UCTAT Newsletter n.50 – novembre 2022
di Gerardo Ghioni
Come tutti gli operatori del mondo immobiliare sanno bene, il Comune di Milano, con il PGT del 2019, ha introdotto in termini prescrittivi alcune indicazioni morfologiche che, nel precedente PGT, erano state solo suggerite. Tra le tante, quelle che creano più difficoltà ad essere ottemperate, sono le seguenti:
- all’interno del tessuto urbano consolidato, gli immobili all’interno dei cortili non potranno avere altezza superiore a quella esistente;
- all’interno dei tessuti urbani delle città giardino, gli edifici devono mantenere le tipologie, gli allineamenti e il numero dei piani;
- all’interno dei tessuti urbani compatti a cortina, l’altezza del progetto deve arrivare all’altezza dell’edificio più basso, adiacente all’intervento;
- all’interno degli ARU, gli edifici devono essere allineati per il 50% dell’altezza sul confine con lo spazio pubblico, avendo cura che l’altezza massima dell’edificio sullo spazio pubblico non sia inferiore a quella all’interno del lotto.
Come è stato dimostrato anche nel corso del Convegno tenutosi il 25 novembre 2021, dal titolo “Il PGT di Milano. L’attuazione della rigenerazione urbana. Indicazioni morfologiche e perequazione”, organizzato da Aspesi, Urban Curator e Metropolis, soprattutto con gli interventi qualificati di Cino Zucchi e Luca Barbieri, il rispetto di tali indicazioni morfologicheè in diversi casi sostanzialmente impossibile, e in ogni caso non costituisce un elemento di garanzia della qualità dell’esito progettuale, sia per l’eccessiva complessità e varietà dei tessuti urbani preesistenti (che necessitano spesso di soluzioni ad hoc), sia per l’impossibilità di prevedere tutte le condizioni possibili che si riscontrano nella città.
Nella nostra società si è diffusa l’idea che il processo sia l’elemento su cui agire per ottenere un esito di qualità. Pertanto, basta inserire una norma per ottenere il risultato qualitativo voluto. Ma come ad una norma non corrispondo necessariamente dei valori, il processo non sostituisce la qualità.
Negli anni del secondo dopoguerra, grandi interpreti del razionalismo italiano, quali Piero Bottoni, Caccia Dominioni o Asnago Vender, nei loro progetti hanno tenuto conto della morfologia esistente senza per questo accettarla acriticamente. Hanno progettato sì edifici che ricostituivano la cortina esistente mantenendo l’altezza, ma hanno anche inserito all’interno dei cortili dei corpi alti, che cercavano necessariamente la luce e l’aria. Questa modalità progettuale, apprezzata dalla cultura architettonica e dalla società, non è più possibile con le nuove indicazioni morfologiche del PGT. La storia di Milano ci insegna che sono sempre stati elaborati modelli non banalmente riproduttivi della morfologia e delle tipologie esistenti, modelli che, nel tempo sono evoluti favorendo la qualità urbana e sociale. Sostituire la cultura progettuale con delle regole non è sempre produttivo; e non serve complicare le regole quando basterebbe indicare chiaramente gli obiettivi.
Il Comune di Milano ha provato a definire con schemi progettuali tutte le soluzioni possibili senza, a mio parere, riuscirci pienamente. E purtroppo, nella prassi, si è poi finito con il dover utilizzare di volta in volta diverse interpretazioni che, non essendo necessariamente oggettive, possono essere discutibili e labili.
Va peraltro ricordato che il mancato rispetto delle indicazioni morfologiche porta a tre principali conseguenze impattanti negativamente sul progetto. La prima è che l’esame da parte della commissione del paesaggio diventa molto più difficoltoso al fine del rilascio di un parere favorevole. La seconda è che si deve spesso rinunciare a molte superfici accessorie, quali locali comuni, portinerie, palestre, spazi che invece nel periodo post-Ccovid sono diventati essenziali per garantire qualità della vita. La terza è che non è più possibile trasferire le volumetrie del seminterrato ai piani superiori. Un approccio punitivo che potrebbe essere comprensibile se finalizzato a esiti di qualità, mentre invece, come abbiamo già chiarito, il rispetto delle indicazioni morfologiche non costituisce di per sé garanzia di alcunché, come dimostrano molti dei progetti realizzati in tre anni di sperimentazione sul campo, progetti che, pur realizzati nel rispetto delle indicazioni morfologiche, non sono necessariamente migliori di quelli realizzati in deroga.
A complicare ulteriormente il contesto normativo il fatto che una Commissione formata da 11 professionisti viene delegata dal Comune di Milano a prendersi la responsabilità non solo di delineare i casi che rispettano o meno le indicazioni morfologiche, ma anche di indicare i progetti meritevoli di approvazione anche se non rispettano tali indicazioni. Una responsabilità e un potere discrezionale a mio parere eccessivi, anche passibile di contenziosi legali con cittadini, associazioni e operatori che contestino le modalità interpretative di queste norme.
Ne è un esempio il caso del progetto di piazza Aspromonte, recentemente balzato agli onori della cronaca, per il quale la magistratura, sulla base degli articoli letti, ha ritenuto che sia stato approvato un edificio più alto dell’esistente, in quanto all’interno di un cortile.
Premesso che, quando i cittadini con gli esposti e i giudici si dedicano a influenzare l’urbanistica, mi viene un forte mal di pancia, in quanto non è il loro lavoro, resta il fatto che la responsabilità della commissione è sempre molto delicata.
Forse bastava scrivere meglio le norme? Oppure forse l’obbligo di rispetto di indicazioni morfologiche così rigide non era così fondamentale per la pianificazione milanese?
A questo punto credo necessaria una profonda riflessione. Forse l’obiettivo di chi ha costruito il PGT non è stato raggiunto con questi strumenti. Forse la confusione che caratterizza il lavoro degli operatori non porta benefici tali da giustificare la prosecuzione di questa politica urbanistica.
Io credo che già la competenza e le modalità con le quali la Commissione del paesaggio giudica un progetto siano condizioni per favorire la qualità progettuale e dello spazio pubblico urbano. Ulteriori vincoli, poco chiari e non sempre tarati per il contesto di riferimento, sono inutili e controproducenti. Se proprio è necessario favorire la realizzazione di tessuti insediativi che rispettino alcune indicazioni morfologiche, è quindi importante che queste siano formulate in termini di obiettivi da raggiungere, non di regole non condivise a livello di valori.
