UCTAT Newsletter n.32 – marzo 2021
di Elena Mussinelli
Il Superbonus 110% si colloca all’interno delle politiche nazionali a sostegno della ripresa economica nella fase post-pandemica e nella prospettiva del Green Deal europeo. Una iniziativa certamente meritoria, dato che le costruzioni hanno sempre svolto in Italia una funzione di volano produttivo e occupazionale, spesso con esiti positivi e interessanti, attorno dalla quale UCTAT ha cercato di stimolare, crediamo con esiti interessanti, una riflessione più ampia, promuovendo l’iniziativa “Le agevolazioni per la bellezza della città. L’uso delle agevolazioni fiscali per il recupero del costruito come occasione di riqualificazione del territorio” tenutasi lo scorso 11 febbraio. Con l’obiettivo di raccogliere punti di vista autorevoli attorno al problema della riqualificazione edilizia e urbana in rapporto all’immagine e alla bellezza della città. Già in precedenti occasioni, infatti, la formula dei bonus e delle incentivazioni fiscali o volumetriche ha dato luogo a momenti di dibattito, anche con osservazioni critiche sull’opportunità di interventi di ristrutturazione, di efficientamento energetico degli involucri o di recupero dei sottotetti poco attenti alle qualità e ai caratteri ambientali delle preesistenze.
Fabrizio Schiaffonati ha ben inquadrato il tema, sottolineando l’esigenza di operare per un innalzamento della qualità del progetto, per evitare un ulteriore compromissione di un patrimonio che, nel nostro Paese, è già piuttosto compromesso sia per i fenomeni di incuria e abbandono, sia per lo scarso profilo culturale degli interventi, spesso incapaci di coniugare l’appropriatezza delle soluzioni tecnologiche con la qualità ambientale ed estetica.
Luca Bertoli ha introdotto la discussione con un ampio excursus sui diversi dispositivi di agevolazione per la riqualificazione del costruito che, a livello nazionale e comunitario, si sono succeduti nel tempo, a partire dal Bonus Casa del 1986, attraverso il sostegno al risparmio e all’efficientamento energetico degli edifici, sino agli strumenti più recenti, quali gli incentivi per il contenimento delle emissioni climalteranti o il Bonus facciate.
In tale processo Bertoli colloca anche il Superbonus 110%, un provvedimento piuttosto articolato che integra tra l’altro aspetti di sicurezza sismica particolarmente importanti nl nostro Paese, evidenziandone la rilevanza nel contesto alla crisi economica indotta dall’emergenza pandemica e gli aspetti di innovazione per il superamento dei i limiti di capienza fiscale dei destinatari attraverso la cessione del credito; ma anche sottolineando i fattori di rischio connessi alla qualità degli interventi che ne deriveranno: per il proliferare incontrollato di interventi di addizione di nuove componenti tecnologiche sui fronti e le coperture degli edifici (pannelli fotovoltaici, parabole satellitari, cappottature, condizionatori, ecc.), che va estendendosi anche alle strade e ai marciapiedi (impianti e attrezzature a servizio delle reti della mobilità elettrica, della connettività digitale, del teleriscaldamento, ecc.), con l’esito di incrementare uteriormente i fenomeni di disordine anarchico e degrado allo spazio pubblico.
Massimo Alvisi, dello Studio Alvisi Kirimoto, ha sviluppato una riflessione critica sul tema dell’immagine e della qualità dello spazio pubblico, registrando come gli interventi di adeguamento tecnologico-funzionale e impiantistico della città, pur se necessari, stanno producendo di fatto un impatto rilevante e diffuso sulla bellezza della città.
Nell’illustrare alcuni recenti interventi di rigenerazione urbana, Alvisi ha sottolineato l’importanza di sviluppare un approccio progettuale capace da un lato di cogliere maggiormente le opportunità derivanti dai finanziamenti europei per il recupero delle periferie e dei contri storici (e in prospettiva quelle del Recovery Fund), dall’altro di valorizzare tali risorse attraverso più efficaci progettualità ai livelli comunale, regionale e nazionale. In questo senso, il Bonus 110% può rappresentare per Alvisi l’occasione per processi di riqualificazione profonda, non solo energetica, che, integrando fonti di finanziamento diversificate, generino ricadute che, oltre la scala dei soli edifici, investano soprattutto lo spazio pubblico, anche con momenti di concertazione pubblica e forme di partenariato che coinvolgano anche il settore privato e il terzo settore. Come nel caso del progetto sviluppato nel 2018 per la realizzazione della nuova scuola-prototipo per la cittadina di Sora (Fr), nell’ambito del programma G124 di Casa Italia, intervento che ha cercato di dar vita a un nuovo luogo di interesse collettivo in grado di rispondere in modo articolato ai bisogni della comunità locali.
Il contributo di Daniele Fiori, di DFA Associati, saldamente ancorato all’esperienza di progettista, ha focalizzato la riflessione sul tema della bellezza e della sua valutazione, indubbiamente anche largamente soggettiva, raccordandolo a diversi aspetti: la debolezza della figura del progettista rispetto ad altri operatori della produzione edilizia, in primis le committenze – non sempre attente agli aspetti dell’inserimento nel contesto ambientale e paesaggistico -, ma anche le soprintendenze e le commissioni del paesaggio, in un quadro regolamentare complesso in termini di procedure e adempimenti.
Fiori ha inoltre presentato alcuni interventi recentemente realizzati nel contesto milanese, a sottolineare le difficoltà di un approccio progettuale sensibile al rapporto con le preesistenze di un luogo e la sua storia, alla ricerca di una non banale integrazione tra soluzioni tecnologiche ambientalmente appropriate e qualità di un linguaggio architettonico ben contestualizzato. Anche con la necessità di ripristinare un più corretto rapporto di scala tra manufatti e spazi aperti, per una fruibilità dei luoghi dell’abitare sostenuta dalla presenza di ambiti pertinenziali privati e comuni molto fruibili, dotati di verde e alberature, come nella tradizione di tanti cortili e corti milanesi.
L’ampio dibattito seguito a questi contributi, anche con gli ulteriori stimoli forniti da Fabrizio Schiaffonati, mi ha consentito di tentare qualche prima riflessione di sintesi.
Certamente la pervasività delle logiche di recupero ed efficientamento di edifici e patrimoni costituisce un tema cogente, anche in quella prospettiva di qualificazione, gestione e controllo dei processi edilizi che con Schiaffonati abbiamo promosso e praticato per lungo tempo nella ricerca e nella formazione universitaria.
Va però rilevata una carenza sostanziale: quella relativa all’effettivo monitoraggio dei risultati di performance di tante iniziative e sperimentazioni avviate negli ultimi decenni sul fronte del risparmio energetico e della sostenibilità ambientale. Vale a dire: viene monitorata l’efficacia dei provvedimenti di agevolazione in termini di efficacia ed efficienza? È vero che produciamo opere pubbliche dentro un rapporto tempi costi e qualità migliore rispetto al passato? È vero che a valle di questi di questi dispositivi si registrano bilanci energetici e ambientali positivi? Mi riferisco anche a tanti edifici “manifesto” dei quali sarebbe interessante conoscere le prestazioni reali, monitorate in fase d’uso, relativamente al risparmio di materie prime, alla riduzione dei consumi energetici ed idrici, al contenimento dei costi di gestione e manutenzione, ecc., entro una valutazione complessiva del loro impatto nel ciclo di vita.
Un secondo aspetto critico emerso concerne l’assenza di un’azione programmatica e progettuale organica: come è stato da molti rilevato, gli interventi sono prevalentemente episodici, legati a singole occasioni e contesti, con logiche settoriali quando non frammentate: quale politica culturale strutturata è stata messa in campo per le periferie milanesi? Quali investimenti pubblici sono stati fatti per la loro riqualificazione, anche rispetto all’entità delle risorse che sono state acquisite nel contesto di grandi programmi finanziati a livello comunitario, nazionale e regionale? Credo difficile sostenere che, ad esempio, un intervento come quello di Garibaldi Repubblica e della biblioteca degli alberi si configuri come riqualificazioni della periferia, quando si tratta di un ambito che già fine degli anni 80 veniva segnalato da Gianni Verga come una delle aree a più alta accessibilità e attrattività d’Europa.
I problemi oggetto della riflessione di questo incontro – le crisi climatico-ambientale e quella pandemica, inclusa anche la questione della bellezza della città – richiedono processi progettuali e gestionali sistematici e strutturali. Processi per altro praticabili, perché una città come Milano, alla pari di molte altre città italiane, non presentano le condizioni drammatiche e ingovernabili delle megalopoli da 50 milioni di abitanti del Sudamerica. Milano presenta molte analogie con Lione, un esempio paradigmatico che ho a lungo approfondito, dalla dimensione della Comunità Urbana (paragonabile all’area metropolitana milanese) sino alla scala locale di puntuali sistemazioni dello spazio pubblico. A partire dagli anni 80, la città ha cambiato il suo volto: nel centro come nella periferia, nei sistemi fluviali e nella rete dei sistemi di depurazione, nelle opere pubbliche, nelle piazze, ecc.; e l’ha fatto con strumenti ormai anche collaudati, operabili sia dal punto di vista dei compiti e dei ruoli delle pubbliche amministrazioni, sia di un impiego intelligente delle competenze degli architetti, ad esempio con procedure concorsuali per la definizione di linee guida per il progetto e la gestione le spazio pubblico, con un riordino sistematico in termini di materiali, soluzioni tecniche, scelte cromatiche e vegetazionali.
Non da ultimo il tema del decentramento progettuale, per forme di partecipazione basate sulla capacitazione delle comunità locali, con capacità e consapevolezza dei valori e delle caratteristiche dei luoghi.
Le periferie milanesi, peraltro, non presentano fenomeni di degrado irrisolvibili e anzi sono spesso connotate da presenze identitarie importanti (sono stati citati quartieri quali Cesate, Feltre, Corvetto) che richiedono azioni strutturali finalizzate soprattutto alla cura e alla manutenzione, al potenziamento delle dotazioni di servizi e di infrastrutturazione verde, all’incremento della fruibilità e della sicurezza.
In conclusione, anche il tema della bellezza dovrebbe essere visto in una prospettiva in parte diversa, a partire dalla socializzazione di un concetto di decoro, cioè di una soglia minima di correttezza degli interventi che garantisca almeno il necessario: adeguate dotazioni di spazi pubblici e a verde fruibili, accessibili e confortevoli, puliti, ben manutenuti, liberati da attrezzamenti inutili o impropri, con soluzioni coerenti, ambientalmente sostenibili e rispettose degli aspetti identitari del paesaggio urbano.
