I giovani e l’abitazione

UCTAT Newsletter n.48 – settembre 2022

di Giovanni Castaldo

Comprare la prima casa è un momento cruciale nella vita di tanti giovani. È un momento importante perché segna il passaggio dalla prima gioventù a nuove fasi della vita, con la scelta di creare una famiglia o di radicarsi in un determinato contesto dopo i primi anni nel mondo del lavoro.

Parte quindi la ricerca dell’alloggio ideale: siti web, annunci, pubblicità, agenzie immobiliari, dépliant, suggerimenti di amici e parenti. E poi appuntamenti per visitare l’appartamento perfetto, l’occasione imperdibile, ponderando prezzi, metrature, numero di vani, bagni finestrati e ciechi, localizzazione, accessibilità. Di norma si susseguono per mesi delusioni – perché la soluzione è diversa dalle aspettative o perché non si raggiunge l’accordo con il proprietario – e nuovi innamoramenti, fino alla fatidica accettazione di una offerta e la firma di un compromesso di acquisto.

Purtroppo a monte di questo stressante e al contempo stimolante momento della vita, per la maggioranza dei giovani italiani, si pone un problema spesso insormontabile: avere un reddito sufficiente e una stabilità lavorativa. Condizioni imprescindibili per far fronte alle spese e imposte di acquisto e per poter accendere un mutuo. Sono note le basse retribuzioni dei giovani italiani under 35 – con una media al di sotto dei 20.000 euro annui – e soprattutto la precarietà e la discontinuità lavorativa – con solo il 37% dei giovani che dispone di un lavoro stabile. Una condizione certificata da molteplici studi che si riflette sulla scarsa capacità di accesso al credito, con una vulnerabilità economico-occupazionale che non è compatibile con i requisiti delle banche per la concessione dei mutui. Solo l’11% dei giovani under 35 prova a richiedere un mutuo, che comunque in un terzo dei casi non viene concesso. Anche il recente sostegno per il “mutuo prima casa under 36” – con l’istituzione di un fondo di garanzia da parte dello Stato –, per vincoli sottesi allo strumento stesso ma anche per l’attuale incremento dei tassi dei finanziamenti, rischia di risultare inapplicabile o comunque inefficacie.

Una condizione critica a livello nazionale che a Milano si palesa con ancor maggior intensità. A Milano infatti bisogna fare i conti con un mercato immobiliare particolarmente dinamico, con prezzi in costante aumento negli ultimi anni e una domanda elevata, con investitori anche esogeni attratti dai buoni rendimenti, anche con riferimento al mercato dell’affitto tradizionale e dal crescente mercato degli affitti brevi. Il prezzo medio di vendita delle abitazioni è di circa 5.000 euro al mq, laddove nel 2018 i prezzi medi erano di circa 3.700 euro al mq. Anche per appartamenti in zone non centrali e in condizioni manutentive non ottimali, si registrano prezzi elevati – sostanzialmente sempre superiori a 3.000 euro al mq – quindi alti per i livelli salariali medi dei giovani. Questi prezzi escludono dal mercato dell’acquisto di case chi non ha buoni stipendi e stabilità lavorativa. Conseguenza di questo fenomeno è la progressiva espulsione di interi strati di popolazione dal capoluogo verso i comuni dell’hinterland, dove i prezzi medi delle abitazioni sono sensibilmente più bassi. Non a caso diversi osservatori intravedono per Milano la stessa dinamica che Londra ha già affrontato, con una popolazione residente esclusiva e prevalentemente legata al mondo finanziario della City. Non si considerano in questa sede gli effetti derivanti da questo modello di città, con impatti ambientali, sociali ed economici diretti e indiretti che dovrebbero essere valutati attentamente per governare il fenomeno alla scala dell’area metropolitana.

Nello scenario immobiliare attuale di Milano città anche le positive esperienze portate avanti dal settore delle cooperative edilizie – che sviluppano iniziative residenziali rivolte all’ampia “area grigia” di popolazione che pur avendo un’occupazione non riesce ad accedere al mercato libero dell’abitazione – non riescono a soddisfare il reale bisogno di una intera generazione. Una esperienza quella della cooperazione d’abitazione che in altre epoche della storia di Milano – si pensi in particolare agli anni della ricostruzione e poi del boom – si era dimostrata efficacie per realizzare abitazioni a prezzi accessibili, complementare agli interventi di iniziativa pubblica rivolti specificatamente all’edilizia economica e popolare. Anche altre recenti iniziative portate avanti da operatori privati – fondazioni, società di gestione del risparmio, ma anche nuovi sviluppatori immobiliari – puntano a diversificare l’offerta abitativa della città, con formule di vendita e affitto a prezzi accessibili, senza tuttavia costituire ancora una reale alternativa al mercato privato tradizionale.

Come possono quindi i giovani acquistare casa a Milano? La risposta è semplice e banale: non possono. O meglio possono solo se aiutati in modo sostanziale dalle loro famiglie, attingendo al risparmio e alle garanzie delle generazioni precedenti. Un sistema di “welfare” che è però iniquo – dal momento che non tutte le famiglie sono in grado di supportare economicamente le nuove generazioni – e deleterio – in quanto viene impiegato il risparmio famigliare non in una ottica di investimento ma per soddisfare un bisogno primario.

Purtroppo al momento non si intravvedono alternative, in assenza di politiche organiche promosse a livello nazionale e locale. Anche il recente dibattito elettorale, al netto di alcune dichiarazioni di intenti nei programmi dei partiti, non ha innescato un reale confronto su questa problematica. D’altronde i giovani costituiscono una minoranza della popolazione italiana e quindi dell’elettorato: meglio non affrontare in termini strutturali il tema, confidare nell’aiuto dei genitori e soprattutto nel grande risparmio privato che le generazioni precedenti hanno saputo (e potuto) accumulare.

Torna all’Indice della Newsletter