UCTAT Newsletter n.50 – novembre 2022
di Fabrizio Schiaffonati
Girando per Milano in ogni parte si possono vedere diversi cantieri in corso. Una pelle di leopardo soprattutto per gli incentivi del cosiddetto Bonus 110% sfruttato da diversi condomini per la manutenzione delle facciate e per il risparmio energetico. Non rari anche i cantieri di nuove costruzioni nel tessuto consolidato della città a indicare per l’anno in corso una netta ripresa del settore delle costruzioni, come emerge dai dati rilevati e con la preoccupazione da parte dell’Associazione nazionale costruttori della contrazione di questo trend che si preannuncia per il 2023. La politica dei Bonus presenta luci e ombre, non a caso è stata messa sotto osservazione per una sua revisione, in una fase di fuoruscita dall’emergenza pandemica ancora incerta e difficile per la ripresa economica e per i provvedimenti riformatori necessari. Lo stesso impiego delle risorse del PNRR richiede la necessità di un pronto sviluppo dei progetti cantierabili. Problema tutt’altro che semplice per le note carenze operative della Pubblica Amministrazione, i ritardi normativi, le complicazioni burocratiche e procedurali che da decenni attanagliano il Paese; con farraginosi provvedimenti che fino ad ora non sono stati in grado di migliorare la situazione, anzi spesso complicandola ulteriormente piuttosto che semplificarla. Un problema complesso, nel contempo di delegificazione e di nuove norme. Un nodo gordiano difficilissimo da sciogliere, rispetto al quale assistiamo a reiterate dichiarazioni d’intenti senza una analisi approfondita delle criticità e delle competenze che sarebbero necessarie e, più in generale, delle necessarie ricadute sulla formazione professionale e dei dipendenti pubblici. Più si accumulano ritardi e più sarà problematico trovare una via d’uscita.
Tra le prime più importanti questioni, il ruolo anticongiunturale del settore delle costruzioni, su cui ci si è sempre attestati senza un modello organizzativo che tenga conto dei nuovi scenari ambientali, territoriali, urbani che necessitano di una diversa operatività e tempestività dell’impresa edilizia. Una visione che manca. E i Bonus, con la giustificazione del momento particolarmente drammatico, hanno operato in tal senso emergenziale. Non a caso le perplessità di Draghi, con la difesa invece ad oltranza di posizioni politiche intese a lucrare interessi elettorali. Il 110% è diventato la più iniqua e distorta distribuzione di risorse pubbliche, con effetti da verificare nel tempo (dopo una ripresa drogata del settore) sui reali miglioramenti ambientali ed energetici apportati; senza tralasciare l’alterazione dell’aspetto di edifici che hanno definito l’immagine dell’architettura, anche testimonianze culturali e sociali della modernità. Di frequente s’interviene su qualche frammento di manufatti storici con accanimento terapeutico e con grande disinvoltura vediamo invece dar corso a diffuse “cappottatture” di interi complessi immobiliari di indiscutibile significato. Ne cito solo uno: i nove edifici a torre dei BBPR sul cavalcavia di corso Lodi. Una preoccupante disattenzione, che non dovrebbe essere nelle corde della Commissione del Paesaggio e di quanti responsabili delle autorizzazioni e della promozione dell’urbanistica e dei regolamenti edilizi comunali.
La disinvoltura di questa fase, con l’assenza di una chiara pronuncia di architetti, di intellettuali, di associazioni culturali, di ordini professionali, è destinata a presentare quanto prima il conto; e c’è da augurarsi che si manifesti una resipiscenza per una correzione di rotta. Problema ancor più generale, se osserviamo lo stato del territorio e delle infrastrutture del Paese, con le ricorrenti emergenze e catastrofi ambientali. Un problema da cui Milano è tutt’altro che esente per discutibili politiche che hanno privilegiato grossi interessi immobiliari senza metter mano ad alcun intervento strutturale per la riqualificazione delle periferie, con la ormai palese assenza di una iniziativa pubblica nel governo dell’urbanistica delegata alle proposte dei privati. Il venir meno, cioè, della funzione pubblica che “Amministrare l’urbanistica” comporterebbe. Come tra l’altro per compito di legge. La revisione del 2020 del Piano del Governo del Territorio si sta dimostrando una generica enunciazione che non si traduce in una pianificazione attuativa, se non quella dei privati. L’urbanistica dalla strategia alla tattica è destinata a diventare lettera morta.
L’attenzione che ora voglio richiamare è ad un problema apparentemente più circoscritto, ma non meno importante; cioè sugli effetti che queste carenze determinano sull’immagine e la forma della città, che sappiamo essere la risultante di politiche e norme che presiedono alle autorizzazioni di piccole o grandi trasformazioni territoriali, come di ogni concessione edilizia.
Tra i tanti cantieri che vediamo spuntare è frequente scorgere edifici che stanno sorgendo in lotti interstiziali o che si liberano su aree di ridotte dimensioni per la demolizione di vecchi immobili, in cortina come in aree interne al tessuto compatto consolidato. Volumi anche consistenti per la ridotta dimensione delle aree di pertinenza, per non dire delle altezze che svettano sugli edifici circostanti, addossati ai fronti di quelli limitrofi. È difficile trovare anche dopo una attenta osservazione la quadra normativa, che pur vi sarà, che ha condotto alla approvazione di quei progetti e alle autorizzazioni delle costruzioni; se non una tortuosa interpretazione che sfugge alla logica di chi non sia addentro ai complessi meandri burocratici amministrativi delle norme urbanistiche ed edilizie. Un mondo del Diritto amministrativo piuttosto che di architetti e ingegneri, e comunque di un ristretto novero di addetti ai lavori. Problema tuttavia di grande rilevanza che ha a che fare con l’immagine e il decoro urbano, e rimanda quindi alle Norme morfologiche vigenti del PGT che dovrebbero essere a tutela della bellezza della città. Che in questo caso non è proprio possibile individuare, nel disordine di affastellati volumi e di uno scorretto rapporto tra costruito e spazi liberi.
In tal senso sono frequenti le segnalazioni che compaiono nelle cronache dei quotidiani, di singoli cittadini e di comitati di abitanti, talvolta con segnalazioni anche alla magistratura. Ultimo un recente caso che ha dato luogo a un controverso intervento giudiziario, fino al sequestro e poi il dissequestro del cantiere, pendente un pronunciamento sull’intera questione. Con questo episodio si è evidenziato l’ampio ruolo interpretativo affidato alla Commissione del Paesaggio su aspetti più che morfologici in senso estetico ma strutturali del tessuto urbano, della sua funzionalità e di un suo ragionevole ordinato disegno. Porre il problema del ruolo della Commissione del Paesaggio, denominazione così pomposa rispetto alla più modesta e appropriata precedente Commissione edilizia, significa sollevare la questione a chi e a che titolo e con quale autorevolezza è demandato questo delicatissimo potere; che non riguarda solo un problema giuridico ma in larga misura una condivisa visione dei problemi comuni della bellezza dei luoghi in cui si vive, non riducibili a qualche sbrigativo imbellettamento delle facciate e alla autoreferenzialità sempre più diffusa di committenti e architetti. Ognuno nel suo cortile, con l’Amministrazione ad amministrare codicilli o contorte interpretazioni dello spazio cortilizio da parte della Commissione del Paesaggio, che dovrebbe volare alto e quindi non perdersi nel cortile. Basterebbe, senza iniuria verbis, scorrere la composizione della Commissione d’Ornato di napoleonica memoria, dal Canonica al Bossi. Un’ultima considerazione che apre ad altre domande. Se la città, la sua immagine, il suo spazio pubblico, il decoro delle sue superfici, la manutenzione di strade e giardini, sono in questo stato, dovremmo pur chiederci a quale bivio si è imboccata una qualche direzione sbagliata. Una situazione che mi pare aggravata dalla cessione e dal trasferimento di diritti volumetrici, anche quelli del Comune, che con la buona intenzione di perequare gli interessi della rendita urbana tuttavia appaiono acuire squilibri e disuguaglianze agli occhi dei cittadini.

