Spazio reale, spazio del sogno

UCTAT Newsletter n.53 – febbraio 2023

di Cesare Stevan

Giungere a cogliere ed apprezzare la forma di una città, in quanto espressione della sua storia e dei contenuti che ne determinano l’irripetibile identità, è un risultato che si consegue al termine di una lunga sequenza di esperienze che si compiono nelle varie fasi della nostra vita.  Un percorso che muove dallo spazio circoscritto e limitato del “privato” (in cui viviamo i primi giorni/anni di vita) e progressivamente si estende fino a comprendere la galassia di spazi in cui si sviluppa il complesso sistema di relazioni che, da adulti, strutturano contemporaneamente la città e i comportamenti dei cittadini. Luoghi, prevalentemente legati alla vita collettiva, nei quali vengono continuamente definiti e ridefiniti dialetticamente doveri e diritti di cittadinanza.

Nelle ricerche che riguardano le prime esperienze di rapporto con lo spazio che ci accoglie ci si è spesso soffermati (ed esiste un’ampia letteratura al proposito) sulle raffigurazioni infantili del contesto di cui i piccolissimi autori prendono conoscenza. Raramente, e quasi sempre (o solo) quando si è di fronte a gravi problemi di disadattamento, ci si è spinti al di là della barriera costituita dall’hic et nunc, affrontando in modo dinamico il crescendo, nel tempo, di acquisizioni sul mutare della percezione e della rappresentazione degli spazi in cui viviamo, viste e considerate in stretta relazione col crescere delle nostre esigenze di disporre di un campo sempre più ampio di esplorazione e di azione.  La percezione e la rappresentazione del contesto in cui si vive sembrano, negli adulti, perdere di interesse ed essere banalizzate dentro un processo in cui via via prevale la logica funzionale e l’adattamento dei comportamenti a quanto in termini di funzioni la città è in grado di offrire. La città nel vissuto quotidiano sembra non meritare di essere rappresentata nell’insieme dei suoi contenuti ed è in generale percepita e memorizzata come una serie di percorsi tra una funzione e l’altra. Un esempio per tutti: la rappresentazione utilitaristica e rigorosamente bidimensionale che illustra la rete dei trasporti pubblici.

Nel passaggio dall’infanzia alla adolescenza si manifesta un cambiamento, a volte radicale, che porta alla separazione, il più delle volte irreversibile, della percezione dello spazio, alla rottura della unità tra mondo materiale e mondo immateriale, tra spazio reale e spazio del sogno.  La perfetta fusione presente e leggibile nei disegni dei bambini scompare. La gran parte dei cittadini perde la facoltà di godere pienamente della ricchezza di sollecitazioni prodotte da uno spazio urbano al tempo stesso spazio del corpo e spazio della mente, circoscritto o aperto sui più ampi orizzonti della meditazione creativa. Il compito di richiamare a una visione unitaria tra la realtà immanente e la dimensione che la trascende rimane affidato all’arte, ma lungo e non privo di difficoltà è il percorso da compiere per giungere ad intenderne il richiamo.

 Per il benessere, che consegue a un raggiunto equilibrio psico-fisico nei rapporti con il contesto in cui viviamo, molti sono i legami positivi che è necessario riannodare tra lo spazio del sogno e gli spazi reali, comunque configurati, in cui ci muoviamo.  Il più delle volte l’effetto sollecitante e suggestivo di riflessioni e di evasioni che vanno oltre il mondo sensibile è determinato dall’impatto emozionale con i messaggi che ci consegna contraddittoriamente la storia dei luoghi e, con qualche diffidenza, con quello dovuto all’incontro con ambiziosi progetti studiati e realizzati con finalità specifiche di essere punti aggregativi della comunità per svilupparne una maggior coesione sociale. Ed è proprio l’attrattiva dei segni, che qua e là emergono, della storia dei luoghi che lo compongono a preludere alla fase più matura della comprensione di uno spazio urbano: quella in cui è possibile cogliere ed apprezzare la “forma della città”, forma come sintesi dei molteplici contenuti che la strutturano.   E’ la fase in cui la compiuta conoscenza del proprio habitat rende possibile il coinvolgimento del cittadino nella partecipazione attiva e responsabile ai progetti mirati alla crescita e sviluppo (sociale, economico, politico e culturale) di una città.

Mentre mi avvio a concludere, con alcune considerazioni finali coerenti al percorso conoscitivo a grandi tratti delineato, qualcosa mi distrae e mi obbliga a una rapida rilettura del testo. Un attimo!  Davanti ai miei occhi si apre una voragine: quanto scritto improvvisamente mi sembra evocare un mondo che velocemente si sta allontanando fino a scomparire, che a breve è destinato a non esserci più.  La prima immagine a svanire, e a diventare inafferrabile, è quella del cittadino legato al luogo e alla sua storia. I “nomadi” si accreditano come più numerosi degli ”stanziali”, il disegno degli spazi urbani e le forme architettoniche rifiutano qualunque regola e armonia e puntano solo a stupire una moltitudine di sconosciuti, sprovvisti di un linguaggio per comunicare tra loro e con l’ambiente in cui si trovano.

    La situazione nel giro di pochi secondi è mutata radicalmente; la riflessione abbandona l’analisi e le considerazioni che mi ero ripromesso di fare all’insegna della autenticità di esperienze che sostanzialmente includevano anche la mia personale esperienza.  Mi trovo ad essere riorientato rapidamente verso un nuovo scenario.   In primo piano si pone l’irruzione affascinante e dirompente del “virtuale” che modifica gli abituali punti di vista sul “reale”. Un virtuale che pone intriganti interrogativi sulla natura della realtà, che invita a praticare, come spazi reali, piazze, strade, luoghi e situazioni inesistenti. Un virtuale che, coniugato alla creazione di un contesto di “vita digitale”, spinge a sviluppare in modo del tutto nuovo i rapporti interpersonali e sociali.  Un virtuale che consente di “ibridare” la realtà di luoghi ben conosciuti e abitualmente praticati.

  Il rapporto tra ideazione, progettazione e realizzazione si concentra in uno stupefacente unicum temporale. Un immenso potenziamento positivo del “fare”, che ovviamente comporta non poche criticità. La realtà assume fattezze oniriche e invade impropriamente gli spazi dei sogni, rendendo inafferrabili (fino a cancellarli) quei confini che li avevano fino ad ora caratterizzati e difesi.  La dimensione sollecitante e creativa della reverie, in cui il pensiero si abbandona a dei ricordi, a delle immagini evocatrici, o si immerge nella contemplazione di un oggetto o di un paesaggio, sembra perdere il diritto di cittadinanza, al venir meno del raffinato gioco di mediazione che gli era dato di svolgere tra immanente e trascendente.

 I cittadini della città digitale hanno una reattività immediata che sconvolge fondamentali canoni del giudizio etico ed estetico. L’estendersi della logica della reazione immediata, portato del dominio del “tempo reale”, impone di riconfigurare i modi dei processi di apprendimento e dei conseguenti atti decisionali.  Un nuovo nesso tra teoria e prassi, indotto dalle applicazioni della Intelligenza Artificiale ripropone questioni di metodo per garantire il controllo della accelerazione dei processi di elaborazione e di scelta in ogni campo si operi: culturale, economico, politico.  Impone di acquisire sensibilità per evitare i nuovi rischi che incombono.   Uno strumento sofisticato e potentissimo nel creare illusioni e condizionamenti nei comportamenti dei cittadini è, almeno per ora, fragile, assai di più di quanto appaia, di fronte ad ogni attacco sconsiderato.  L’insieme di questi aspetti si traduce in un invito perentorio ad avviare una prima riflessione a largo raggio, e da architetto, sul tema.  

Per chi opera quotidianamente in campo   ambientale, territoriale, urbano, edilizio e architettonico (definiamoli: i “costruttori”) il processo di raggiungimento del livello di consapevolezza necessario per ben operare si è capovolto. Basti pensare a come droni e satelliti offrono immagini ad altissima definizione della forma dei nostri insediamenti urbani.  I nuovi punti di vista permettono di seguire a livello planetario, in tempo reale e in modo dinamico, gli squilibri nello sviluppo del rapporto città-campagna, presentano dettagliatamente leggibili, ed operabili, infiniti dati, tra i quali fondamentali quelli sul clima del pianeta, estendendo implicitamente a tutti la condizione di essere consapevoli, partecipi (e corresponsabili) dei processi di desertificazione e di aggressione al patrimonio forestale, e via elencando.

 In sintesi l’immagine che tenderà a predominare prepotentemente e prioritariamente fin dai primi anni di vita non è più la micro immagine dello spazio confinato in cui abbiamo da sempre vissuto le nostre prime esperienze spaziali, ma sarà sempre più una macro immagine di sintesi del pianeta che dovrà essere attentamente declinata fino alle sue più minute conseguenze sul microcosmo dello spazio abitativo quotidiano: la zona urbana, il quartiere, l’edificio e la singola abitazione. 

E’ difficile negare che la fase di transizione che si apre è irta di difficoltà per l’homo faber. Non senza fatica, infatti, sta ancora metabolizzando le conseguenze sui suoi modi di pensare ed agire di una prima importante rivoluzione che ha chiamato “i costruttori” a misurarsi con il compito inderogabile di operare in “difesa della natura”, laddove per millenni avevano ottenuto riconoscimenti e successi come artefici capaci di dominare la natura. Protagonisti di una azione di “difesa dalla natura” come una importante sfida la cui vittoria non sempre conseguiva a una azione condotta “secondo natura”.

Sono ancora incerti i passi nella direzione virtuosa delle valutazione di impatto ambientale e della sostenibilità per ogni iniziativa intrapresa e subito, a raffica, nuovi obblighi si impongono al modo in  cui impostare un problema e a comportamenti dati per scontati.  Nuove situazioni da fronteggiare si evidenziano determinando nuove sfide destinate a mutare il nostro rapporto con lo spazio. I più si rassegnano a metabolizzare questa o quella novità, ritenendo che si tratti di sommare via via singole modifiche di visioni e abitudini e non avvertono che è in corso una grande “rivoluzione culturale” e che  va rapidamente scelto da che parte stare: se mettersi pienamente in gioco senza coperture, tentare di opporsi, semplicemente stare a guardare.  In realtà la scelta è obbligata: mettersi in gioco a partire dalla scoperta di cosa identificano le due lettere dell’alfabeto (“I” e “A”). Per utilizzare al meglio le potenzialità della “Intelligenza Artificiale” bisogna innanzitutto conoscere l’insieme delle tecnologie messe in campo, il che oggi è possibile per una assai ristretta cerchia di addetti ai lavori.  Mentre per molti l’atto creativo e sacrale del costruire, un tempo evocativo della genesi stessa del mondo reale, ha perso di significato.   Via via banalizzato nel mondo contemporaneo nelle forme e nei contenuti, sta naufragando, nel dilagare di suadenti automatismi tecnologici.   L’interrogativo è d’obbligo: “che fare” per fronteggiare questa situazione senza disperdere risorse e capacità accumulate, nel corso di secoli e millenni, evitando di schierarsi dalla parte sbagliata?  Che fare per non dar forza a reazioni luddiste, tristemente note nelle loro conseguenze?  L’ aspirazione ad avere una risposta rapida ed esaustiva è ovviamente ingenua, più utile sarebbe cercare di valutare i passaggi necessari per costruire, nel tempo, una serie di risposte credibili.

  Va innanzitutto considerata e colmata la mancanza di una analisi critica delle forze in campo per come mostrano di affrontare la pratica progettuale e realizzativa delle opere in riferimento sia agli aspetti formali, sia ai contenuti dei progetti (di natura ambientale, territoriale, urbanistica, architettonica, ecc.). Una “mappatura” ragionata delle modalità di intervento e dei “costruttori” che articolatamente si muovono ed operano su scala mondiale.     La seconda considerazione riguarda il “per chi?” del progetto e il suo approfondimento. Quali profili emergono dei cittadini ipotizzabili per una città che si preannuncia assai diversa da quella che conosciamo?   Come operare su un corpo sociale articolatissimo nella sua composizione e mobile tra i diversi punti della madrepora che rappresenta “la città con estensione planetaria”?    La scelta del “come fare”, infatti, non puo’ che essere relazionata (e attualmente il più delle volte non lo è) alla attenta e responsabile individuazione del “per chi” fare.

Non a caso, nel dibattito in corso sulla Intelligenza Artificiale, il problema che emerge come prioritario dall’insieme dei vari interrogativi avanzati è quello della formazione.  Per il miglior uso delle straordinarie tecnologie, messe a disposizione della società contemporanea dalle ricerche nel campo del virtuale e dell’intelligenza artificiale, va predisposta una strategia nuova per la scuola (dalle scuole per l’infanzia alle università).  Va colta l’occasione per abbandonare la retorica ideologica che avvolge il dibattito sulla scuola e pensare e programmare percorsi formativi adeguati a conoscere, controllare e guidare i processi di un mondo a tecnologie avanzate. Basti, per avviare su un giusto binario la discussione, considerare che in processi di cambiamento caratterizzati da un’alta dinamicità, una qualità che appare indispensabile è la capacità di previsione. Una società che, mentre da un lato si sta impegnando ad estendere le esplorazioni all’intero Universo reale, dall’altro ha l’ambizione di dar vita a un Universo virtuale (Metaverso), è opportuno si chieda dove sta andando.  Saper leggere, interpretare e modificare ,con credibili previsioni, la rotta, considerando anche i minimi segni del cambiamento,  è un esercizio che oggi è scarsamente presente nei programmi formativi.  La selezione di questi segni, molti dei quali sono già presenti e leggibili, richiede per essere operabile una profonda conoscenza della storia riconsiderata per quelle che emergono come risposte mai date, bisogni mai soddisfatti, esigenze mai prese in considerazione. E’ più che evidente la necessità di un livello di formazione nuovo ed elevato tale da “ricomporre nel fare”: cultura umanistica, cultura scientifica, creatività e cultura artistica.

Il futuro è il luogo magico in cui è dato di cambiare di segno a speranze deluse, aspettative inappagate, desideri insoddisfatti, sogni trasformatisi in incubi.  Dal futuro, come da uno spazio siderale, giungono messaggi che non si devono trascurare. Contro ogni evidenza, che ci possa smentire, quello che conta è l’impegno a capire quanto di positivo c ’è nel cambiamento e, seppure in piccola o maggior misura parteciparvi: esserne attori e non esserne vittime.   Come tutte le rivoluzioni che hanno segnato le grandi tappe della storia dell’umanità anche questa si presenta con forti effetti chiaroscurali e delinea potenziali vittime.  Ma tant’è, indietro non è auspicabile tornare, si troverebbero solo macerie.

   La “rivoluzione agricola”, e il passaggio dal nomadismo alla stanzialità ,pagando un grande prezzo in vite umane nella selezione del cibo e nella selezione e organizzazione dei luoghi insediativi, ha creato le condizioni per la  nascita della città.

La “rivoluzione industriale” ha segnato, con non poche vittime e contraddizioni, la primazia della città come luogo dello sviluppo di una società umana basata sugli spettacolari risultati conseguibili con la messa a frutto di una intelligenza collettiva (la prova del successo è che, dopo secoli, la stragrande maggioranza della popolazione mondiale oggi vive nelle città).

La “rivoluzione I. A.” segna il passaggio a una forma nuova della città: la “città planetaria” in cui il concetto di contiguità viene inglobato nel concetto di connessione e di rete e rigioca le categorie del tempo e dello spazio. E’ una città chiamata a misurarsi con le condizioni e la qualità della vita che saprà configurare ed offrire a chi l’abiterà.

A fronte di questa cornice di un quadro, che chiede di essere riempito di contenuti, in termini di riflessioni, di proposte e di sperimentazioni, è evidente che si attenua l’interesse a occuparsi di ricuciture, rammendi, ricostruzioni, finiture e completamenti di una città che non c’è già più e si accentua l’interesse per riflessioni e approfondimenti legati a prefigurabili scenari e spazi nuovi  concepiti, nel punto di incontro tra virtuale e reale,  da cittadini-costruttori che dispongono di strumentazioni formidabili ,ma soprattutto di un grande progetto condiviso.

Avrei concluso, ma non posso esimermi dal rispondere all’accusa, che sento giungermi, di “sbrigativo utopismo”.

Più volte mi sono trovato a parlare dell’utopia sottolineando il superamento del ruolo del racconto utopico in una società le cui realizzazioni precedono nel quotidiano la immagine attraente di ogni possibile non luogo.  Forse per la straordinaria situazione in cui ci troviamo, non disdegno di contraddirmi nel dire che andrebbe esperito il tentativo di formulare, nei modi e con i contenuti dell’utopia classica, un racconto in cui si parli di cose attese ma che oggi si presentano come del tutto irrealizzabili.  Una “utopia maggiorata”, proiezione sull’orizzonte del futuro di un mondo di forte attrattiva, sollecitante la partecipazione a un immaginario destinato a coinvolgere il più gran numero di cittadini sottraendoli a un destino di miseria, di isolamento e solitudine.  Sarebbe risibile alludere oggi alle “magnifiche sorti e progressive”, ma sicuramente è criminale non invertire la rotta autodistruttiva che rischia di essere seguita.  Non è morta l’utopia, è sopita l’ambizione che la sosteneva.  Va ritrovata l’ambizione dei costruttori ad impegnarsi nella costruzione di spazi di accoglienza e di vita su un pianeta che si presenti ospitale per tutti i suoi abitanti (senza distinzioni).   Il telos che può riorientare l’immensa schiera dei costruttori presenti oggi sulla scena non può che essere questo. Solo un grande progetto con una adeguata strategia di gestione può risultare vincente. E’ urgente andare oltre le proposte e i rimedi (di cui pure tenere adeguatamente conto) pensati sulla piccola scala e realizzati a macchia di leopardo, per tamponare situazioni di emergenza. Interventi    pronubi di una deriva fuorviante e di dispersione di risorse umane e materiali, se considerati i soli attuabili.

Condizione del successo è che dal viaggio verso il non luogo di oggi, “e auspicata realtà di domani”, nessuno sia o si senta emarginato ed escluso. Inclusione e partecipazione si configurano come utopie nell’utopia e condizionano il successo nel raggiungere la sfuggevole meta. Lo sforzo richiesto è quello di trasformare cittadini sprovveduti e rinunciatari in cittadini consapevoli, critici e positivamente attivi. Il percorso è appena delineato, ma le priorità sono evidenti. In un momento in cui domina la paura della guerra, forse, in questa  utopia maggiorata  si possono riscoprire i contenuti e il fascino della pace.

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