Episodi milanesi

UCTAT Newsletter n.42 – febbraio 2022

di Duccio Prassoli

Il ‘900 per la città di Milano è stato un periodo estremamente florido. Cent’anni, il secolo breve, durante il quale in ambito architettonico si sono consumate alcune delle sperimentazioni più interessanti del capoluogo lombardo. Meta di pellegrinaggio per gli architetti europei e lascito importante da cui prendere esempio per la progettazione contemporanea.

In ambito architettonico il XX secolo prende avvio nel milanese attraverso tutte quelle correnti eclettiche che perduravano ormai dalla fine dell’800. “Dapprima il medievalismo strutturale […] poi sorse il floreale; poi l’esotismo ibrido di forme indiane ed orientali, accompagnate tuttavia ad uno stanco e spurio classico detto greco-romano, perché vi potesse star dentro comodamente ogni cosa”.¹ Ad aggiungersi a questi, vi era inoltre quella tendenza di matrice “dannunziana” che vedeva i suoi esponenti in Coppedè, Mancini, Arata e Stacchini. “I caratteri di questa tendenza” si condensavano “nella formula dello “stile eroico”, volto a creare una scena urbana teatrale in cui il simbolismo esplode ai più diversi livelli, dall’uso dei materiali alle decorazioni scultoree, al riferimento spesso inconsciamente carcerario, claustrale o guerresco”.² In un periodo storico, vicino all’inizio del primo conflitto bellico mondiale, vi era poi l’importante presenza di due correnti artistiche che trovavano comuni interessi nell’architettura e nella città: quella dei metafisici e quella dei futuristi. Furono quest’ultimi a definire una sorta di substrato culturale che rese possibile l’avvio di un movimento architettonico – quello dei Novecentisti milanesi – che può essere inteso come un preambolo verso il moderno Milanese. I giovani architetti dello studio di Sant’Orsola (Giovanni Muzio, Gio Ponti, Giuseppe de Finetti, Emilio Lancia) insieme ad Alpago Novello, Fiocchi e Cabiati, riuscirono a carpire dall’eredità futurista quell’idea di negazione dell’ornamento tipica degli eclettismi di fine ‘800 e di inizio ‘900, mentre dalla pittura metafisica assimilarono invece una coscienza storica atta a perseguire una continuità con il passato. Fu con questo movimento che si instaurò nell’ambiente meneghino il germe della modernità, quella riduzione e semplificazione dell’ornamento che – con l’arrivo poi della generazione razionalista – culminerà nei decenni successivi in quello che riconosciamo oggi come moderno milanese. Un nuovo modo di costruire, di abitare e di raccontare Milano attraverso le quinte sceniche che si affacciano sulle strade della città.

Certamente gli episodi raccontati sono facilmente identificabili: dalle facciate eclettiche di Coppedè al Castello Cova, agli archi di Muzio della Triennale fino all’imponente Torre Velasca dei BBPR, tutti questi edifici raccontano un determinato periodo di una storia estremamente virtuosa. Ma quali sono oggi i “momenti” architettonici che raccontano il XXI secolo? Verso quali tendenze si sta orientando la cultura architettonica nella città di Milano?

Se ci si prende una giornata per visitare a piedi il capoluogo lombardo, percorrendo le strade che portano dal centro fino alla periferia, ritengo siano almeno quattro i casi emblematici che possono raccontare – quantomeno parzialmente – gli episodi degli ultimi vent’anni.

Una delle prime cose che salta all’occhio in diversi edifici di recente realizzazione, riguarda una sorta di atteggiamento da parte del progettista per quanto concerne l’organizzazione della facciata. Capita sempre più spesso di notare l’attitudine, in un certo qual modo figlia di alcuni casi della tradizione milanese, di impaginare gli alzati definendo una rigida scansione delle bande orizzontali ed impostando gli elementi verticali in maniera sfalsata tra loro. Un atteggiamento compositivo che ritroviamo in maniera eclatante in alcune opere di Zucchi, come per esempio nel progetto per la Corte Verde nei pressi di Piazza Gae Aulenti, o anche nel progetto di Park Associati per il restyling della Serenissima realizzata dai fratelli Soncino in via Turati. Insomma, una sorta di linguaggio sempre più presente negli edifici milanesi che viene introdotto, con alterna fortuna, per le strade di Milano. Un linguaggio così ricorrente che vien da chiedersi quanto la facciata di un determinato edificio nasca effettivamente da uno studio compositivo e quanto invece da un’emulazione poco conscia del progettista.

Un secondo caso emblematico – costituito da interventi che possono apparire come estranei alla città consolidata ma che oramai vengono ampiamente riconosciuti come elementi principe dell’immaginario condiviso della Milano contemporanea – prende in considerazione i progetti per City Life e Porta Nuova: i due nuovi quartieri meneghini che, insieme al Duomo, appaiono per primi nei motori di ricerca digitando la parola “Milano”. Questi importanti interventi poco si rifanno all’eredità della città che li ospita, tendendo piuttosto ad orientarsi verso il modello di quartiere finanziario che ritroviamo nelle grandi capitali europee. Agglomerati di edifici, in un certo qual modo asettici rispetto al luogo in cui si trovano, legati a forme e linguaggi di facciata estremamente similari tra loro e dipendenti gli uni dagli altri nel comune intento di giustificare la propria presenza in un’unitaria immagine della città. In particolare, City Life è un progetto che, almeno personalmente, risulta ancora difficile da immaginare nella sua conformazione finale. Ad oggi vuole incarnare l’idea di isola felice: un numero limitato di residenze immerse in un grande parco al cui centro si ergono su una piazza-piedistallo tre torri simbolo della Milano finanziaria. Al di là della qualità architettonica dei diversi edifici, che in alcuni casi mostrano anche alcune soluzioni interessanti, ciò che fa emergere un po’ di scetticismo è l’immagine artefatta di questo luogo. Un’area che al momento rappresenta quasi un vuoto urbano, ma che vedrà nei prossimi anni una progressiva densificazione attraverso la realizzazione delle nuove residenze di Libeskind e del portale di ingresso progettato da Bjarke Ingels.

Un terzo episodio contemporaneo in cui ci si imbatte inoltrandosi nella Milano di oggi, è dato certamente da quegli edifici – spesso legati a budget importanti e a studi internazionali – caratterizzati da una giusta scala e da una misurata riservatezza e modestia tipica di molti virtuosismi meneghini del passato. Nel parlare di ciò faccio preciso riferimento ad architetture di grande pregio quali per esempio l’ampliamento della Bocconi per mano dello studio Grafton, la Fondazione Prada di OMA, l’intervento di Botta alla Scala (quello in fase di realizzazione), la Fondazione Feltrinelli di Herzog e de Meuron e il Knowledge Transfer Center dello IULM realizzato dai 5+1AA. Edifici che non vogliono inseguire la fama degli interventi sviluppati in Porta Nuova o al City Life, ma che piuttosto puntano ad essere moderati e preziosi tasselli della città.

Ultimo caso che vorrei portare all’attenzione di chi leggerà questo testo è quello delineato dagli interventi sviluppati ai margini della città. Tra questi compare il progetto per Cascina Merlata nonché quello in Santa Giulia realizzato da Caputo Partnership. In particolare, nel primo, vi è stata una cospicua produzione di edifici a torre che sta tutt’ora continuando con le realizzazioni dello studio Scandurra e dello studio Labics. Un importante intervento che si spera possa innescare un significativo fenomeno di gentrification per quella zona di città e che possa portare allo sviluppo di nuovi progetti ad uso abitativo atti a rispondere all’incalzante domanda degli ultimi anni.

Quelli sopra descritti ritengo possano essere annoverati come alcuni momenti o attitudini di questo inizio secolo che, come per il regesto di opere scaturito dagli episodi esposti all’inizio del testo, rappresentano il racconto di una – per quanto parziale – geografia contemporanea della città. A questi, certamente, si uniranno nei prossimi anni gli interventi in fase di elaborazione relativi agli ex scali ferroviari e quelli relativi alla riqualificazione dello stock di edilizia popolare disseminata per tutta l’area metropolitana di Milano. Senza dubbio due partite importanti che necessitano di soluzioni di ampio respiro, i cui esiti avranno – in un modo o nell’altro – ripercussioni significative per i prossimi decenni.

¹ Giovanni Muzio, Alcuni architetti d’oggi in Lombardia, in Dedalo, fasc. XV, agosto, 1931.

² Paolo Portoghesi, I grandi architetti del Novecento, Newton Compton Editori, Ariccia, 2016.

Torre Velasca, BBPR, 1955-57, costruzione.
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