Le due Milano

UCTAT Newsletter n.49 – ottobre 2022

di Angela Ferravante*

Quando mi è stato chiesto di scrivere un contributo da inserire in questa newsletter a tema “i giovani e Milano”, mettendo in luce le nuove forze propositive della Città, confesso che mi sono trovata in difficoltà ed ancora oggi mentre scrivo ho la sensazione di non essere la persona maggiormente adatta a questo compito.

Ho riflettuto a lungo del perché, nonostante conosca ed in passato abbia attraversato esperienze e movimenti che desideravano porsi come cambiamento, “modificare radicalmente la società”, partendo prima di tutto dal territorio, non riesca oggi a narrare un’esperienza propositiva sul suolo milanese.

Penso che ciò dipenda, tra i vari motivi, dagli “occhiali rosa” che mi trovo oggi ad indossare da “giovane” milanese, ossia quelli di un avvocato penalista che ha a che fare spesso con l’umanità dolente.

La professione che esercito influenza irrimediabilmente la mia visione della società e quindi anche del territorio milanese e dei progetti, anche istituzionali, che vengono proposti, dandomi, ahimè, una visione privilegiata della città, che è assai distante da chi la amministra o da chi vorrebbe intervenire per migliorarla.

Certamente semplificando, quello che osservo tutti i giorni nelle aule dei tribunali, nelle carceri, in studio è l’esistenza di due Milano: una privilegiata, benestante, economicamente forte, che usufruisce e partecipa attivamente dell’offerta culturale e sociale, una città che vuole avere un taglio internazionale, competere con le grandi capitali europee, capace di declinare tale privilegio anche usando parole chiave di una certa cultura democratica, quali, ad esempio, “produzioni dal basso”, “bilanci partecipativi”, “interventi sui quartieri periferici”, parole che, nella loro applicazione, a mio avviso rimangono frequentemente prive di contenuto reale, ed una città povera, dove il disagio, la miseria economica e culturale, la disoccupazione e l’assenza di un controllo sul territorio lasciano spazio all’illecito, allo spaccio, soprattutto nei ragazzi giovani, alla violenza e alla sopraffazione dell’altro, dove vi è il più alto numero di immigrati, spesso irregolari, lasciati, in ogni senso, al loro destino e che contribuiscono grandemente al malessere loro e della città ed aumentano l’esasperazione di interi quartieri, alimentando l’odio di classe e di razza.

Perché si, questa Milano è ghettizzata e relegata sempre più nei quartieri periferici – una volta quartieri operai – e incrocia i quartieri centrali, dove vive la prima Milano, solamente quando viene all’onore delle cronache, per l’ennesima rapina in corso Como oppure per le aggressioni sessuali in branco in Duomo oppure perché qualcuno vive le abitazioni del centro, quali badanti o donne e uomini delle pulizie.

Con l’eccezione del volontariato di “emergenza”, ossia quelle associazioni che intervengono caritatevolmente su un disagio urgente (mense, pasti, docce, posti letto), i progetti che vedo essere proposti nei quartieri, spesso finanziati dalle istituzioni ed avanzati dalla Milano che sta bene, non entrano neppure in contatto con gli abitanti dei quartieri in cui vengono messi in essere, non hanno capacità di incidere su quel disagio che abita il territorio, forse perché non lo conoscono realmente, forse perché in fondo non lo perseguono come obiettivo.

Sono progetti magari rivolti ai giovani e proposti dai giovani, talvolta con moventi anche di lucro, che nei fatti però si limitano a richiamare per un sabato sera o una domenica mattina quella Milano borghese, che si reca nel quartiere multietnico di turno, delle case popolari, dello spaccio nei cortili o negli edifici abbandonati, delle abitazioni occupate, delle risse per strada e della criminalità organizzata, in una visita dal sapore etnico e mondano.

Sulla carta sembrano tutti progetti interessanti, nei fatti sono attività svolte per la prima Milano che si approccia alla seconda con un atteggiamento quantomeno paternalistico.

D’altronde è inutile stupirsi, il Mercato ha voluto ed è riuscito a creare una società priva di ideali e spinte solidaristiche – con l’eccezione di una strenua minoranza, che sovente è connotata da animo religioso – ove i giovani sono soggetti individuali, concentrati sul loro singolo benessere individuale, e chi propone progetti “sociali” è spesso mosso da un desiderio di autogratificazione e promozione sociale.

Tuttavia, non si prenda l’abbaglio – tipico di una certa sinistra – di credere che vi sia un rapporto di vittime e carnefici tra le due Milano.

I giovani “proletari” che appartengono alla seconda Milano sono altrettanto individualisti e privi di ideali: arrivano nel mio studio, li osservi negli arresti di prima mattina, vestiti con capi di marca, li incontri fuori dal tribunale con suv della mercedes (che non si capisce come possano possedere), molti fruiscono di aiuti statali e raramente dai loro atteggiamenti o dalle loro parole scorgi la consapevolezza di un senso di comunità.

Questi giovani sono disinteressati alla sorte dei loro quartieri e delle persone che vi vivono. E poi vi sono i giovani, spesso clandestini, che affollano le carceri italiane e le gabbie delle aule, tra gli autori dei reati di strada, abitanti della seconda Milano, anch’essi privi di un riferimento ideologico, che puntano al “campà” quotidiano, con gli strumenti anche della violenza e della sopraffazione.

La distanza, la dicotomia, dei due mondi da un lato è lampante, dall’altro è frutto dello stesso sistema di potere che ha reso tutto sommato le due Milano, per aspirazioni e modi di agire, analoghe ed ha generato una società incapace di ribellarsi e ove i progetti proposti sono sempre e comunque compatibili con il sistema stesso.

Finché la prima Milano non sarà in grado di dismettere il proprio atteggiamento di superiorità, che porta all’incapacità o alla non volontà di comprendere le cause reali di quanto accade ai loro vicini – separati sul territorio da muri invisibili – e le soluzioni realistiche che bisognerebbe approntare, la situazione non cambierà ma forse nessuno ha il desiderio che cambi. E forse Milano non è altro che lo specchio di tante altre città e del paese intero.

Quartiere Mazzini, foto di Giovanni Castaldo, 2018
*Avvocato penalista
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