UCTAT Newsletter n.46 – giugno 2022
di Alessandra Bazzani
Il diritto urbanistico, non solo in Italia, sta affrontando una nuova stagione: quella della rigenerazione, oggetto di un serrato dibattito tra pianificatori, ambientalisti, sociologi e giuristi.
La nozione di rigenerazione è ancora in divenire, anche per la mancanza – al momento – di una disciplina statale di riferimento, ma se ne coglie la polisemia (contenimento consumo di suolo/inclusione sociale/ sostenibilità ambientale).
Il fenomeno è quindi multidisciplinare, poiché coinvolge pianificazione, ambiente e qualità dell’abitare.
Volgersi al riuso del suolo porta con sé anche un’accresciuta sensibilità per ricucire e migliorare la qualità dell’impianto urbano e promuovere l’inclusione sociale. In tale prospettiva la riqualificazione dei luoghi fisici non solo incide in termine di miglioramento degli spazi e dei servizi, ma ha anche una funzione moltiplicativa dei diritti d’uso: gli spazi recuperati permettono spesso la creazione di servizi.
Scopo di questo intervento è di indagare come il rapporto pubblico-privato si possa sviluppare nel contesto della rigenerazione, con particolare riguardo alle opere di urbanizzazione.
La cooperazione pubblico-privato nella realizzazione delle opere di urbanizzazione è presente già nella l. 1150/1942 dove l’art. 28, disciplinando i piani di lottizzazione, individua gli obblighi urbanizzativi in capo al lottizzante. Il piano attuativo è quindi uno strumento per raggiungere l’obiettivo di garantire la realizzazione o il potenziamento delle opere di urbanizzazione ogni volta che una zona venga interessata da un’attività di trasformazione che esiga il raccordo con il preesistente aggregato abitativo ed il potenziamento o la realizzazione delle opere di urbanizzazione (cfr. Cons. Stato n. 772/1991). Analoghi impegni a realizzare le opere pubbliche si trovano all’art. 31 l. 1150/1942.
La legislazione successiva, dalla l. 179/1992 che introduce i programmi integrati di intervento (la cui fortuna è dimostrata dal Documento di inquadramento della l.r. 9/1999), al DL 70/2011 (“Decreto Sviluppo”) e più di recente al DL 32/2019 (“Sblocca Cantieri”), ribadisce e incentiva la possibilità di agire con ricorso a strumenti consensuali, comunque centrati su di un modello di sviluppo alla scala edilizia.
La moderna concezione della pianificazione urbanistica si propone di interpretare e indirizzare i processi economico-sociali all’interno del contesto territoriale (Cons. Stato n. 2710/2012), coordinando tutti gli interessi che devono trovare soddisfacimento sul territorio. In questa accezione l’urbanistica dev’essere in grado di prospettare un modello di sviluppo economico e sociale e quindi di riflettere sul futuro.
Prova ne è che nell’ambito della Missione 2 del PNRRsi è rilevata la necessità di introdurre che una linea di intervento da introdurre quale elemento a sé stante deve essere rappresentata dalla rigenerazione urbana, quale strumento nell’ambito dell’obiettivo europeo di consumo di suolo a saldo zero da raggiungere entro il 2050.
La rigenerazione urbana e territoriale è stata oggetto di recenti interventi legislativi da parte della Regione Lombardia(l.r. 31/2014 e l.r. 18/2019). In particolare, con la l.r. 18/2019la Regione ha individuato una serie di misure per agevolare i processi di rigenerazione urbana e di recupero del patrimonio edilizio esistente, ricorrendo a estese forme di incentivazione. Una delle principali misure di incentivazione, volta sia a favorire gli interventi di rigenerazione, sia ad elevare la qualità edilizia e ambientale del recupero del patrimonio edilizio esistente, è contenuta all’art. 3, comma 2 lett. p) della l.r. 18/2019, che ha sostituito il comma 5 dell’art. 11 della l.r. 12/2005 (rubricato “Compensazione, perequazione ed incentivazione urbanistica”, ulteriormente modificato dalla l.r. 13/2020) e ha introdotto i commi 5-bis, ter, quater, quinquies, sexies. Le disposizioni citate collegano gli incentivi volumetrici al raggiungimento di una serie di finalità sociali e ambientali funzionali alla riqualificazione del suolo degradato e alla riduzione del consumo di suolo, tra cui la realizzazione di servizi abitativi pubblici e sociali, la riqualificazione ambientale e paesaggistica, l’interconnessione tra verde e costruito per la realizzazione di un ecosistema urbano sostenibile, la realizzazione di interventi destinati alla mobilità collettiva, all’interscambio modale, alla ciclabilità e alle relative opere di accessibilità, nonché di riqualificazione della rete infrastrutturale per la mobilità, declinati in criteri approvati con la DGR 5 agosto 2020 n. XI/3508.
Tra le forme incentivanti gli interventi di riqualificazione previste dalla l.r. 18/2019, vi sono altresì le riduzioni del contributo di costruzione, previste dall’art. 43, comma 2-quinquies l.r. 12/2005 come integrato dall’art. 4, comma 1, lett. c) l.r. 18/2019, in corrispondenza ad una serie di finalità volte a promuovere alti livelli di qualità edilizia e che si coordinano con gli incentivi volumetrici previsti dall’art. 11, comma 5 di cui si è detto, che sono state individuate dalla Regione con la DGR 5 agosto 2020, n. XI/3509
La risposta alle esigenze della pianificazione rigenerativa può quindi trovarsi in strumenti convenzionali che concilino i parametri del piano con la specificità degli interventi costruttivi.
In questa prospettiva viene in rilievo la partecipazione dei privati alla costruzione della società pubblica attraverso la realizzazione di opere di urbanizzazione e servizi. In una lettura costituzionale, l’impegno alla realizzazione delle opere di urbanizzazione si pone in equilibrio tra l’edificazione privata e le esigenze della collettività.
Tuttavia, come è stato osservato (Conti), non si verifica la compressione del diritto di proprietà (inteso come nucleo di libertà), “perché è l’autonomia privata che decide consapevolmente di attivare un procedimento nel quale l’espansione dello ius aedificandi si accompagna a quanto è necessario per la valorizzazione di tutti gli interessi coinvolti dallo sfruttamento edilizio”.
In altri termini, (Quaglia) il carattere bilaterale delle convenzioni urbanistiche garantisce la stabilità della pianificazione poiché la convenzione urbanistica investe l’intero progetto e non soltanto gli oneri urbanizzativi in capo all’operatore: si può affermare che l’utilità non è il mero scomputo, ma anche la possibilità di trasformare in senso urbanistico o edilizio gli immobili regolati dal progetto e dalla convenzione.
Ciò che dev’essere rafforzato è la consapevolezza che il contrasto al degrado urbano necessita di un programma pianificatorio che non si limiti a promuovere interventi edilizi, ma che incentivi valori sociali per arrivare al contrasto del degrado socio-economico, mirando al contempo al recupero ambientale e alla riconversione urbanistica in una prospettiva di uso sostenibile del territorio.
Viene pertanto in rilievo la pianificazione consensuale e attuativa perché, come osservato (Pagliari), essa favorisce scelte progettuali innovative rispetto al tessuto consolidato, che possono essere collegate a parametri qualitativi e possono permettere di superare le rigidità del piano.
In questa prospettiva l’incentivazione del riuso e della riqualificazione fanno del piano un contenitore nel quale calare un’ampia gamma di strumenti conformativi (P. Urbani); prova ne sono i PGT di Milano che hanno stimolato la partecipazione dei soggetti attuatori alla costruzione delle città anche attraverso diffuse forme di realizzazione di servizi di interesse collettivo. Il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo e trasformazione passa attraverso la condivisione di scelte strategiche: la rigenerazione è un’occasione per sviluppare un discorso sulla e con la comunità (L. Mazza).
