UCTAT Newsletter n.50 – novembre 2022
di Andrea Tartaglia
Analizzando i contenuti del PGT di Milano, discutendone con i progettisti e gli sviluppatori immobiliari che tutti i giorni lo devono applicare, partecipando agli incontri sulle tematiche dell’urbanistica milanese è facile acquisire tre certezze.
Certamente il PGT punta a migliorare i contenuti ambientali dei progetti e a favorire la resilienza della città rispetto al ben noto fenomeno del cambiamento climatico. In particolare nelle norme di attuazione del Piano delle regole è stato inserito l’articolo 10 dal titolo Sostenibilità ambientale e resilienza urbana. Articolo seguito poi da un Documento tecnico in cui vengono dettagliate e chiarite le modalità di attuazione. Attraverso le indicazioni normative correttamente si spingono i progettisti verso soluzioni progettuali che deimpermeabilizzino i suoli, che li liberino dal costruito che dovrebbe invece, secondo i più recenti modelli, concentrarsi favorendo uno sviluppo più verticale. Per meglio rispondere alle esigenze di un significativo risparmio energetico le tipologie edilizie devono anch’esse evolversi seguendo logiche più di architettura bioclimatica che non di un equilibrato disegno urbano. Ma anche materiali e cromatismi devono cambiare facendo attenzione ad aspetti quali l’indice di riflettanza solare. Solo così è possibile avvicinarsi agli ambiziosi target posti dal Comune attraverso l’indice di riduzione di impatto climatico e minimizzare le emissioni di carbonio in linea con gli obiettivi municipali.
Parallelamente, almeno uguale attenzione è stata posta alla qualità morfologica del costruito. Le indicazioni morfologiche sono tranchant. È necessario allinearsi nelle altezze, essere compatti nelle cortine, evitare eccezioni o fenomeni di innesto “violento” (come invece in passato hanno fatto Moretti in corso Italia, i fratelli Castiglioni in via Turati e molti altri ancora). Meglio adottare un modello chiaro di città rifacendosi ad un certo periodo storico e ad uno specifico modello tipologico e insediativo tra i diversi che si sono susseguiti nel lungo processo di evoluzione del tessuto urbano milanese. Certamente si limiteranno le possibilità di singole progettualità di anomala qualità (che tuttavia aprono anche ai rischi di progettualità fortemente scadenti) a favore di un’immagine cittadina mediamente più omogenea e con un diffuso e costante livello di decoro. Indicazioni morfologiche che sono state anche sintetizzate in otto soluzioni conformi e 5 non conformi inserite in 13 schede grafiche che dovrebbero permettere di coprire le diverse casistiche riscontrabili nella città di Milano. Certamente è possibile fuoriuscire dalle otto alternative conformi, ma bisogna accettare importanti penalizzazioni in termini di superfici accessorie e di riuso della volumetria preesistente ai livelli seminterrati e interrati.
Infine, è molto chiaro quale sia il miglior strumento per incentivare verso percorsi progettuali o soluzioni di maggiore qualità (architettonica, energetica, abitativa per le fasce economicamente più deboli). Il metodo è di permettere un aumento più o meno significativo delle volumetrie realizzabili. In questo modo, i maggiori costi o minori guadagni vengono compensati recuperati attraverso l’aumento delle quantità realizzabili, stimolando gli operatori a perseguire gli obiettivi individuati dell’Amministrazione. Modello fortemente potenziato (probabilmente ben al di là di quanto avrebbe voluto l’Amministrazione cittadina) anche dall’intervento normativo regionale (legge regionale 18 del 2019).
Si tratta quindi di tre elementi/indirizzi che caratterizzano la pianificazione milanese contemporanea e che sono certamente condivisibili nelle premesse (forse non sempre nella modalità attuative, ma non si può essere sempre tutti d’accordo). Scelte chiare, nette e indubbiamente finalizzate ad affrontare da punti di vista diversi il tema ampio e sfaccettato della qualità della vita nella città di Milano.
Tuttavia nasce un dubbio. In passato l’urbanistica era solita ricondurre nei piani le indicazioni normative e pianificatorie ad un vero e proprio “disegno urbano” che riassumeva e dava fisicità alle parti testuali dei documenti. Un modello certamente rigido ma che limitava i dubbi interpretativi, chiariva le possibilità e volontà attuative pubbliche e, in un certo senso, ne preverificava la fattibilità. Oggi però l’urbanistica è molto cambiata. Si parla di strategie, di visioni e poi si scrivono articoli normativi che vengono perfezionati e poi nella applicazione decriptati attraverso la lente delle scienze giuridiche. Ed è proprio in questo ambito che nasce anche il concetto di “combinato disposto”. Cioè la necessità di comprendere (e anticipare) il risultato dell’interpretazione congiunta di due o più norme. E qua nasce il dubbio. Ma è stato valutato il combinato disposto tra il modello di perseguimento della sostenibilità e resilienza con quello della qualità morfologica e con quello delle incentivazioni? Infatti troppo spesso, nel tentativo di applicarli all’interno di un intervento, si ha il dubbio di tre realtà che viaggiano in modo divergente e il porre l’attenzione su una di esse significa allontanarsi sempre di più dalle altre due. Ma è solo un dubbio.
