UCTAT Newsletter n.33 – aprile 2021
di Martino Mocchi
Nell’incipit di uno dei testi che ha più profondamente segnato la visione occidentale del mondo – la Metafisica – Aristotele afferma che “gli uomini preferiscono la vista alle altre sensazioni”. Tale considerazione ha permeato la nostra cultura fin dalle origini, diventando sempre più pervasiva proprio in tempi contemporanei, a seguito della diffusione dello schermo come canale di informazione e dell’immagine come strumento privilegiato di conoscenza.
Di fronte a questa tendenza, che ha storicamente allineato modelli di pensiero per altri versi antitetici, sono recentemente sorte alcune istanze che segnalano l’importanza dei “sensi minori” per la nostra esperienza quotidiana. Riflessioni che attingono alla matrice fenomenologica e prendono forma in concetti quale quello di “spazio vissuto”, “atmosfera”, “paesaggio sonoro”. La necessità è quella di un adeguamento culturale, che porti a interpretare lo spazio abitato come prodotto di un orizzonte multisensoriale in cui suoni, odori, sapori rappresentano riferimenti imprescindibili per comprendere il tratto identitario della vita locale.
La ricerca di elementi a sostegno di tale ipotesi trova un interessante contributo in una Legge recentemente passata all’approvazione del Senato Francese, finalizzata a “Definire e proteggere il patrimonio sensoriale delle campagne” (Loi n. 2021-85, 29 gennaio 2021).
Contestualizzandosi all’interno di una riflessione normativa avviata da qualche decennio – di cui la “Convenzione per la salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale” dell’UNESCO (2003) rappresenta un riferimento imprescindibile – tale Legge interpreta il concetto di “patrimonio” in un senso estensivo, inclusivo dei suoni, delle tradizioni, dei sapori e dei linguaggi locali. Un approccio che ha segnato un cambiamento nella stessa idea di tutela e valorizzazione del territorio, favorendo un nuovo approccio alla fruizione dei luoghi.
Rispetto alla Convenzione del 2003, l’introduzione del concetto di “patrimonio sensoriale”, a completamento di quello di “patrimonio immateriale”, segna uno sviluppo, finalizzato a estendere l’idea di tutela non solo agli elementi dell’attività umana, ma anche a quelli prodotti dalla natura, dagli uccelli, dagli animali. Ciò risulta particolarmente significativo proprio per i contesti rurali, dove i suoni e gli odori naturali (si pensi al canto del gallo, all’abbaiare dei cani, all’odore del concime ecc.) rendono spesso evidenti le differenze di sensibilità tra il fruitore locale, che a questi elementi associa un significato per la sicurezza e il ritmo della propria vita, e i visitatori esterni, infastiditi durante le scampagnate domenicali.
Per far fronte a questo scenario, la proposta di Legge presentata l’11 settembre 2019 articola tre necessità principali:
– creare una nuova categoria di patrimonio – il “patrimonio sensoriale del paesaggio”;
– prevedere che le emissioni sonore e olfattive di ambienti naturali possano essere incluse in questa categoria, alla luce di una valutazione da parte di una Commissione dedicata;
– prevedere che i rumori e gli odori inclusi in questa categoria non possano essere considerati “disturbi anormali del vicinato”.
Le successive approvazioni da parte dell’Assemblea Nazionale (30/1/2020) e del Senato (21/1/2021) ridimensionano la proposta, producendo un testo di Legge molto snello, che ha certamente più il merito di segnalare la necessità di nuove aperture nel discorso normativo che risolvere problemi concreti. Il riferimento a una Commissione deputata a valutare gli elementi sensoriali del paesaggio, per esempio, viene ignorato, probabilmente per evitare i numerosi nodi attuativi che si sarebbero presentati.
Ciò non significa, d’altra parte, rinunciare allo sfondo da cui prende le mosse l’intera riflessione. Nel primo Articolo viene introdotta una modifica al Codice Ambientale (L. 110-1), finalizzata a includere in modo esplicito i “suoni” e gli “odori” come parte del patrimonio comune della nazione. Il secondo Articolo insiste sull’importanza del patrimonio sensoriale come elemento fondativo dell’identità dei luoghi, segnalando le potenzialità di questo elemento anche per la definizione degli strumenti di pianificazione urbana. Il terzo Articolo, infine, rivede la nozione di “disturbo anomalo di vicinato” alla luce di queste premesse, prospettandone una più raffinata interpretazione qualitativa.
È probabilmente quest’ultimo il contributo teoricamente più rilevante della Legge, che stabilisce una diretta relazione tra l’elemento sensoriale sanzionabile (ossia, appunto, il “disturbo anomalo”) e il tratto del vivere locale. In tal modo, ci si allontana dal tradizionale trattamento vincolistico e oggettivo del dato sensoriale, per mettere in relazione la sanzione a un concetto di “normalità” come espressione degli equilibri locali tra attività umana e ambiente. Proprio a questo nuovo ruolo strategico della “normalità” si rivolge il lascito più sfidante della Legge, che impone al Governo di studiare entro sei mesi dalla promulgazione i criteri per quantificare il carattere “anormale” del disturbo.
«Il canto del gallo, il suono delle campane, il raglio dell’asino, l’odore del letame o dei pollai, il gracidio degli anfibi» diventano quindi «i rumori e i profumi integranti la vita contadina». Il tratto identitario di un territorio che non può essere assolutizzato per soddisfare le logiche pervasive del turismo cittadino, ma che deve essere conosciuto e valorizzato nella sua peculiarità produttiva, estetica, emozionale e percettiva.
Una prospettiva rilevante anche per il nostro Paese, quindi, che potrebbe integrarsi con una serie di aperture già presenti nel discorso normativo nazionale, nonché estendersi alla considerazione dei più complessi contesti urbani. Per fare della Legge uno strumento non solo in grado di limitare i “rumori” e le “puzze” che inquinano i luoghi abitati, ma anche di valorizzare gli elementi della multisensorialità come fattore di costruzione di identità e di carattere locale.