo con nomi semplici (RL, RL Targa Florio) e piloti mitici come Antonio Ascari, Enzo Ferrari, Giuseppe Campari. Milano è cambiata perché è cambiato il mondo, la globalizzazione ha portato altrove le sfide della tecnologia e la spinta modernista, ha svuotato le città degli operai che fanno le macchine veloci e i motori potenti. Una nuova forma di turismo è arrivata in città, quella che gira con i maxi-sacchetti delle marche della moda, che sta qualche giorno e visita i negozi del centro ma non è interessata a scoprire l’offerta culturale della città come primo obiettivo. Milano è cambiata perché si è scoperta bella e attraente per il turista ma respinge chi a Milano vuole provare a vivere, una vecchia-nuova dinamica di moltissime città europee che sotto i colpi dei biglietti aerei a 19,99 euro e degli alloggi trasformati in B&B sta sloggiando il residente per fare spazio al turista spuntista. Questo cambiamento ha prodotto la necessità di dotare il parco alloggi temporanei di nuova offerta: molti degli investimenti in abitazioni a Milano sono oggigiorno seconde, terze e magari quarte case, un segno dei tempi perché la prima casa a Milano è fuori portata per le nuove famiglie e chi compra lo fa per investire. Milano era operosa, brutta e nebbiosa, con una Fiera Campionaria ogni anno che muoveva di poco la necessità di costruire nuovi hotel; Il turismo d’affari si adattava agli alberghi piccoli e grandi della città, spesso non gestiti da catene internazionali ma da famiglie e investitori locali. Expo 2015 ha visto la crescita di interesse da parte di catene alberghiere straniere e sono nati nuovi hotel moderni e di livello anche a Milano. I cambi di destinazione hanno permesso di trovare nuovi usi agli spazi esistenti, adattando la città alle nuove esigenze e ai nuovi utilizzatori. Le fabbriche che hanno svuotato la città di operai e dei grandi numeri del settore industriale hanno creato dei vuoti e hanno reso inutili delle funzioni che fornivano supporto a chi i quartieri li abitava.
Eravamo partiti in questo viaggio da una chiesa, di quelle nate per aggregare operai e figli di operai, per far integrare persone di Milano con chi di Milano non era, per accogliere chi una casa non se la poteva permettere o cercava un impiego. Le funzioni della Chiesa con la C grande erano quelle che spingevano a creare degli avamposti del sociale nei quartieri in crescita, al di là delle esigenze del culto che forse erano le stesse di oggi. Mi immagino la Chiesa di Cristo Re come un punto di incontro, come un luogo che non fosse solo un edificio Neo Manierista degli anni Venti del Novecento con un portale enorme e due piccole entrate laterali. Negli anni secondo le testimonianze che ho potuto raccogliere in rete la chiesa di Cristo Re è stata assegnata dalla Curia al culto Cristiano Ortodosso per poi venire sconsacrata nel 2017 dopo anni di abbandono. Le vicende del luogo non mi appassionano quanto quelle delle persone ma è interessante ragionare assieme su come si sia passati da un avamposto del sociale in un quartiere operaio a un hotel di una catena internazionale. Come sono mutate le esigenze del quartiere? Sicuramente i vuoti di cui abbiamo parlato prima hanno ospitato nuove case e nuovi spazi per il commercio, spesso nuovi centri di aggregazione o spazi aperti liberati ma trovo personalmente di grande impatto la trasformazione di una chiesa in un hotel. Provo in mille modi a comprendere un’operazione che è già dolorosa se si tratta di una chiesina di montagna chiusa con i fiori rinsecchiti trasformata in galleria d’arte o in enoteca, sono triste per la testimonianza delle cappellanie ospedaliere dismesse e vandalizzate come la Chiesa di San Carlo Borromeo dell’Ospedale G. Salvini di Garbagnate Milanese che, essendo in luoghi nascosti e abbandonati non hanno il diritto di shoccare e far riflettere il passante. Ma se la Chiesa del vecchio ospedale di Garbagnate Milanese e il suo organo a canne, i suoi marmi rosa non sono sotto gli occhi di tutti la vecchia chiesa del quartiere Portello adesso è presente sotto forma di mastodontico, impattante hotel con la sua facciata bianca. Siamo sicuri che nei processi di trasformazione sia necessario considerare i metri quadri delle chiese, degli oratori e dei conventi per funzioni che non sono quelle dell’aggregazione? Siamo sicuri che i progetti non possano tenere in conto dell’anima dei luoghi e della storia dei quartieri, nonostante le condizioni siano cambiate? Siamo sicuri che l’investitore cerchi opportunità ad ogni costo e in ogni luogo, nonostante ci siano alternative a minor impatto emotivo? Da una parte mi rendo conto che la pressione sui quartieri può portare alla riduzione del degrado, sostituire l’abbandonato con il nuovo toglie degrado dalla vista di chi passa ma tutto questo ha un prezzo.
Questo intervento è iniziato con una lode al tempo che passa, col sapore di una canzone di Celentano sulla Milano che veniva cementificata in luoghi vicini a quelli di Vecchioni della sua Luci a San Siro ed è terminato con delle domande a voce alta pensando a quale avrebbe potuta essere la soluzione per la chiesa di Cristo Re. Ormai non possiamo fare nulla ma dobbiamo pensare che ci sono mille luoghi del cuore in Italia che non avranno la sorte di trovare un investitore che troverà loro una nuova destinazione ma periranno giorno per giorno sotto gli spray dei vandali e vedranno i loro arredi vandalizzati e bruciati. Il degrado avanza mano a mano che la gente normale smette di abitare i luoghi, di lavorare in città, di richiedere spazi per l’aggregazione anche in centro. Il degrado mangia le periferie come in un pezzo rap francese o in una serie di teppisti di quartiere su Netflix e rende invivibile l’interazione sociale nei luoghi di aggregazione. Gli avamposti di cui parlavo prima lasciano il centro al fruitore occasionale con funzioni che sono quelle di pochi e sono quelle di poco tempo e poca intensità emotiva. “Milano. Milano vicino all’Europa…” cantava il bolognese Lucio Dalla, una Milano che ci piace pensare europea e cosmopolita deve ragionale su cosa significhi essere internazionali e moderni e deve ragionare sul ruolo dell’Architetto nel dibattito sulle destinazioni dei luoghi, ci vuole coraggio e interesse per trasformare e spesso la via semplice non è la più efficace…Esattamente come lo è stato cinquant’anni fa quando è stato risposto all’esigenza di posti letto con soluzioni abitative raffazzonate che rappresentano tante ferite per le nostre città. L’analisi e il dibattito devono permettere di trovare soluzioni che portino Milano verso l’Europa, anche se il mondo moderno adesso ha trasferito il dibattito altrove, in un luogo non necessariamente fisico lontano dal Vecchio Continente.
