La questione della casa a Milano

UCTAT Newsletter n.55 – aprile 2023

di Elena Mussinelli

Ormai da decenni si è in attesa di programmi che diano risposta al soddisfacimento della domanda abitativa che caratterizza il nostro Paese, con fabbisogni significativi ma certamente nemmeno lontanamente paragonabili sul piano quantitativo a quelli dei primi cicli edilizi (anni 50, 60, 70), anche considerando che gli italiani sono “un popolo di proprietari” (il 70,8% delle famiglie è proprietario della casa in cui vive, il 28,0% di queste è proprietario di altri immobili;, l’8,7% gode della casa in usufrutto o a titolo gratuito, il 20,5% vive in affitto”, mentre circa il 5,9% vive in condizione di deprivazione abitativa; CRESME, 2022).

Il tema della domanda abitativa sociale, relativa alla popolazione socialmente ed economicamente più fragile, è inoltre strettamente connesso a quello delle periferie, ovvero del degrado e della necessaria riqualificazione di vasti comparti delle nostre città e aree metropolitane, per i processi di obsolescenza fisiologica che interessano il patrimonio di edilizia residenziale pubblica (ERP), e non solo, realizzato nel secolo scorso.

Nel contesto milanese si registra un disagio abitativo crescente legato all’incremento dei valori immobiliari e ai processi di gentrificazione che hanno caratterizzato il post-Expo 2015 (prezzi medi di vendita attuali pari a 5.185€/mq): con una forbice sempre più ampia tra le fasce abbienti, che possono permettersi abitazioni anche di lusso (in grande aumento a Milano anche in contesti semiperiferici) e investimenti in seconde case, e quelle in condizioni socioeconomiche grave precarietà. Con il permanere di una cronica carenza di abitazioni in affitto a costi accessibili, ulteriormente aggravatasi con l’incremento di attrattività della città ai flussi turistici (oltre 7 milioni di turisti/anno), che ha azzerato le disponibilità di affitto a medio-lungo termine e fatto lievitare paurosamente i costi (+16% l’aumento medio tra il 2022 e il 2023, con punte del + 245% nella settimana del Fuorisalone 2023 (Ricerca Abitare Co relativa alle “Vie del Design”, 2023).

Anche una recente ricerca Uil-Centro Studi Eures ha definito Milano “capitale italiana delle disuguaglianze”, con il reddito medio più alto d’Italia (35.585 €/anno), ma anche con circa il 35% degli abitanti con un reddito inferiore a 15.000 €/anno). Come conferma un indice di Gini pari a 0,54 (l’indicatore misura la concentrazione dei redditi con valori compresi tra zero/completa uguaglianza e uno/assoluta disparità), la popolazione urbana tende a dividersi in due fasce sempre più separate e distinte. Da una parte i “super-ricchi” (uno su due vive a Milano, il 54% dello 0,01% della micro-fascia di chi guadagna più di 533mila euro e il 42% del top 0,1%, ovvero di chi percepisce oltre 217mila euro annui; XXI Relazione Annuale Inps). Dall’altra i lavoratori precari e a basso reddito, i pensionati, gli immigrati, con limitate o nulle prospettive di mobilità sociale.

L’amministrazione milanese ha recentemente illustrato pubblicamente i contenuti del documento “Una nuova strategia per la casa, volto a “riportare il tema dell’abitare al centro dell’iniziativa pubblica”, che raccoglie un articolato insieme di elementi conoscitivi e riflessioni – dallo stato dell’arte del rapporto domanda/offerta di abitazioni, fino all’ospitalità turistica –, finalizzati a delineare un “processo decisionale per orientare le politiche urbane degli anni futuri” che conduca all’attuazione di alcune strategie: una alleanza strategica (la “Società casa”) e una governance condivisa, interistituzionale e interscalare, per un nuovo piano casa; modelli abitativi condivisi e per tutti; la riqualificazione del patrimonio pubblico; l’innovazione, la qualità e la sostenibilità dell’abitare; la densificazione nei vuoti urbani.

Senza entrare nel merito degli specifici contenuti, stupisce in particolare l’assenza di una qualsivoglia dimensione temporale del documento, che pure dovrebbe essere alla base di ogni azione programmatoria. E anche che non sia rappresentata una chiara ed esaustiva analisi della domanda, sviluppata infatti “solo da un punto di vista delle partecipazioni agli avvisi emanati dal Comune di Milano per l’assegnazione di alloggi SAP (Servizio abitativo pubblico) di proprietà sia comunale che di ALER Milano, ubicati nel territorio cittadino”. In pratica, il documento non fornisce alcuna stima precisa circa il fabbisogno insoddisfatto e il suo andamento nel tempo (servirebbe un arco almeno decennale…). Sappiamo così solo che tra maggio 2021 e dicembre 2022 sono state presentate oltre 46.000 domande per alloggi del Comune o ERP (dato da epurare delle richieste multiple/reiterate), cui si aggiungono le circa 1.300 domande/anno per Servizi Abitativi Transitori. E che, delle 27.075 unità abitative di proprietà del Comune di Milano, 22.113 risultano assegnate e 4.962 sfitte e da ristrutturare, per un costo stimato in 200.000.000 euro.

Non è presente nemmeno una analisi delle condizioni abitative attuali (sovraffollamento, coabitazioni, numero dei senzacasa e con sistemazioni precarie) e future (proiezioni della domanda in base alle tendenze demografiche e socioeconomiche, agli sfratti in via di esecuzione, ecc.).

Secondo il SICET, nel 2018, le domande erano state 25.192, a fronte dell’offerta di 859 alloggi (tra Aler e Comune), pari al 3,4% delle domande, mentre le richieste agli Ufficiali Giudiziari di eseguire una sentenza di sfratto erano 19.430 (Convegno SICET “Milano città esclusiva. Milano città che esclude”, 2022).

Con tutte le approssimazioni derivanti dall’incertezza di questi numeri, sembra ragionevole stimare che, anche a recuperare tutti gli alloggi pubblici oggi sfitti, si arriverebbe a coprire circa un quinto, se va bene un quarto, della domanda. E non è inutile ricordare che stiamo parlando di situazioni di indigenza, perché i requisiti di assegnazione richiedono una ISEE decisamente bassi.

La criticità è evidente, e a poco vale annegare la domanda di chi vive il problema della casa come emergenza drammatica dentro alla generica nozione di social housing che non individua chiaramente l’esigenza prioritaria di destinare ai meno abbienti gli investimenti e l’offerta abitativa pubblica, prospettando viceversa risposte rivolte a un amplissimo panel di categorie di utenza, spesso anche dotate di risorse economiche proprie (cito testualmente dal documento del Comune: “E’ dunque necessario attivare un’offerta adeguata, da un lato destinata a chi si trova in condizioni di disagio abitativo come i nuclei in condizione di morosità incolpevole o sottoposti a provvedimento di sfratto, ma anche più estesamente alle domande generate da nuove classi di utenti quali studenti, lavoratori temporanei, parenti di degenti in strutture ospedaliere e, più in generale, city users a Milano per un periodo limitato di tempo”).

Due dovrebbero essere invece le priorità.

Prima di tutto un impegno straordinario capace di dare risposte in tempi sufficientemente rapidi a situazioni di grave bisogno, quelle che chiunque di noi ha sotto gli occhi tutti i giorni, in centro come in periferia: anziani soli, extracomunitari, famiglie migranti, a volte persino persone con disabilità psichica e/o fisica che vivono senza un tetto dormendo in strada o in condizioni estremamente precarie. Non sono migliaia, e in una città ricca come Milano, dove gli investimenti immobiliari producono rendite elevatissime, non dovrebbe essere poi così impossibile trovare le risorse per costruire rapidamente un’offerta decorosa. Perché la città pubblica non dovrebbe essere fatta solo di costosissime Biblioteche degli alberi o di Piazze commerciali come quelle di Gae Aulenti e Loreto. Ed è all’amministrazione che spetta decidere la priorità.

In secondo luogo, la ripresa di una vera azione pubblica di programmazione di edilizia agevolata e anche – ma non solo – in convenzione coi privati, che punti a svolgere un ruolo di calmiere del mercato per le fasce di reddito medio-basse, ben oltre le improbabili proposte di regolamentazione dell’offerta turistica privata. Tornando a ricercare soluzioni spaziali e tecno-tipologiche razionali ed economiche. Ad esempio, con un corretto dimensionamento del rapporto tra spazi serviti e spazi serventi, con balconi di dimensioni limitate al soddisfacimento della minima fruibilità necessaria, con scelte materiche improntate alla durevolezza e alla manutenibilità, ecc.: criteri elementari di funzionalità e appropriatezza oggi forse dimenticati o sacrificati all’immagine di qualche parapetto vetrato, e che fino a non molti anni fa erano invece patrimonio diffuso della cultura progettuale.

Un’ultima nota: secondo una ricerca elaborata da Sarpi e da Fides Advisor Real Estate, recentemente rilanciata dal Corriere della Sera, l’evoluzione del mercato immobiliare nel 2022 a Milano mostra come su oltre 45.000 immobili messi in vendita nel 2021, quasi 20.000 non abbiano trovato alcun compratore nei primi 9 mesi dell’anno; su un orizzonte temporale di oltre 12 mesi, ne rimarrebbero comunque invenduti 8.000. Le motivazioni individuate fanno principalmente riferimento a prezzi troppo elevati e, drammaticamente, all’offerta di alloggi dalla “pianta irregolare” (perché di questi tempi pare diventato molto di moda disegnare edifico con almeno un lato bizzarramente storto…, anche nell’edilizia convenzionata e agevolata). Dopo l’urbanistica tattica, e con la prospettiva di una non improbabile nuova bolla immobiliare, francamente, sentire il pubblico parlare di Tactical Housing lascia quantomeno perplessi.

Cascina Merlata, Milano.
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