UCTAT Newsletter n.31 – febbraio 2021
di Raffaella Riva
Nell’introduzione al libro di Luca Mori Paesaggi utopici[1], Gianluca Cepollaro, direttore di tsm-step Scuola per il Governo del Territorio e del Paesaggio della Trentino School of Management, propone una interessante riflessione su come il progetto del paesaggio sia sostanzialmente un esercizio di democrazia. Attraverso il progetto applicato al paesaggio si possono infatti attivare le capacità individuali e collettive di partecipare alle scelte che riguardano la trasformazione e la creazione dei propri spazi di vita, di quei paesaggi della quotidianità tanto cari alla Convenzione Europea.
Perché il progetto di paesaggio possa realmente essere considerato un esercizio di democrazia occorre però creare le condizioni affinché la comunità sia “capacitata”, accompagnata nell’esercizio progettuale, valorizzando in primo luogo saperi, esperienze e memorie. Solo a valle di questo processo di capacitazione si può raggiungere una partecipazione consapevole e piena, ben altro rispetto a tanti “processi partecipativi” di facciata che si limitano a informare, tuttalpiù a consultare la comunità ma non la coinvolgono nei processi deliberativi[2].
Si tratta certamente di un esercizio complesso che presuppone un processo in primo luogo educativo per alimentare la conoscenza critica del proprio paesaggio, l’assunzione di responsabilità individuali e collettive nei suoi confronti e quindi la partecipazione attiva alle scelte che riguardano la sua tutela, gestione e trasformazione, nella continua ricerca di equilibrio tra punti di vista, esigenze e interessi diversi, talvolta anche contrapposti, e nel rispetto delle stratificazioni storiche e culturali che quello stesso paesaggio hanno nel tempo plasmato.
In Paesaggi milanesi Fabrizio Schiaffonati ben esprime questi concetti quando afferma come sia necessaria «una lettura critica del paesaggio in senso più generale come categoria delle trasformazioni della contemporaneità, nella prospettiva sempre più cogente di uniformazione e omologazione dei processi e degli artefatti che trasformano luoghi, territori, città e paesaggi; per introdurre una diversa consapevolezza sugli esiti di tali mutamenti e orientare i progetti alle diverse scale. Una presa di distanza da un presente che, in assenza di storicizzazione, appiattisce ogni proposta, sinonimo di uniformità e di omologazione, senza una dialettica con il contesto, la sua storia, peculiarità, vocazioni e potenzialità»[3].
Con questa logica operano gli ecomusei, nati in Francia cinquanta anni fa dall’intuizione dei museologi Hugues de Varine e Georges-Henri Rivière, e oggi diffusi in tutto il mondo[4].
Nel Manifesto Strategico degli ecomusei italiani redatto nel 2016 si legge che: «Gli ecomusei si configurano come processi partecipati di riconoscimento, cura e gestione del patrimonio culturale locale al fine di favorire uno sviluppo sociale, ambientale ed economico sostenibile. Gli ecomusei sono identità progettuali che si propongono di mettere in relazione usi, tecniche, colture, produzioni, risorse di un ambito territoriale omogeneo con i beni culturali che vi sono contenuti. Gli ecomusei sono percorsi di crescita culturale delle comunità locali, creativi e inclusivi, fondati sulla partecipazione attiva degli abitanti e la collaborazione di enti e associazioni».
Il loro ruolo centrale nel progetto del paesaggio è stato ufficialmente riconosciuto sempre nel 2016 in occasione della 24^ Conferenza generale ICOM tenutasi a Milano. Si è infatti stabilito che «gli ecomusei e i musei di comunità sono il paesaggio», in quanto si prendono cura del patrimonio diffuso e vivente, materiale e immateriale, con un approccio transdisciplinare, sperimentato e testato nella pratica, che è fonte di ispirazione per i musei tradizionali e le istituzioni culturali, ma non solo[5].
Il progetto di paesaggio promosso dagli ecomusei è strettamente legato al vissuto di un territorio, intendendo con questo la stratificazione delle trasformazioni naturali, culturali e antropiche che lì si sono succedute, per costruire una base solida su cui fondare lo sviluppo locale, ben al di là degli aspetti vernacolari di una mera tutela del patrimonio fine a se stessa, che risulta essere sterile e non duratura. Gli ecomusei, pur nella loro varietà di competenze e anche di modelli gestionali più o meno spinti verso il terzo settore e il volontariato, esprimono una sensibilità progettuale non usuale e hanno le potenzialità per supportare gli Enti territoriali nella gestione del territorio, fungendo da “antenna” e da “cerniera” tra la comunità e le istituzioni, soprattutto nel contesto attuale di forte crisi a livello globale.
Da un lato la crescente attenzione rivolta al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU, con tutte le campagne di sensibilizzazione e educazione, le iniziative e le politiche che ne stanno derivando, e dall’altro la pandemia che ha sradicato le abitudini, le economie e la percezione stessa del paesaggio della nostra quotidianità, hanno amplificato l’importanza e la centralità dei sistemi locali, fatti in primo luogo di reti di relazioni e servizi di prossimità. Elementi questi che caratterizzano trasversalmente l’operato degli ecomusei e che assumono grande rilievo nel determinare le capacità competitive di un territorio nella crescita della coesione sociale ancor prima che economica.
All’interno dei loro territori di riferimento, e confrontandosi a livello internazionale, gli ecomusei sono oggi in prima linea nell’affrontare le sfide della globalizzazione, andando anche oltre la loro “classificazione” (almeno in Italia) come istituti culturali, per molti versi riduttiva rispetto alle effettive pratiche messe in campo, nella direzione di configurarsi a tutti gli effetti come “agenzie per lo sviluppo locale”.
Il prossimo 29 marzo, in occasione del ciclo di webinar “Babel Tower: museum people in dialogue” promosso dalla Université de Liège (Département des sciences historiques – Muséologie e Département d’Architecture) e dall’Università di Catania (Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura), sarà ufficialmente lanciata l’iniziativa della Rete degli Ecomusei italiani EMI “Gli ecomusei sono paesaggio”. Si tratta di un programma di eventi a partire dal 21 giugno prossimo, per presentare le buone pratiche che gli ecomusei quotidianamente attuano per la cura del paesaggio e per un progetto di futuro incentrato sul benessere collettivo. Per una settimana si rifletterà su pratiche di valorizzazione del paesaggio declinate rispetto ai temi della partecipazione, della resilienza, dell’economia circolare, del benessere, della diversità e della trasmissione, per giungere poi il 20 ottobre a un convegno di bilancio sull’applicazione della Convenzione Europea del Paesaggio, a 21 anni dalla sua firma[6].
Da sottolineare anche l’impegno, sempre della Rete degli Ecomusei italiani EMI, nell’ambito della Pre-COP26 “Verso la COP26: Conferenza preparatoria ed evento giovani “Youth4Climate: Driving Ambition” che si terrà a Milano a fine settembre[7]. Di concerto con gli ecomusei inglesi, partner dell’iniziativa, la volontà è quella di organizzare una o più giornate per discutere nel merito delle azioni intraprese dagli ecomusei per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU, e in particolare gli impegni per fronteggiare i cambiamenti climatici[8]. All’evento parteciperanno gli ecomusei coinvolti nel Progetto Erasmus+ “EcoHeritage. Ecological heritage: ecomuseums as a collaborative approach for the recognition, management and protection of cultural and natural heritage” (da Italia, Polonia, Portogallo e Spagna)[9] e il gruppo “Reimagining Museums for Climate Action”[10].
Non da ultimo la Rete degli Ecomusei italiani EMI, su invito dell’Ufficio di Venezia del Consiglio d’Europa, aderirà alla 9^ edizione del World Forum for Democracy, “Can Democracy save the Environment?”, in particolare partecipando alla campagna “12 Mesi 1 Domanda”, con iniziative nell’ambito dell’impegno dei giovani nella lotta ai cambiamenti climatici, del rapporto tra ambiente ed economia, e delle politiche ambientali[11].
Da questo quadro emerge un forte impegno degli ecomusei per la costruzione di una democrazia di prossimità efficace, affrontando le questioni globali a partire da una approfondita conoscenza dei sistemi locali. In questo senso gli ecomusei si candidano come ambienti idonei e ricettivi dove sperimentare e misurare l’efficacia di modelli avanzati di governance, in grado di superare l’empasse progettuale che spesso si genera, soprattutto in ambiti urbani metropolitani dove più forti sono le pressioni economiche e immobiliari, laddove manca la disponibilità ad assumersi l’onere delle scelte, con la rinuncia del pubblico al ruolo di orientamento e coordinamento, e del privato a sostenere gli interessi della collettività. Se in Italia per anni l’Ecomuseo Urbano di Torino è rimasto un caso isolato, negli ultimi anni gli ecomusei urbani hanno assunto un peso sempre maggiore, tanto da incidere anche nei livelli della pianificazione delle Città Metropolitane di Roma e di Milano.
In particolare la realtà ecomuseale milanese appare in forte crescita: all’Ecomuseo Urbano Metropolitano Nord Milano, riconosciuto dalla Regione nel 2009, che opera a Niguarda in stretta sinergia con il Municipio 9, si sommano oggi l’Ecomuseo Martesana attivo nel Municipio 2, l’Ecomuseo della Vettabbia e dei Fontanili nell’ambito del Municipio 4 e l’Ecomuseo MUMI Milano Sud nei Municipi 5 e 6. Esperienze in grado di rifondare il progetto del paesaggio urbano, promuovendo la memoria, i saperi locali, la ricucitura della città con i suoi territori contermini, e anche l’impiego delle nuove tecnologie per la comunicazione, l’accesso alle informazioni e il coinvolgimento più ampio della comunità.
L’auspicio è che anche attraverso tali esperienze si possa giungere ad aggiornare il progetto del paesaggio, mettendo in discussione i processi autorizzativi e le competenze dei decisori e delle commissioni tecniche a supporto, in favore di una valorizzazione e di un maggior coinvolgimento dei saperi che il territorio esprime.

[1] Cfr. Luca Mori (2020), Paesaggi utopici. Un manifesto intergenerazionale sulla vivibilità, Edizioni ETS, Pisa.
[2] Si pensi alla vicenda della riapertura dei Navigli milanesi, per fare solo un recente esempio.
[3] Cfr. Fabrizio Schiaffonati (2019), Paesaggi milanesi. Per una sociologia del paesaggio urbano, Lupetti, Milano, p. 12.
[4] L’anniversario sarà festeggiato il prossimo 3 settembre, a ricordare la prima volta che il termine “ecomuseo” venne pronunciato in un discorso pubblico nel 1971 alla 9^ Conferenza internazionale ICOM a Digione da Robert Poujade, allora Sindaco della città e neo-Ministro dell’Ambiente francese. Alla stesura di quel discorso collaborarono proprio Hugues de Varine e Georges-Henri Rivière.
[5] Cfr. Riva R. (eds) (2017), Ecomuseums and cultural landscapes. State of the art and future prospects, Maggioli, Santarcangelo di Romagna.
[6] Per approfondimenti su questa e le altre iniziative della Rete degli Ecomusei italiani si rimanda al sito: https://sites.google.com/view/ecomuseiitaliani/home.
[7] Cfr. https://www.minambiente.it/pagina/verso-la-cop26-conferenza-preparatoria-ed-evento-giovani-youth4climate-driving-ambition.
[8] Ulteriori informazioni possono essere reperite nel sito della Rete degli Ecomusei italiani e su DROPS, World Platform for Ecomuseums and Community Museums: https://sites.google.com/view/drops-platform/home.
[9] Per approfondimenti si rimanda a: https://dropsplatform.blogspot.com/2020/09/a-project-for-european-ecomuseums.html.
[10] Cfr. https://www.museumsforclimateaction.org/.
[11] Cfr. https://www.coe.int/en/web/world-forum-democracy.