Rigenerazione urbana e opere pubbliche

UCTAT Newsletter n.46 – giugno 2022

di Andrea Tartaglia

L’esigenza di attivare un processo diffuso di rigenerazione dei sistemi urbani e infrastrutturali è abbastanza nota e condivisa. In tal senso negli ultimi anni sono stati progressivamente attivati dei programmi di finanziamento pubblico finalizzati a rispondere a specifiche esigenze di intervento. Pensiamo al ben noto “Bando per la presentazione di progetti per la predisposizione del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia” o ai più recenti bandi per la riqualificazione dell’edilizia scolastica fino ad arrivare al PINQuA (Programma Innovativo Nazionale per la Qualità dell’Abitare). In parallelo le Amministrazioni pubbliche regionali e comunali, con diversi strumenti hanno cercato di stimolare e/o incentivare una complementare azione da parte dei privati in particolare sui loro patrimoni dismessi o degradati fino ad arrivare ai più recenti “bonus” per il miglioramento dell’estetica delle nostre città (bonus facciate) nonché della loro efficienza energetica (bonus 110%). Strumenti che tuttavia sono risultati non sufficienti a colmare la reale domanda che un territorio così ricco di contenuti storici culturali e paesaggistici esprime.

Naturalmente avevo già evidenziato in questa newsletter (gennaio 2020) che per parlare di rigenerazione non è sufficiente intervenire nel territorio rinnovando i manufatti esistenti o modificando la struttura urbana e infrastrutturale. Infatti, anche se il quadro normativo di riferimento, soprattutto a livello nazionale, è ancora poco definito e fumoso rispetto ad una chiara comprensione degli obiettivi che le azioni di intervento sull’ambiente costruito dovrebbero perseguire, è comunque possibile evidenziare delle condizioni sine qua non per definire quando ci collochiamo nell’ambito della rigenerazione. In particolare in tutti i dettati normativi sia già in vigore che nelle bozze in discussione soprattutto a livello centrale, la rigenerazione non persegue semplicemente il miglioramento della componente fisica del territorio, ma si pone obiettivi di implementazione delle condizioni sociali, ambientali, culturali con anche indiretti benefici di carattere economico. È però evidente che il perseguimento di tali ambiziosi obiettivi non possa derivare dalla sommatoria di singoli interventi indipendenti e neanche dall’attuazione di programmi specialistici monofunzionali. Tali obiettivi richiedono una visione sistemica che coordini trasversalmente e alle diverse scale le molteplici azioni attuative derivanti da diversificati canali di finanziamento sia pubblici che privati. Una visione che non può che essere di matrice pubblica e che richiede una approfondita conoscenza delle criticità reali e non solo di quelle percepite e amplificate tramite i canali di comunicazione. Ma soprattutto che necessita di una chiara visione del “futuro da costruire” inteso non come risoluzione dei problemi e delle inefficienze, ma come modello fisico e relazionale di una società figlia di una discontinuità necessaria per de-costruire situazioni ormai incancrenite nel modello amministrativo, gestionale e anche sociale italiano.

In questo momento in Italia è stato attivato un programma/processo che, se ben gestito e indirizzato, potrebbe avere tutte le caratteristiche sopra citate.

Potenzialmente, le risorse mobilitabili attraverso il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) (191 miliardi di euro) e il correlato PNC (Piano nazionale degli investimenti complementari) (30 miliardi di euro) potrebbero infatti permettere al sistema delle opere pubbliche di diventare il vero motore di un concreto processo di rigenerazione dei sistemi urbani e territoriali italiani. I diversi progetti sono stati infatti ricondotti a sei assi tematici (digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute) indubbiamente coerenti con una visione di rigenerazione anche se talvolta basati su presupposti certamente necessari ma forse troppo declinati su finalità di carattere prettamente economico commerciali come si evince leggendo i contenuti dei tre assi strategici. Infatti il primo obbiettivo espressamente dichiarato del primo asse strategico che ha guidato la costruzione della versione più recente del Piano risulta essere la volontà di “migliorare la competitività italiana ed europea; favorire l’emergere di strategie di diversificazione della produzione; e migliorare l’adattabilità ai cambiamenti dei mercati”. Il secondo asse strategico (transizione ecologica) è certamente necessario per “migliorare la qualità della vita e la sicurezza ambientale” ma si aggiunge “può costituire un importante fattore per accrescere la competitività del nostro sistema produttivo, incentivare l’avvio di attività imprenditoriali nuove e ad alto valore aggiunto e favorire la creazione di occupazione stabile”. In fine, anche il terzo relativo all’inclusione sociale viene sostanzialmente declinato rispetto ai temi del lavoro. Questo fa sì che, se il PNRR sarà gestito all’interno di un modello prettamente burocratico procedurale, si corra il rischio che si possa troppo facilmente, nei sottostanti processi di definizione delle singole progettualità, perdere di vista il più ampio scenario di obiettivi che potrebbero invece realmente sottendere un percorso di rigenerazione a scala nazionale.

Naturalmente si tratta solo di un rischio che si somma però ai tempi compressi per lo sviluppo delle progettualità che indubbiamente tendono a favorire approcci fortemente specialistici e frammentati rispetto ad un modello coordinato e sistemico. Tuttavia, è anche una condizione contingente difficilmente ripetibile nel medio periodo e che quindi richiede a tutti gli attori coinvolti di non aspirare al solo utilizzo dei fondi ma, con etica istituzionale, di inserirli in un quadro più ampio e soprattutto di sviluppare le progettualità mantenendo lo sguardo proiettato verso obiettivi ambiziosi di vero interesse collettivo.

Comunque, già nel 2026 potremo avere contezza se il PNRR sarà riuscito a far fare un salto di qualità al sistema delle opere pubbliche italiane nonché all’intero sistema nazionale o se invece le ben note criticità che dai tempi della prima legge Merloni si stanno cercando di affrontare avranno ancora una volta avuto il sopravvento sui buoni propositi.

Costruzione dell’Autostrada A1, 1961.
Torna all’Indice della Newsletter