La città desacralizzata

UCTAT Newsletter n.53 – febbraio 2023

di Massimo Venturi Ferriolo

La città è ancora un luogo? La domanda è forte anche se pare superflua in quanto la risposta è comunque affermativa se diamo al termine luogo il significato ampio dato dal vocabolario Treccani di «una parte dello spazio, idealmente o materialmente circoscritta». In tal caso, sì la città è ancora un luogo. Se invece restringiamo la parola al suo senso originario di ethos come spazio della totalità dell’esistenza nel suo spirito immanente dove ogni abitante giocava la sua parte, il suo nomos, la città non è più un luogo perché desacralizzata. Essa, fondata sul sacro e col sacro inteso nel «precisamente questo» dei suoi elementi compositivi, demonici, che caratterizzavano la presenza del divino del mondo, si è allontanata nel «totalmente altro» della trascendenza, relegandolo in spazi riservati. Spazi via via dimenticati nell’attuale progettazione. Si salva solo la cosiddetta natura desacralizzata divenuta orpello di un’assenza reale. Le piante, emblema del divino, sono divenute sì specchio di una natura assente ai nostri occhi, ma pura apparenza in una città senza spirito, senz’anima.

Nella nostra tradizione culturale la città nasce in Grecia. L’uomo è un costruttore di vita umana associata, di poleis, essenza del vivere in comune per risolvere i bisogni come insegna Platone. La filosofia, va aggiunto, nasce con la città, la discute e vi trova terreno fertile per la dialettica fondamento della stessa libertà che la costituisce. È nata come risposta ai problemi del tempo. Attiene al progetto del mondo umano ed è a tutto diritto pensiero paesaggistico: risposta ai problemi dell’uomo, dei luoghi in cui vive e segnati dal suo corpo con i sensi. È la risposta pratica – nel suo senso originario – ai problemi della città che oggi ha perduto la buona visibilità e vivibilità dell’insieme, di natura e spirito.

Arnold Toynbee in La città aggressiva constatava, negli anni Settanta del secolo scorso, lo slittamento della megalopoli nella futura Ecumenopoli globale costruita dall’uomo, ma da questo assai distante. La città, prima della sua evoluzione in meccanizzata, secondo il grande filologo classico, «è stata, fra l’altro, in un certo grado una città santa. La religione è a mio parere un elemento intrinseco e distintivo della natura umana, ed è indiscutibile che, fino a non più di duecento anni fa circa, ogni città aveva, fra tanti altri, anche un aspetto religioso»[1]. La città nella sua storia ha accolto in sé il sacro nel suo atto fondativo, un dio o un eroe eponimo, un archegeta o scopritore di luoghi. La religione, senza essere nominata per l’assenza stessa del termine, era presente nel tessuto urbano – sociale della città antica. Oggi la città, metropoli, è desacralizzata anche se mantiene enclaves contenenti luoghi sacri come chiese, templi e santuari. Ciò nonostante Toynbee sostiene che la religione sia un elemento fondamentale della prossima Città-Mondo, «futuro habitat della specie umana»[2].

Oggi nessun progetto può ignorare che la città moderna «è una città di contraddizioni, ospita molti gruppi etnici, molte culture e classi, molte religioni»[3], nessun progetto può ignorarne la realtà multietnica. La trasformazione rapida muta la città in una tensione incessante dove il presente è segnato dalla contemporaneità di ciò che è, di ciò che è stato, di ciò che sarà. Al confine troviamo il margine che, nelle metropoli si collega alla perdita del centro, come entità geometrica e socioeconomica, effetto delle migrazioni sociali con la conseguente trasformazione dell’abitare, causata dalla relazione antagonista tra soggetti individuali o collettivi in competizione tra di loro. Entrano altre culture confluendo nell’identità narrativa originaria di un luogo, modificando il processo di paesaggio nel riconoscimento interculturale in un sincretismo fluttuante. Si apre un processo ibrido in direzione di un futuro eterogeneo dove l’accoglienza può annullare l’integrazione in un’unica cultura, aprendo all’inaccaduto e all’ignoto.

In un mondo in continuo movimento, dove i luoghi accolgono differenti culture, venute da lontano, lo stesso centro, quando rimane, si trasforma in un ecotono dove transitano e si soffermano diversi flussi etnici, dando vita a nuovi luoghi con le rinnovate misure dei gruppi di persone che abitano insieme. La loro vicinanza, l’apertura di un rapporto con l’altro sviluppa la possibilità dell’esistenza di un mondo comune che non distrugge quello proprio a ciascuno, un mondo in divenire, un mondo di soglie ai bordi della nostra dimora che preparano l’incontro con l’altro. Possiamo considerare un ecotono la soglia dell’incontro con l’altro, nella dialettica del margine / conflitto tra interno ed esterno. Il progetto deve rispondere ai problemi del nostro tempo inserendosi nell’identità narrativa dei luoghi. La “nuova città”, se così vogliamo chiamarla, reclama spazi di socializzazione tra culto, cultura e commercio per un’ampia partecipazione collettiva. Su questo tema stringente si sono aperte ricerche, negli ultimi dieci anni del secolo scorso, sulla possibile creazione di uno spazio urbano «dedicato alla socializzazione in cui si possano riconoscere individui che appartengono a paesi, religioni, tradizioni differenti. Spazio urbano che possa contenere forme diverse di Dio, spazio in cui l’immagine si possa accordare da una parte con la divinità, dall’altra con la propria storia»[4].

Crediamo che la scommessa futura sia la creazione in una città di luoghi di socializzazione contenenti altri luoghi, intendendo con ciò l’eutopia, intesa nel suo senso letterale di ricerca del bel luogo, di un ethos comune che accolga le diverse visioni del sacro, un giardino dove tutti si possano riconoscere e a loro volta essere riconosciuti. Giardino, beninteso, come metafora delle relazioni costitutive di un mondo migliore.


[1] A. Toynbee, La città aggressiva (1970), tr. it. di E. Clementelli, Laterza, Bari 1972, p. 183.

[2] Ibid., p. 184.

[3] J. Rykwert, La seduzione del luogo. Storia e futuro delle città, tr. it. di D. Sacchi, Einaudi, Torino 2003, p. 7.

[4] Così Antonio Piva, «Gli spazi della cultura tra culto e commercio», in La città multietnica: lo spazi sacro, a cura di A. Piva, Marsilio, Venezia 1995, p.12.  A cura dello stesso Antonio Piva è uscito l’anno successivo il volume La città multietnica: cultura della socializzazione, Marsilio, Venezia 1996. I due volumi sono il risultato di una ricerca che ha coinvolto più università e a cui ha partecipato il sottoscritto.

Bozzetto per la quinta porta del Duomo di Lucio Fontana, 1955-56.
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