UCTAT Newsletter n.31 – febbraio 2021
di Edo Bricchetti – Referente scientifico “Ecomuseo Martesana”
con il contributo di:
Benigno Calvi (coordinatore)
Orazio Reolon (referente ACLI Martesana)
Partecipare sì, ma con emozioni
L’ecomuseo è un’associazione culturale che non ha poteri decisionali di governo del territorio, ma che può affiancare la sfera politica nella scelta delle misure più adeguate per salvaguardare e valorizzare il territorio. Il valore aggiunto dell’ecomuseo è la sfera soggettiva, emozionale, con cui i suoi attori territoriali percepiscono il proprio ambiente di vita e lavoro. Senza spinte emotive il processo di partecipazione sarebbe un concetto puramente astratto poiché verrebbe meno quel sentimento di appartenenza che è alla base del consenso e della condivisione. Cesare Pavese, in La luna e i falò (1950), diceva che «Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti». Per quanto diverse le esperienze fatte in questo campo, una cosa le accomuna tutte ed è la consapevolezza che senza emozioni è difficile essere parte di processi partecipativi oltre al fatto che occorrono anche occasioni e spazi fisici di aggregazione e confronto. Succede spesso che non si partecipi o perché non ci sono luoghi comuni dove poter condividere le emozioni o perché mancano motivazioni per cui riconoscersi in cause comuni da portare avanti. La partecipazione è un’operazione complessa che non può essere ridotta a una mera affermazione di principio. In molti casi si spaccia per partecipazione quello che è solo un momento d’informazione, nulla più. Per volgere la partecipazione occasionale in partecipazione reale, continuativa, occorre un lungo processo di educazione civica. È questa, fondamentalmente, la lezione che proviene dagli ecomusei.
La percezione del paesaggio
Il primo passo per un processo partecipativo è la percezione di ciò che ci circonda e che ci accompagna nelle faccende quotidiane poiché un bene, un paesaggio, un ambiente, un oggetto vengono tanto più salvaguardati quanto più sono conosciuti, apprezzati, filtrati attraverso un comune patrimonio di idee, lavoro e cultura. Ma non è sufficiente. Il patrimonio culturale, il DNA del territorio, deve essere trasmesso e non stagnare negli elenchi dei beni culturali. Il termine anglosassone “heritage” esprime assai bene il concetto della trasmissione, al contrario di quello Italiano “patrimonio”, molto più statico, meno avvolgente. La percezione del paesaggio e la consapevolezza del proprio heritage sono, dunque, i primi stadi di un processo partecipativo. C’è poi da dire che il paesaggio “vivente” quotidiano cambia di giorno in giorno: «La storia è uno specchio magico: chi vi guarda dentro, vi scorge la propria immagine in forma di avvenimenti e di sviluppi. Essa non si arresta mai. È in continuo movimento, come le generazioni che la osservano. Non è mai possibile coglierla nel suo complesso. Si rivelano a noi soltanto frammenti in rapporto al punto di vista del momento» (Siegfried Giedion, L’era della meccanizzazione, Edizioni Feltrinelli, Milano, 1967). Di conseguenza anche il paesaggio diventa storico in breve tempo. Ciò implica la necessità di strumenti adeguati e puntuali di registrazione e d’interpretazione delle trasformazioni in atto, sancendo, di fatto, il passaggio dalla percezione singola di un luogo, di un tema a una visione d’insieme più dinamica, corale. Viene in tal modo esplicitato un concetto nuovo di territorio che include valori e fatti più vicini ai sentimenti della gente che non alla geografia del territorio. È la soggettività degli attori territoriali a rendere ogni luogo unico e speciale. Da questo punto di vista gli ecomusei sono stati i primi a rimarcare questo aspetto e lo hanno fatto con una buona pratica di “cittadinanza attiva”: la mappa di comunità.
La mappa di comunità
La mappa di comunità è una riflessione puntuale e coerente su come una comunità vede, percepisce, attribuisce valore a luoghi, cose, persone, memorie. Ne discende una lettura del territorio che, partendo dall’ascolto del territorio, individua criticità e problematiche territoriali, ma formula anche proposte innovative di cittadinanza attiva sia a livello individuale che corale. Luoghi, cose, persone, memorie, saperi trovano spazio nella mappa di comunità a discapito, in molti casi, degli stessi aspetti monumentali del territorio. Succede, per esempio, che si dia più importanza a luoghi poco noti e non a monumenti-simbolo del territorio proprio perché, nella mappa di comunità, hanno più importanza le relazioni sentimentali che si allacciano fra territorio e persone che non i monumenti in se stessi. Possono essere relazioni anche molto diverse fra di loro per vissuti personali, ricordi e vicende di vita, ma che contengono in nuce il “sedìme” culturale della società civile, il DNA del territorio. «Quando io dico, ritorno alle radici, ai propri valori non voglio assolutamente lasciarmi prendere da nostalgie romantiche o folcloristiche … ma proprio dal deposito di valori che costituisce la ricchezza della vita» (David Maria Turoldo).
La mappa di comunità è prassi comune a tutti gli ecomusei
La mappa di comunità non è una fotografia del territorio (concetto statico) quanto, piuttosto, una rappresentazione del sentimento corale con cui le persone vivono il proprio territorio di appartenenza. È il processo stesso di auto-rappresentazione che determina parametri di lettura e interpretazione inusuali, comunque diversi rispetto, per esempio, a quelli comunemente impiegati nella redazione di mappe e carte turistiche, molto più incentrate sugli aspetti “monumentali” del territorio. Questi parametri, tutti da declinare luogo per luogo, sono un buon indicatore della percezione del contesto ambientale da parte dalla comunità. Il pericolo maggiore nella redazione della mappa di comunità è il “campanilismo” esasperato, difetto comune a molte realtà locali che scambiano il campanilismo per retaggio culturale, impedendo di fatto un dialogo fra le persone laddove, invece, si dovrebbe trovare convergenza d’interessi. L’aveva bene in mente, nel 1844, Carlo Cattaneo quando asseriva che bisognava analizzare e descrivere le «diverse condizioni del territorio che nel loro giro comprèndano le precipue fonti delle loro condizioni naturali e civili» in modo da superare le«divisioni di paese così anguste e minute» e dare«una certa unità di concetto» in luogo delle «partìcole del bel paese» (Carlo Cattaneo, Notizie naturali e civili della Lombardia, Bernardoni editore, Milano 1844). Al di là di qualsiasi altra considerazione, la mappa di comunità impone degli stop che rallentano i ritmi frenetici della vita moderna e invitano a osservare, raccontare tutto ciò che ci accomuna, ci avvicina, ci allontana senza pregiudizio alcuno per ceti sociali, cultura, fede, mestieri, laddove ognuno è protagonista della propria storia personale in un lungo processo di storytelling.
“I luoghi dell’anima” dell’Ecomuseo Martesana
L’esperienza degli ecomusei lombardi ha prodotto una cospicua letteratura sui paesaggi culturali “viventi”, certamente più complessi e ricchi di valori “aggiunti” che non i soli paesaggi naturali e antropici. Anche l’Ecomuseo Martesana, istituito il 6 maggio 2016, si è incamminato lungo questa strada. Ha chiesto alle persone del nucleo fondante dell’ecomuseo di descrivere i luoghi che più avevano a cuore o per ricordi o per aspettative di vita. Ne è venuta fuori una mappa concettuale di fotografie e parole, un “viaggio dell’anima”, suggerito dal proprio “vissuto” personale. L’iniziativa, testé conclusa, troverà successive applicazioni ed estensioni tematiche e profili diversi per arrivare a comporre altre mappe di comunità su altri temi e aspetti territoriali cui dare importanza.
L’Ecomuseo Martesana e il Piano Strategico della Città Metropolitana di Milano
L’Ecomuseo Martesana si è proposto, oltre alle usuali attività ecomuseali, di giocare un ruolo strategico nello scacchiere delle decisioni di “governance” del territorio e di porsi come un “facilitatore” all’interno degli obiettivi del Piano Strategico della Città Metropolitana di Milano – Zona omogenea 6 Adda Martesana, che così recita testualmente: «In tema di attrattività e marketing territoriale, si avanza la proposta di sviluppo dell’Ecomuseo Martesana, al fine di riscoprire, catalogare e valorizzare ciò che di attrattivo già esiste sul territorio, mettendolo in rete. Il progetto si identificherebbe come ulteriore elemento di coesione per i Comuni dell’area in quanto fondato sullo storico territorio dell’ex-Contado del Martesana, attivando non solo il protagonismo delle Amministrazioni, ma anche delle varie componenti della società civile in tutte le sue forme».
I documenti di Cittàà Metropolitana di Milano definiscono la Zona Omogenea Adda-Martesana: un’area di «Sovrastrutture verdi e blu per una città-parco» da condividere tra chi ne ha la responsabilità istituzionale – Città Metropolitana e i Comuni della Zona Omogenea – e chi si pone in una posizione di cittadinanza attiva come, per esempio, la Società Civile con le sue reti associative. L’Ecomuseo Martesana è parte di questo processo di costruzione dal basso con i suoi due pilastri ideativi, inclusivi e trainanti: l’Osservatorio Martesana – proposto dall’Ecomuseo Martesana nell’ambito del progetto di Smartland – e l’ESM – Economia Solidale Martesana. Entrambi i progetti sono un’espressione di democrazia partecipativa e di politiche territoriali condivise. L’Ecomuseo Martesana si è anche inserito nella proposta diuna “Comunità del Cibo” collegata al progetto di “Agroecologia Martesana”. Il progetto, in fase avanzata di messa a punto nonostante alcune precarietà istituzionali, pone la giusta attenzione affinché il suolo e il paesaggio ottengano un valore fortemente percepito da istituzioni e popolazione. È fondamentale, a questo riguardo, l’apporto di tutta la Comunità. Su questa linea di pensiero Ecomuseo Martesana è impegnato anche come partner ideale in un’azione combinata nei confronti di alcune progettualità critiche per il territorio, come per esempio, la Logistica, dove si gioca la possibilità di pianificazione, progettazione e realizzazione di opere in ottica sovracomunale utilizzando i canoni del modello di Investimenti Territoriali Integrati (ITI) che prevedono la coprogettazione e il cofinanziamento pubblico-privato. Da questo punto di vista l’Ecomuseo Martesana si pone come “osservatore” degli Investimenti Territoriali Integrati (ITI) nel progetto SEM – Smartland Sud Est Milano la cui “mission” è quella di «Sostenere l’evoluzione e lo sviluppo del territorio, predisponendo le infrastrutture e i servizi in funzione di come si evolve la dinamica sociale, economica e culturale; una mission basata sui valori portanti degli orientamenti comunitari: l’Innovazione, la Sostenibilità, la Coesione e la Contaminazione». Analogamente, sul fronte Nord Est (Milano/Martesana/Adda), dopo l’esperienza di SEM, Ecomuseo Martesana auspica che si avviino analoghi progetti di Smartland sul fronte Nord-Est, progetti in cui Ecomuseo Martesana sarà parte diligente e vigile perché non si consumi il suolo e non si attuino politiche speculative incuranti dei bisogni e delle aspettative della comunità.
Il ruolo dell’Ecomuseo Martesana nel processo di costruzione democratico
Se da un lato le istituzioni preposte alla pianificazione territoriale sovracomunale sono i Comuni – organizzati da Città Metropolitana – la Società Civile, ovvero la cittadinanza attiva, se vuole giocare un proprio ruolo nell’ascolto del territorio e nell’approfondimento e analisi multifunzionale dei possibili effetti delle politiche istituzionali sul territorio, ha bisogno di un osservatorio attento e vigile quale può essere quello di un ecomuseo, organizzato su base associazionistica, che denunci i possibili rischi che potrebbero intaccare l’integrità territoriale e la sostenibilità ambientale. Tutto ciò assume grande importanza in mancanza spesso di una programmazione sovracomunale alla base del quale ci stanno spesso disinformazione e mancanza di monitoraggio. In questa prospettiva l’Ecomuseo Martesana è in prima linea nel supportare gli obiettivi e le politiche ritenute coerenti con la “mission” dell’ecomuseo. Proprio perché libera da vincoli politici e di governance territoriale, l’organizzazione ecomuseale, per la sua stessa conformazione e composizione, potrebbe monitorare ciò che avviene in tema di politiche di sviluppo del territorio e suggerire, nel contempo, soluzioni ambientali che rispondano sempre più alla visione di aree verdi, green jobs, turismo sostenibile, infrastrutture verdi e blu, e che siano in grado di realizzare infrastrutture territoriali portanti a livello economico, culturale, formativo, sociale, tecnologico e ambientale nel decennio 2020/2030, con un occhio attento alle regole della “Transizione ecologica Europea” dell’Agenda 2030. Il progetto potrebbe essere esportato poi, con gli opportuni adattamenti, ad altre Zone Omogenee. Finora lo studio di fattibilità di Città Metropolitana ha permesso di individuare: 6 percorsi tematici (Mobilita, Acqua/Ambiente, Efficienza energetica, Sviluppo del territorio, Qualità della vita, Digitalizzazione) e azioni comuni (128 progetti) di cui 18 in “progress”. Questa situazione fa emergere in prima battuta il tema della “governance” delle Zone Omogenee. È, infatti, evidente che queste ultime sono gestite sostanzialmente dai singoli Comuni, ma limitatamente al proprio territorio, competenze e programmi. La mancanza di una governance sovracomunale genera il perpetuarsi di politiche di pianificazione territoriale locali senza una ricerca e una condivisione di scelte sovracomunali. La mancanza di un approccio sistemico e sovracomunale genera fughe in ogni direzione; così passano autorizzazioni a nuovi impianti commerciali e logistici, a iniziative che intaccano il territorio agricolo. L’impegno di Ecomuseo Martesana farebbe da filtro affinché tutti possano esprimere la propria opinione non in base all’appartenenza politica, bensì in base al patto solidale di costituzione dell’ecomuseo, per un mondo migliore, partecipato, democratico, e per un ambiente più sano, pulito, sostenibile.
