L’atmosfera dei Navigli

UCTAT Newsletter n.53 – febbraio 2023

di Edo Bricchetti

Oggi si parla molto dei navigli. Chi ne paventa la riapertura e chi, invece, ne sostiene la valenza ambientale. Eppure i navigli sono stati per 800 anni il cuore e l’anima della città, una città tutta raccolta su stessa nella magnifica rotondità del suo cerchio murario. Dei tanti canali, diramazioni, cavi idraulici, rogge che fino ai primi anni del ‘900 hanno innervato questa straordinaria e spesso sottovalutata città, non c’è, però, quasi più traccia. Eppure l’abbondanza di buone acque – come ricorda Bonvesin della Riva nel 1288 ha animato la vita cittadina per secoli fornendo servizi, lavoro, movimentazione di merci, energia motrice per i tanti e più svariati mestieri esercitati sull’acqua e con l’acqua. Oggi, però, le ripe dei navigli, o ciò che rimane di esse, sono animate solo da un ammasso di attività ed esercizi commerciali “movidosi”. Il risultato non è sicuramente dei migliori soprattutto se rapportato a quello che era o doveva essere il contesto originario. L’acqua è un teatro di vita dalla portata decisamente innovativa. Dall’acqua si possono trarre spunti per muoverci più dolcemente [navigando], avere più spazi per il quieto vivere, per la contemplazione senza che questi spazi siano occupati dai soli esercizi commerciali. Non c’è bisogno di complicati artifizi, basterebbe semplicemente interpretare l’anima della città ed assecondarla con atti di urbanesimo gentile. Oggi Milano è una metropoli incentrata su strade ad uso esclusivo delle autovetture. Ingressi contingentati, ZTL, aree C, B, etc. sono il termometro della nostra impotenza. Avevamo dei buoni suggerimenti, ma non li abbiamo saputi cogliere. In qualche modo dovremmo ora rimediare riallineandoci a quello che Giuseppe Codara, non molto tempo fa,diceva a proposito dei navigli: “È la vita degli ambrosiani di tutti i tempi”. Quest’anima è venuta meno con l’interramento dei navigli. Oggi Milano è la città della fashion week, della design week, dei grattacieli della Milano verticale. Difficile riproporre oggi quello che è stato quasi eticamente il marchio di fabbrica della città, ma ricomporre quel marchio segnerebbe un passo intelligente di riqualificazione ambientale per una città che si è pesantemente seduta su se stessa e sulle proprie convinzioni metropolitane senza mai voltarsi indietro, quando, invece, avrebbe dovuto “guarda indrée, avant de ciapà la corsa per podé anda denanz.”

Quando tutto ebbe inizio

Tutto ebbe inizio con la costruzione del Naviglietto, un fossato progettato nel 1156 da Guglielmo di Quintellino a protezione delle mura medievali. Leonardo vi s’affacciava spesso dalla sua vigna nel Borgo delle Grazie quando lavorava al Cenacolo. Il Naviglietto aveva origine presso il fossato del Castello Sforzesco, lambiva Porta Vercellina [all’incrocio di Corso Magenta con via Carducci] e il Convento di San Gerolamo [via Carducci] per poi immettersi nel vecchio fossato medievale all’altezza di via De Amicis. Per questo era detto anche Naviglio Ducale o Naviglio di San Gerolamo. Fu Gian Galeazzo Visconti, nel 1387-1388 a propiziare la navigazione nel tratto dal Laghetto di Sant’Eustorgio [Naviglio Grande] alla Fossa interna. Per l’occasione fece dragare ed ampliare il fossato per permettere alle barche a fondo piatto (chiatte) di navigare fino al Laghetto di Santo Stefano (nei pressi dell’Ospedale Cà Granda) e scaricare le lastre di marmo di Candoglia nei cantieri del Duomo. Restava da sistemare, però, il dislivello di ca. 5 braccia (ca. 3 metri) esistente fra il Laghetto di Sant’ Eustorgio e la Fossa interna. Vi si ovviò con la costruzione, fra il1438 e il 1439, della Chiusa di via Arena (comunemente nota come Conca di Viarenna) e di un tratto di naviglio di raccordo Naviglio Vallone [viaOlocati, oggi via Conca del Naviglio] fra la Fossae Sant’Eustorgio. Ma non si trattava di una vera e propria conca quanto, piuttosto, di un sistema di chiuse con le quali si sbarravano alternativamente, a monte e a valle, i carichi e scarichi dell’acqua nella fase di riempimento e/o di svuotamento del bacino della chiusa. Dal Laghetto di Santo Stefano a San Marco il fossato era alimentato solamente da acque di risorgiva e di risulta per cui non era possibile navigare.  Solo nel 1496-1497 si potè mettere a mano alla navigazione allorquando Ludovico il Moro diede ordine di costruire la Conca dell’Incoronata in San Marco [via Castelfidardo]. Questa sì, era una vera conca vinciana nel senso che vi furono introdotti quegli accorgimenti tecnici che Leonardo da Vinci aveva pensato per rendere più fluido ed efficace la concata, quindi: portine a monte, sportelli a farfalla, apertura delle portine ad angolo acuto (controcorrente), gradoni all’interno del bacino della conca. La Conca dell’Incoronata, così chiamata per via della vicinanza con la Chiesa dell’Incoronata, permise di raccordare le acque del Naviglio Martesana alla Cerchia interna. Il Naviglio Martesana fu costruito a tempo di primato in soli 6 anni, fra il 1456 e il 1463, ma si arrestava, però, alla Cassina de’ Pomm, in località i Sabbioni [Greco Milanese] sul limitare della città. Fu prolungato in seguito fino a San Marco Naviglio di San Marco seguendo in parte il tracciato del Seveso (Sevesetto). Nel 1576 il tracciato del naviglio fra la Cassina de’ Pomm e il bacino di San Marco fu modificato e reso più lineare [via Melchiorre Gioia]. A valle della Conca dell’Incoronata fu ricavato in San Marco un grande slargo, il futuro porto in terra di Milano. Da qui in poi le acque proseguivano fino alla Chiesa di San Marco dove venne costruita una seconda conca, la Conca di San Marco, punto di svolta ed immissione delle acque nella Cerchia interna dei navigli milanesi. Solo allora, con l’introduzione delle acque del Martesana, la navigazione lungo la Cerchia divenne una vera e propria direttrice di traffici. A seguire furono costruite altre conche: la Conca del Marcellino [via Fatebenefratelli] e la Conca di Porta Venezia [via Senato]. Le acque della Cerchia, dopo via Senato, proseguivano per Via Francesco Sforza, via Santa Sofia, via Mulino delle Armi e si scaricavano a sud della città nelle due rogge del Ticinello (in uscita dal Laghetto di Sant’Eustorgio) e della Vettabbia [di epoca romana] presso Porta Ticinese. Il fossato era largo fra i 10 e i 6 metri, alto [dal pelo dell’acqua] ca.1,80 nei suoi punti massimi di profondità e 80 centimetri nei punti minimi, sufficienti, comunque, per naviugare [barconi a fondo piatto]. Il pescaggio medio [in acque normali] era di ca. mt. 0.70. Sul fondo del canale, pavimentato in cemento, s’aprivano 35 scaricatori/sfioratori e 3 bocche di derivazione. Lo scavalcavano 4 ponti in ferro, 10 ponti in muratura, 2 in cemento. Oggi i ponti lungo la cerchia sono stati tutti demoliti; unico esemplare rimasto è il vecchio ponte in ghisa delle Sirenette, collocato al Parco Sempione.

Milano città d’acque, ieri                

Nella mappa di Milano del 1860, edita da Antonio Vallardi, il volto di Milano, prima delle innovazioni urbanistiche introdotte dall’ingegnere Cesare Beruto (P.R.G. 1884-1889), era quello di unacittàcon un centro storico densamente abitato e un fitto reticolato di vie ancora sorprendentemente medievali. Nuovi quartieri erano ritagliati fra i terreni agricoli e le aree inedificate nella fascia di territorio compresa fra la Cerchia internae i bastioni della cinta muraria spagnola. Dal centro le strade si allungavano lungo le direttrici viarie di Corso di Porta Vercellina, Corso di Porta Ticinese, Corso di Porta Romana, Strada al Dazio di Porta Vittoria, Corso di Porta Orientale, Corso di Porta Nuova, Corso di Porta Comasina, Strada per Varese. Una terza area, non inclusa nella mappa, racchiudeva i vecchi borghi rurali delle municipalità “fuori Porta”, i cosiddetti Corpi Santi milanesi. In sostanza il primo anello, quello dei navigli, ricalcava il tracciato del vecchio fossato medievale [circonvallazione interna]; il secondo, quello esterno, i bastioni spagnoli [circonvallazione esterna]. L’immagine che ne usciva era quella di una città di quasi 200.000 abitanti stretta nella morsa delle sue cinte murarie. L’attraversavano, però, parecchi corsi d’acqua oltre al fossato cittadino [Naviglio Milanese]: il Redefossi, l’Olona, il Lambro, il Nirone, il Lura, la Roggia Ticinello, la Roggia Vettabbia.

Milano città d’acque, oggi

Oggi il laghetto di San Marco è occupato da un parcheggio e quello di Santo Stefano è uno slargo nel dedalo delle viuzze attorno all’Università Statale; la darsena di Porta Ticinese è uno specchio d’acqua senza particolari funzioni; il Cavo Ticinello, in uscita dalla darsena, è una traccia impercettibile, ricettacolo di rifiuti; la Roggia Vettabbia si nasconde alla vista per ricomparire solo più a valle, in periferia; le ripe del Naviglio Grande sono solo una lunga sequenza di locali della movida; al posto delle vecchie osterie, botteghe, sciostre (depositi)brulicano nuovi locali, bar, ristoranti, pizzerie. Nella parte alta della città le ripe del Naviglio Martesana aprono uno squarcio ambientale nel caotico viale Monza, ma nessuno sembra accorgersene. Lungo la circonvallazione interna fanno ancora bella mostra di sé alcune palazzi gentili (via Senato, via San Damiano). Le abitazioni economiche (via Molino delle Armi) sono solo un flash, ma dalle pile quasi esaurite. I milanesi doc distinguevano ironicamente fra il naviglio in camicia (il naviglio che lavora) e il naviglio in marsina (quello dei sciuri). Al primo appartenevano vie come Molino delle Armi, Santa Sofia, la Pusterla dei Fabbri, i mercati di Porta Ticinese; al secondo i palazzi di via Senato, San Damiano, Visconti di Modrone. Il ponte del Trofeo, quello sul Naviglio Pavese, di trofeo non ha più nulla. Il Ponte dello Scodellino all’entrata del Naviglio Grande in darsena è oggi solo un crocevia di traffici; il ponte della Catena [Ponte Alda Merini] è forse l’unica testimonianza dei vecchi ponti in pietra a schiena d’asino; il vicolo dei lavandai è un richiamo che non richiama più nessuno.

La Milano dei pittori

Il confronto con le immagini d’epoca è impietoso, soprattutto con i dipinti dei pittori dei navigli. Nelle loro opere trasale un compiaciuto stupore per un paesaggio sempre bello da vedere anche quando fa da sfondo alle fatiche quotidiane. Difficile non commuoversi di fronte a quei dipinti e a quelle immagini che ci presentano una Milano che non c’è più, ma che è avvertita ancora come un’umanità viva, senza particolari distorsioni ambientali. Pittori del calibro di Angelo Inganni, Giuseppe Canella, Arturo Ferrari, Giovanni Segantini, Emilio Gola, Giannino Grossi, Mosé Bianchi, Giovanni Migliara e numerosi altri ancora, scelsero, a dispetto degli inviti accademici, di occuparsi della quotidianità della vita cittadina piuttosto che della magnificenza civile dei suoi monumenti. La precisione descrittiva di quei dipinti ci consente di confrontarci con ciò che è rimasto di quel tempo. Il risultato è una sorta di estraniazione, di spoliazione di valori avvertita a fior di pelle. 

Il declino La copertura dei navigli fu decretata nel 1886, ma portata poi a completamento in tutta fretta fra il 1939 e il 1940 senza, peraltro, le necessarie autorizzazioni ministeriali. Da allora la fortuna dei navigli milanesi declinò rapidamente per le ragioni più disparate: decoro urbano, misure d’igiene, adeguamento delle strade ai passaggi automobilistici, demolizione delle vecchie case, costruzione di nuovi condomini, recupero di aree edificabili, sfruttamento fondiario ed immobiliare, lasciando la città sprovveduta del suo antico abito d’acque, lasciandoci forse la sensazione che qualcosa se ne è andato senza che noi, o quelli che ci hanno preceduto, ce ne fossimo accorti. È come se si sentisse crescere in noi il rimpianto di non aver saputo governare il cambiamento, di non aver saputo limitare l’invadenza della metropoli.

Conca dell’Incoronata, Foto di Edo Bricchetti.
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