I nodi al pettine e la dignità delle persone

UCTAT Newsletter n.42 – febbraio 2022

di Eugenio Arbizzani

Nel 1946, all’esito del conflitto bellico, fu pubblicato il Manuale dell’architetto, edito dal Consiglio Nazionale delle Ricerche sotto la guida dell’architetto Mario Ridolfi. Esso faceva il punto dello stato dell’arte della produzione edilizia del tempo, diventando così il riferimento tecnico nazionale per la ricostruzione postbellica, che prese l’avvio a partire dai piani INA-Casa di edilizia residenziale pubblica, per la costruzione delle case dei lavoratori. Il manuale, pubblicato a cura del CNR, fu finanziato dall’USIS United States Investigation Services nell’ambito del “European Recovery Program”, generalmente noto come “Piano Marshall”. Il programma di aiuti all’Europa fu dotato di uno stanziamento di circa 13 miliardi di dollari e il principale beneficiario fu il Regno Unito che ricevette aiuti per la metà di quanto messo a disposizione, mentre all’Italia andò il 10% del programma statunitense.

Al confronto, la attuale quantità di risorse introdotte dal piano “Next Generation EU”, approvato nel luglio 2020 dal Consiglio europeo al fine di sostenere gli Stati membri colpiti dalla pandemia, è molto più di quanto offerto al tempo del Piano Marshall, che pure consentì all’intero Continente di risollevarsi e di ritrovare un nuovo orizzonte di sviluppo sociale ed economico.

Le componenti operative del piano nazionale del PNRR propongono, nella maggior parte di esse, obiettivi e soluzioni che interferiscono radicalmente con i modi di utilizzare le risorse di energia e di materie di cui il settore delle costruzioni è il maggiore consumatore; e condizionano anche in grande parte i criteri e i metodi di progettazione, sviluppo e produzione di beni e servizi per l’uso delle città. Esse sfidano l’intero comparto, tra i maggiori responsabili dell’inquinamento ambientale, ad una radicale ristrutturazione verso la sua decarbonizzazione.

Purtuttavia in un momento così cruciale per la ripresa del Paese non deve mai essere perso di vista che questi aiuti sono in gran parte prestiti, il cui onere economico della restituzione dovrà essere sostenuto con i maggiori ricavi derivati dall’incremento strutturale di produttività che il nostro Paese sarà in grado di attivare. Dopo poco più di due anni di sovvenzioni e aiuti all’economia, l’incremento del rapporto debito pubblico verso prodotto interno lordo[1] viene posto nuovamente all’attenzione della cronaca, sia per gli effetti inflazionistici che sono ormai evidenti, sia per la dimensione dell’onere a cui saremo chiamati a rispondere, sia infine per la constatazione della ineludibilità di una riforma del patto di stabilità fra i Paesi dell’Unione Europea.

L’imponenza di tali finanziamenti non può fallire nell’efficacia, e all’esito della transizione ecologica e digitale il Paese dovrà essere riuscito in questo intento, al costo del minimo onere sociale possibile. Allora dobbiamo per tempo interrogarci sugli indirizzi politici degli investimenti posti in essere.

Con la copertura dei fondi europei, l’art. 119 del decreto 34/20[2], con l’obiettivo di contribuire alla transizione ecologica, ha offerto ai proprietari di immobili l’opportunità di ottenere un incremento di valore del proprio patrimonio, e al contempo – in termini di utilità pubblica – sta consentendo alla nostra economia di supportare significativamente l’uscita dalla crisi di un intero comparto, quello edilizio, caratterizzato da un alto tasso di occupazione di manodopera. In questo senso il PNRR si pone obiettivi assimilabili a quelli che spinsero, settanta anni prima, il governo italiano a varare il “Piano di incremento della occupazione operaia” attraverso la realizzazione di un programma di case pubbliche per i lavoratori[3], impiegando i fondi assicurati dall’organizzazione internazionale UNRRA-CASAS nel quadro degli accordi fra il governo italiano e le Nazioni Unite.

Quei quattordici anni di durata del programma rappresentarono per il nostro Paese la prima consistente e diffusa esperienza di realizzazione di edilizia sociale pubblica, che consentì l’accesso ad alloggi igienici e funzionali a una grande platea di indigenti e di famiglie a basso reddito[4]. Dal punto di vista di politica urbanistica, uno degli aspetti salienti di quell’esperienza fu la realizzazione dei “quartieri”. Con le sue case, attrezzature collettive, spazi aperti, giardini, il quartiere fu ipotizzato come una unità di formazione e di vita di comunità dei cittadini, un dispositivo per una ricostruzione anche sociale dell’Italia[5].

Ora in questo piano attuale non vi è traccia di un programma di investimenti di edilizia pubblica, le risorse sono destinate invero a chi la casa già ce l’ha. E nella prospettiva di una progressiva divaricazione sociale a cui il nostro come gli altri Paesi stanno assistendo, appare a chi scrive che questo annoso problema non possa più essere ignorato, come un nodo che sta venendo al pettine. Le risorse che potrebbero essere dedicate ad investimenti in edilizia pubblica resterebbero a incrementare il patrimonio del Paese – un investimento pubblico a favore della collettività – e al tempo stesso offrirebbero opportunità di crescita delle classi meno abbienti attraverso una leva di equità sociale, pure senza limitare l’incentivo allo sviluppo del comparto delle costruzioni.

L’introduzione di una copertura del 110%, addirittura superiore all’importo investito dal privato e a ristoro di ogni onere finanziario, ha ottenuto successo, portando in breve tempo ad una effettiva rinascita del settore. La sua rapidità e la sua intensità hanno però causato incrementi di costi ingiustificati e una spinta speculativa della filiera delle costruzioni, un settore con manodopera e imprese limitate. Vi è da chiedersi se una copertura inferiore – pure significativa ma non totale – avrebbe comunque raggiunto lo stesso risultato, e magari avrebbe consentito di distribuire il piano di sovvenzioni su un lasso più ampio di tempo, con effetti meno speculativi e più strutturali.

Ora occorre azionare un decalage delle operazioni del 110%, poiché non si può continuare a fare debito per un periodo così lungo; in tal senso vanno le restrizioni in atto e i termini di scadenza previsti dal governo. Ma anche questa operazione dovrebbe essere attuata con gradualità, per evitare contraccolpi, sia alla filiera produttiva che all’occupazione del settore. Anche in questo quadro potrebbe essere utile la adozione di un piano di investimenti pubblici in edilizia sociale[6], articolato secondo modalità assimilabili all’edilizia sovvenzionata e agevolata, adottando i nuovi strumenti finanziari dei fondi immobiliari già in essere, e modificandoli anche a favore dei soggetti deputati alla gestione degli immobili pubblici.

L’esperienza dei programmi di recupero, riqualificazione e rigenerazione urbana, soprattutto nelle periferie, ha conosciuto in questi anni una stasi che ha bloccato molti progetti, e la realizzazione di importanti opere pubbliche; occorre un nuovo programma nazionale che indirizzi risorse verso questo comparto, rivedendo procedure e processi autorizzativi e realizzativi.

In questo quadro potranno utilmente essere messe in campo risorse progettuali, soluzioni urbane e tecnologie green a vantaggio della sostenibilità ambientale, e al contempo di quella sociale. Abbiamo un grande bisogno di vedere realizzati meno boschi verticali e più verde pubblico, verde di vicinato e verde privato, a vantaggio dei molti, poiché i pochi avranno comunque le risorse (senza pubblici incentivi), per realizzare brani di architettura urbana di qualità elevata e di pari impatto sul paesaggio urbano.

La tutela pubblica dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, un ulteriore nodo al pettine da tempo irrisolto, è entrata finalmente in Costituzione: con la approvazione della legge di modifica costituzionale[7] anche il nostro Paese si uniforma ai principi formulati a livello europeo e internazionale, fino ad ora salvaguardati solamente da dottrina e giurisprudenza. Il nuovo assetto costituzionale rafforza in maniera significativa i principi della sostenibilità ambientale, creando i presupposti a garanzia della salvaguardia del capitale naturale che deve costituire il fondamento di tutte le nostre attività sociali ed economiche. Il riferimento esplicito alle future generazioni introduce nella carta fondamentale il concetto di sviluppo sostenibile, secondo il quale le risorse naturali non possono essere sfruttate in modo illimitato, senza tener conto di chi verrà dopo. Ma affinchè questo nodo si sciolga effettivamente in azioni pratiche, è necessario ridefinire un sistema normativo organico, introducendo innovazioni procedimentali e nuovi strumenti operativi, in grado di portare i temi ambientali a motore della ripresa post pandemica, e allo stesso tempo garantendo il ristabilirsi della sostenibilità sociale.

Di questo appunto dobbiamo occuparci nell’immediato: di porre rimedio agli squilibri enormemente aumentati con la pandemia, mantenendo integro il livello della dignità delle persone, che rischiano, nelle fasce meno abbienti, di essere travolte dai processi in atto, di innovazione e trasformazione nell’economia e nella società. Tali squilibri possono essere ulteriormente appesantiti anche dalle riforme strutturali a cui il Paese è chiamato e che fino ad oggi sono rimaste nodi inattuati.

Le innovazioni che la tecnologia produce devono essere strumento primario del supporto allo sviluppo equilibrato dell’ambiente costruito: nuove città e nuovi comparti urbani, nuove case e nuovi luoghi di prossimità, digitalizzati, automatizzati e interconnessi, possono costituire il luogo del ristabilirsi della dignità delle persone.

Nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo[8] la dignità delle persone viene collegata strettamente ad un principio di uguaglianza contro ogni discriminazione: “L’unico e sufficiente titolo necessario per il riconoscimento della dignità di un individuo, è la sua partecipazione alla comune umanità”. Per il suo stabilirsi è necessario che questa sia riempita di senso attraverso il contrasto alle povertà e ai disequilibri crescenti, sociali, economici e ambientali[9].

 Le tecnologie green in grado di garantire sostenibilità nella infrastrutturazione e nella introduzione delle ICT nella città già ci sono, e sono in rapida evoluzione. Le componenti più avvedute della rendita immobiliare ne stanno già sperimentando le potenzialità di creazione di valore, ma ciò più per seguire il trend della comunicazione commerciale, piuttosto che per offrire reali benefici per la collettività. Queste ora devono essere adottate e fatte proprie dalla pubblica amministrazione, per riprendere in mano il ruolo di guida e di controllo sulle strategie di sviluppo urbano e dare nuovo contenuto alla pianificazione urbanistica. Infine, anche come strumento di regolazione fra interessi privati di economia immobiliare e interessi pubblici: dei singoli cittadini e delle comunità, dell’ambiente antropizzato e dell’ecosistema.

Case Incis al QT8, Piero Bottoni et al., 1945-54, costruzione.

[1] Il Fiscal Monitor del Fondo monetario internazionale prevedeva che il debito pubblico italiano nel 2021 sarebbe arrivato al 159,7% del Pil dopo il 157,5% del 2020. Numeri non erano lontani rispetto a quelli contenuti nella Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, che fissava il debito al 158% nel 2020 e al 155,6% nel 2021. La marcata ripresa dell’economia degli ultimi mesi dell’anno scorso è stata decisiva per interrompere l’aumento del rapporto tra debito pubblico e prodotto, che alla fine del 2021 dovrebbe essere sceso su valori prossimi al 150 per cento.

[2] Il D.L. 19.05.2020 n.34, convertito nella legge 17.07.2020 n.77, ha introdotto una detrazione nella misura del 110 per cento per le spese sostenute dai contribuenti nel caso di interventi edilizi diretti a migliorarne l’efficientamento energetico e, nel caso di interventi di recupero del patrimonio esistente, inclusi quelli antisismici.

[3] Dopo un iter parlamentare travagliato, il 28 febbraio 1949 venne firmata dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi la legge n. 43, che istituì un piano nazionale per costruire case per lavoratori e favorire l’occupazione operaia, noto come Piano “Ina Casa”. Con quel piano si intendeva affrontare il problema della disoccupazione, e il settore edilizio era sembrato quello più idoneo a risolverlo e a riavviare complessivamente lo sviluppo economico dell’Italia del dopoguerra.

[4] Il Piano Ina Casa, che partì nel 1949 e durò fino al 1963, era basato, oltre che su finanziamenti pubblici, anche su un prelievo forzoso (pure di ridotta entità) sui salari di tutti dipendenti pubblici e privati, e potè così contare complessivamente su una riserva finanziaria notevole. Il programma di edilizia pubblica si è prolungato successivamente con la Gescal (acronimo di GEStione CAse per i Lavoratori; legge 14 febbraio 1963, n. 60) fino al 1990, e poi fino alla soglia del 2000, con la abolizione nominale delle trattenute. Ma quelle trattenute, in qualche forma, restano ancora in essere sotto dizione più generica, ora non più direttamente destinate allo scopo, l’esatto contrario del meccanismo posto alla base del “110 per cento”: finanziamenti tutti pubblici direttamente destinati tutti al privato.

[5] Nell’ambito dei programmi UNRRA-CASAS vennero realizzati quartieri di edilizia residenziale noti nella storia dell’architettura per la qualità edilizia e urbana che riuscirono a realizzare. Fra tutti il quartiere di San Basilio, nella periferia di Roma, progettato dall’architetto Mario Fiorentino e realizzato dal 1949 al 1955; e il borgo La Martella realizzato negli stessi anni nella nuova area a ovest di Matera, progettato da un gruppo di architetti romani guidati da Ludovico Quaroni, secondo l’auspicio di Adriano Olivetti.

[6] La residenza sociale, rispondendo all’impossibilità di segmenti consistenti della società (famiglie italiane e straniere) di accedere al mercato della casa in proprietà o in affitto sul mercato libero, è di fatto parte integrante del welfare del Paese. L’espletamento della funzione sociale deve essere interno alle politiche urbane perseguite dagli strumenti di pianificazione territoriale in quanto gli obiettivi di integrazione e di coesione sociale costituiscono un fattore di qualità complessiva dei tessuti urbani e di equità sociale. Ciò partendo dall’esame di due distinti segmenti di fabbisogno abitativo: la domanda di casa popolare e la richiesta di aiuto economico per il sostegno all’affitto sul mercato privato.

[7] Dalla sua entrata in vigore, la Costituzione, all’art. 9 (aggiungendo un terzo comma), stabilisce che: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.” L’art. 41 (inserendo nuovi termini per la tutela dei diritti) stabilisce che: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.”

[8] La Dichiarazione universale dei diritti umani (UDHR, Universal Declaration of Human Rights) è stata adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nella sua terza sessione, il 10 dicembre 1948 a Parigi.

[9] Cfr. Sergio Mattarella, discorso alle Camere riunite, 3 febbraio 2022: “… La pari dignità sociale è un caposaldo di uno sviluppo giusto ed effettivo. Le diseguaglianze non sono il prezzo da pagare alla crescita. Sono piuttosto il freno di ogni prospettiva di crescita. Nostro compito – come prescrive la Costituzione – è rimuovere gli ostacoli. Accanto alla dimensione sociale della dignità, c’è un suo significato etico e culturale che riguarda il valore delle persone e chiama in causa l’intera società. …”.

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