UCTAT Newsletter n.33 – aprile 2021
di Alessandro Ubertazzi
Non so dire se l’innata curiosità ovvero una specie di deformazione professionale mi inducono spesso a osservare il mondo esterno compiacendomi delle soluzioni tecniche che vedo applicate e anche a soffrire intensamente per gli errori madornali commessi da colleghi e tecnici di discipline affini o complementari.
Inutile dire che tutte le volte rifletto a quanto appropriata fosse la preparazione dei professionisti del passato e quanto superficiale e perfino presuntuosa sia quella di molti operatori contemporanei.
A tale proposito, con finalità sostanzialmente educative, le riflessioni che riporto di seguito sono le prime di una serie con la quale intendo documentare alcune penose realtà concernenti l’uso ignorante o pressappochista del materiale lapideo: da un lato, mi auguro infatti che tali aberrazioni non si verifichino mai più e, dall’altro, spero che qualcuno vi ponga rimedio.
Cominciamo da uno dei luoghi più intimi della parte antica della città di Milano: il “sito Belgiojoso”.
Carico di storia, su quello spazio (foto 1) si affaccia nientepopòdimenoche la casa di Alessandro Manzoni. Si tratta di uno spiazzo acciottolato, garbatamente ornato come tanti altri eleganti ambienti storici della città antica: viottoli, piazzette, cortili.
Il sito è un luogo aperto contiguo alla pubblica via, di proprietà privata e perciò delimitato da transenne (foto 2 e 3); oggi esso appartiene a una delle più significative Istituzioni finanziarie del nostro Paese (foto 4).
Molti anni fa, un giorno che passavo di là, mi accorsi con profonda tristezza che qualche sprovveduto aveva intrapreso un “restauro” dell’acciottolato che ancora oggi, a distanza di tempo, appare veramente schifoso (foto 5, 6, 7 e 8).
E’ ormai arcinoto che fra i componenti edilizi che caratterizzano moltissime città antiche vi sono le pavimentazioni e, in particolare, i selciati e gli acciottolati: questi si riscontrano, infatti, nelle loro parti più nobili e rifinite e perciò degne di essere conservate ovvero indefinitamente ripristinate. Ogni città ne possiede un tipo proprio che contribuisce, assieme alle altre finiture ripetitive e perciò caratteristiche, a definirne l’immagine consolidata (foto 9, 10 e 11): in realtà, chi cammina percepisce e memorizza proprio il suolo sul quale pone la massima attenzione… per non inciampare o cadere.
Ed effettivamente, ogni città che dispone di un entroterra dal quale attingere i materiali per le proprie necessità edilizie si è caratterizzata, nei secoli, anche, e particolarmente, attraverso i colori e la indole espressiva di quelli (foto 12 e 13).
Così, ad esempio, le città situate a valle delle colline di Asiago (come Padova e Venezia) dispongono di pavimentazioni realizzate mediante lastre di trachite. Nelle città che oggi insistono su detriti morenici prodotti a suo tempo dai ghiacciai della parte centrale dell’arco alpino, i selciati contengono una percentuale di ciottoli di porfido provenienti dai sedimenti vulcanici effusivi della Val Camonica piuttosto che del Trentino (come a Bergamo, Verona e Ferrara: foto 14 e 15): per i geologi essi sono riconoscibili e caratterizzanti come i “fossili guida” contenuti nelle rocce. Nelle località prealpine dell’alta Brianza, l’acciottolato (in dialetto detto rísciul) è caratterizzato dall’utilizzo di conci tratti dall’alveo dei torrenti locali con un misto di ciottoli morenici e di blocchetti di marne e calcari locali appena sbozzati dalla azione levigatrice degli agenti esterni.
Per contro, in mancanza di materiali lapidei facilmente accessibili, le città della pianura padana, (come, ad esempio, Bologna) utilizzano prevalentemente il laterizio ottenuto dalle argille alluvionali: il “cotto” costituisce, infatti, uno degli ingredienti che maggiormente connotano le loro quinte edificate.
Inutile dire che l’effetto identitario degli acciottolati e, nei casi più sofisticati, dei lastricati, si fonda anche sulla dimostrata utilità di quelle finiture nel tempo: da un lato, la loro discontinuità consente un efficace allontanamento delle acque meteoriche (grazie agli interstizi che le lasciano permeare nel sottostante terreno) e, dall’altro, di poter essere facilmente rimosse per essere poi ricollocate nel luogo stesso, o anche altrove, mantenendo immutate le loro caratteristiche prestazionali. Un tempo, ogni città disponeva di squadre, spesso organizzate in cooperative, altamente specializzate allo scopo: leggendaria, in questo senso, è stata la Cooperativa Selciatori e Posatori di Milano, che ha svolto fino a pochi anni fa il suo compito istituzionale con una competenza che affondava le sue radici nella notte dei tempi.
A Milano, l’acciottolato (in dialetto detta “rizzada”) sussiste ed è ancora visibile in molti cortili: nelle case borghesi, esso è spesso posato secondo un disegno ornamentale, usando ciottoli di colore differente; nella case di ringhiera, esso è invece “misto alla rinfusa” analogamente a certi vicoli storici nei quali completa gli spazi lasciati liberi dalle “carradore”, cioè dai quei “binari” di pietra liscia finalizzati ad accogliere in modo appropriato le ruote di carri e di carrozze.
Sulla base di logiche certo nostalgiche e raramente appropriate, l’opinione comune ha preteso che molti spazi giustamente rifinalizzati per corrispondere alla evoluzione prestazionale della città, mantenessero a tutti i costi la loro facies, cioè il loro pittoresco aspetto tradizionale.
Rispetto alla logiche che sottendevano l’uso dell’acciottolato proprio in quanto finitura adatta a lasciar filtrare le acque piovane nel sottosuolo per consentire una “pulita” deambulazione dei pedoni, l’edilizia moderna tende oggi, invece, a “sigillare” le pavimentazioni del centro abitato per impedire che l’umidità raggiunga gli scantinati nonostante questa prassi… sia in evidente contrasto anche con le logiche vigenti che auspicano il ripascimento naturale della falde freatiche.
Le mutate concezioni d’uso della città attribuiscono giustamente molta importanza al rispetto e al virtuoso mantenimento dell’immagine consolidata dei luoghi umani; esse hanno perciò indotto le amministrazioni a “ripristinare” ampie porzioni di acciottolato (nelle zone in cui esso era presente): tuttavia, come già detto, i ciottoli non vengono posati su un letto permeabile di sabbia ma su un letto di calcestruzzo (foto 16). Oltre a ciò, quei ciottoli sono essi stessi affogati nel cemento in modo tale da restare coesi e visivamente ordinati per un ragionevole lasso di tempo, cioè fino a quando qualcuno non vorrà nuovamente accedere ai cosiddetti “sottosistemi” dovendo così distruggere quell’opera.
Probabilmente poco noto è il fatto che Milano e molte altre città della piana alluvionale del Po giacciono su una coltre di ghiaia, sabbia e lenti di argilla spessa circa cinquecento metri. A differenza di Manhattan (che giace invece su una “dalla” di granito spessa più o meno altrettanto) queste condizioni rendono assai difficile e perfino improponibile edificare grattacieli: senza “importanti” fondazioni, infatti questi tendono a sprofondare nel suolo come “aghi nello stracchino” (come soleva affermare un mio vecchio professore del Politecnico).
Nel contesto geologico padano, dovunque si scavi si trovano enormi quantità di ciottoli arrotondati che, lungo le precedenti ère, sono scese a valle dalle Alpi trascinati e arrotondati dall’azione dei ghiacciai e dei fiumi: le cave dalle quali si estraevano i ciottoli per Milano erano praticamente dappertutto attorno alla città mentre ora sono situate prevalentemente lungo il Naviglio ticinese. Come la gran parte dei materiali destinati all’edilizia di Milano, Pavia, Vigevano, ecc. (le sabbie e i materiali lapidei estratti e lavorati nell’Ossola) i ciottoli giungevano a destinazione su chiatte: fino all’immediato Dopoguerra, la Darsena del Naviglio di Milano era il principale terminal di tale infrastruttura idroviaria e costituiva, peraltro, il settimo porto italiano per la quantità, in peso, della merci trasportate (foto 17 e 18).
I ciottoli che si estraggono nelle tradizionali cave che approvvigionano Milano sono costituiti da graniti, serizzi, serpentini, quarzi, ecc. Nelle pavimentazioni decorate (foto 19, 20 e 21), i serpentini sono usati per realizzare il colore scuro, i quarzi (leggermente traslucidi e biancastri) sono usati per il bianco mentre l’insieme indifferenziato degli uni e degli altri, “alla rinfusa”, serviva dove non era necessario ottenere disegno o decorazioni.
Personalmente, sono disposto ad accettare che porzioni storiche della città siano pavimentate con acciottolato, carradore (dette anche “trottatoi”) e cordoli di materiale lapideo tradizionale anche se non posato filologicamente su un supporto di sabbia bensì su una caldana di calcestruzzo: tuttavia, la condizione è che esse siano sottratte al traffico veicolare pesante e, quindi, siano più o meno pedonalizzate.
Non sono assolutamente disposto ad accettare volgarità come quelle che qui ho documentato.
Torniamo infatti al nostro “sito Belgiojoso”!
Appare del tutto evidente che qualche sprovveduto ha commissionato a un altrettanto sprovveduto operatore il restauro e il recupero dell’acciottolato sconnesso.
Quel solerte operatore (magari soddisfatto di avere anche risparmiato sulla fornitura del materiale) ha pensato bene di impiegare ciottoli di calcare bianco di Carrara (per intenderci, quelli che si ottengono industrialmente burattando gli sfridi dell’attività estrattiva e si vendono a sacchi per ornare le aiuole dei lidi della Versilia). Peccato che i ciottoli che si usano a Milano siano invece di quarzo, biancastri e traslucidi ma non… bianchi, abbaglianti come la neve.
Evidentemente, committenza e direzione di quei lavori di ripristino ignoravano che il materiale adatto allo scopo proviene da sempre da cave locali (le quali rientrano nel vasto bacino del Ticino costituito dalle “paleo morene” di materiale di origine magmatica trascinato e arrotondato dagli antichi ghiacciai).
Il risultato è lì da vedere, ormai da troppo tempo.
Domanda: possibile che in tutti questi anni nessuno si sia accorto che i ciottoli bianchissimi e opachi “stonano” vistosamente rispetto a quelli tradizionali tutt’ora esistenti?
Visto che lo spazio è situato in una zona di vincolo ambientale e perciò è sottoposto all’alta sorveglianza della Soprintendenza ai Monumenti possibile che nessuno abbia ancora intimato ai proprietari del sito di correggere quell’autentica “boiata”?
L’ignoranza è sempre colpevole e, soprattutto, non è tollerabile.
Dove era la Soprintendenza? E, oggi, dov’è?




















Didascalie
1.
Un porzione del sito Belgiojoso di Milano sul quale si affaccia la casa del Manzoni: a sinistra, l’immagine mostra con chiarezza l’acciottolato ornato (di cui si parla in questo articolo) e i marciapiedi di granito mentre, a destra, le catenelle delimitano lo spiazzo in questione rispetto alla via Morone, lastricata in porfiroide rosa di Cuasso al Monte.
2.
Particolare della pavimentazione che mostra la corsia a losanghe (di granito di Montorfano e porfiroide rosa di Cuasso al Monte) che divide in due l’acciottolato del sito Belgiojoso.
3.
Particolare degli improbabili paracarri di cemento che, “rafforzati” da alcuni “panettoni”, ora delimitano goffamente il sito Belgiojoso rispetto alla via Morone.
4.
Accesso al Palazzo ora di proprietà di Intesa-San Paolo.
5. e 6.
Le foto mostrano la vecchia pavimentazione disegnata utilizzando ciottoli scuri di serpentino e biancastri di quarzo: si vedono con chiarezza gli intollerabili rappezzi con ciottoli bianchi di marmo di Carrara che, nonostante i molti anni trascorsi, non si sono neppure sporcati (ciò che avrebbe attenuato le loro improbabile e chiassosa presenza).
7. e 8.
Particolari dello scempio perpetrato dalla imbarazzante introduzione di ciottoli bianchi.
9.
Selciato realizzato con masselli lapidei quarzosi: essi sono spaccati in controfalda e posati di costa nel cortile dell’Hotel Dieu a Beaune (Francia).
10.
Selciato con ciottoli quarzosi arrotondati dal fiume Reno a Friburgo (Germania).
11.
Selciato antistante l’Abbazia di Cluny (Francia).
12. e 13.
Lastre di porfiroide rosa di Cuasso al Monte che pavimentano la via Morone, contigua al sito Belgiojoso: i pregiati “masselli” di questo materiale sono stati scelti in passato per pavimentare eleganti strade e piazze del Nord Italia (parti di piazza Maggiore a Bologna, parti dello spiazzo antistante il battistero di Parma, ecc.) perché il loro morbido colore rosato (che, con la pioggia diventa color cuoio) è fra le più sofisticate finiture atte a dare adeguato risalto alle quinte architettoniche delle città.
14. e 15.
Due esempi di acciottolato nel centro storico di Ferrara: sono evidenti i ciottoli di porfido.
16.
Esempio di acciottolatura “moderna” realizzata a Milano nel contesto dei lavori di sistemazione della Darsena e dei Navigli: i ciottoli (peraltro filologicamente tradizionali dell’’area milanese) sono ammarati i una boiacca di cemento e definiti da pseudo carradore di serizzo ottenute da lastre segate e non da masselli rifiniti con lo scalpello.
Il richiamo alla rizzada del passato è, tutto sommato, gradevole e, a suo modo, un po’ romantico ma è evidente che si tratta di una “forzatura vernacolare” che restituisce una trascrizione non particolarmente fedele dell’atmosfera storica della città.
17. e 18.
Due immagini della Darsena del Naviglio a Milano rispettivamente dell’inizio e degli anni ’50 del ‘900. Fino agli anni ’60 le chiatte portavano al centro di Milano i materiali per l’edilizia come sabbia, ghiaia, ciottoli e materiali lapidei (questi provenienti dall’Ossola) necessari alla ricostruzione post-bellica: in tal senso, questo specchio d’acqua era il 7° porto italiano per tonnellaggio di merci trasportate.
A fianco delle tramogge che consentivano di caricare direttamente i camion, si notano i “sabbioni”, cioè i cumuli di sabbia e di ghiaia destinati all’edilizia milanese.
19., 20. e 21.
Alcuni caratteristici selciati ornati presso dimore del centro storico milanese: le prime due riguardano case borghesi di via del Gesù, la terza riguarda il cortile d’onore di Palazzo Litta con le corsie carradore per il transito delle carrozze dall’ingresso principale alle scuderie.