Case alte, case basse

UCTAT Newsletter n.37 – settembre 2021

di Fabrizio Schiaffonati

Il recente incendio di un edificio alto a Milano, una torre di 15 piani, ha suscitato una notevole preoccupazione nella popolazione. Molti interrogativi sono stati sollevati circa la sicurezza e la incolumità delle persone (non solo degli abitanti ma anche dei cittadini); in particolare sulla affidabilità dei materiali impiegati, sulle normative vigenti, sulle responsabilità in ordine alla approvazione dei progetti, e in generale sulle procedure per il rilascio delle autorizzazioni per le costruzioni e i relativi controlli di idoneità.

Molti gli articoli e i pareri di qualificati esperti che hanno consentito di capire le cause di quanto era successo, evidenziando anche alcuni ritardi del contesto normativo con particolare riferimento alla certificazione di materiali e componenti edilizi.

Tutto ciò è certamente di grande utilità per scongiurare futuri incidenti, soprattutto per gli edifici alti, di cui sono del tutto chiare le criticità in ordine alla loro evacuazione, non solo in caso d’incendio

Poche osservazioni invece sono state avanzate sul più generale, ma non meno importante, problema della ubicazione degli edifici alti, sul contesto urbanistico e sulle relazioni che si vengono instaurate con un ampio intorno. Tematiche che coinvolgono la sicurezza di ben più ampi strati della popolazione.

Questo ragionamento di natura prettamente urbanistica è stato affrontato in una intervista rilasciata da Christian Novak. Molte le sue osservazioni pertinenti, circa l’autoreferenzialità di queste costruzioni, la ignorata relazione col contesto di vicinato, la loro localizzazione su aree della dismissione industriale, in altre parole circa la mancanza di una relazione organica con la città, cioè della disciplina urbanistica che dovrebbe integrarsi con quella architettonica.

Le osservazioni di Novak aprono quindi ad alcuni inquietanti constatazioni su un preoccupante stato di fatto della urbanistica milanese. O meglio sulla assenza di una urbanistica in cui la funzione pubblica è primaria nel regolare quel complesso sistema di relazioni spaziali e sociali che costruiscono la città, le sue funzioni, stabilendone rapporti, pesi e misure necessari per la sua organicità, funzionalità e bellezza. Nonché per la salute, la sicurezza e il benessere delle persone. Compito non delegabile ai privati, perché anche coniugazione di diversi interessi e aspettative civili e culturali. Visto che poi la manutenzione della complessa macchina della città rimane in capo alla Municipalità.

Ecco allora sorgere l’interrogativo per andare a fondo della questione, circa la inadeguatezza dei progetti urbanistici, a partire del PGT e dei Piani attuativi.

L’urbanistica ha in passato reso chiaro questo doppio livello, affidando ai Piani Particolareggiati di iniziativa pubblica e ai Piani di Lottizzazione di iniziativa privata il compito di rendere visibile il disegno della città, delle sue parti, a monte del Piano Regolatore Generale da cui desumere funzioni inseribili, quantità e dimensioni delle tipologie edilizie. Piani attuativi sottoposti ad approvazione preventiva.

Una assunzione di responsabilità che ha consentito la realizzazione di quartieri anche periferici con imparagonabile livelli di razionalità rispetto agli attuali sviluppi e sostituzioni edilizie.

Ma anche in riferimenti più recenti come la Bicocca, dove è chiaro un progetto urbano, e non solo l’architettura di Vittorio Gregotti. Ma anche all’estero, ricordando Villes Nouvelles e News Town. E tanti esempi come quelli di Bofill a Parigi e a Montpellier, dove è rintracciabile un chiaro ordine urbanistico.

Progettazione urbana che si struttura nella viabilità, nell’equilibrio tra costruito e spazi liberi, nell’esposizione e nei coni d’ombra degli edifici, e in quant’altro rappresenta la sicurezza dei cittadini: piani o strumenti quindi per la sicurezza a livello della città, come del quartiere, a motivare l’insieme e tanto più la presenza di edifici alti, laddove li si intende costruire. Tenendo poi presente che Milano ha la sua storia, e non è né Las Vegas, né gli Abu Dhabi e nemmeno New York; e che la risorsa suolo nella densità della città è preziosissima, e non va quindi impegnata a caso, per quella malintesa “bellezza del Caos” che sembra aleggiare nei grattacieli del Centro Direzionale e in altri luoghi della città, non privi di un loro carattere identitario che andrebbe invece compreso e valorizzato.

Torre Moro dopo l’incendio, Milano, 30 agosto 2021.
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