Il significato dei grandi eventi

UCTAT Newsletter n.44 – aprile 2022

di Andrea Tartaglia

Circa 10 anni fa, il 25 maggio 2012 al Politecnico di Milano e con il supporto de L’Arca International, insieme a Elena Mussinelli e Fabrizio Schiaffonati organizzammo la Conferenza Internazionale “Milano Expo 2015. Il progetto degli eventi globali”.

Partendo dalla condivisione dello stato dell’arte sul progetto EXPO 2015, e confrontandolo con le esperienze degli Expo di Lisbona 1998 (presentata dal progettista del padiglione di presentazione Miguel Arruda), di Aichi 2005 (presentata dal progettista del padiglione giapponese Toshiyuki Kita), di Shanghai 2010 (presentata Shiling Zheng coordinatore del master plan e capo dell’Istituto di architettura e urbanistica della Tongji University e dal progettista del padiglione italiano Giampaolo Imbrighi) e dei Giochi Olimpici di Londra 2012 (presentata da Nicholas Reynolds senior partner di Populous progettista dello Stadio Olimpico), si sviluppò un costruttivo dibattito finalizzato a comprendere limiti e opportunità dell’evento milanese e soprattutto del post evento. Inoltre nel dibattito furono coinvolte importanti rappresentanze istituzionali e del mondo delle imprese già impegnate in precedenti esperienze italiane o nell’EXPO 2015, tra cui Umberto Vattani e Claudio De Albertis, oltre a Matteo Gatto e Italo Rota che saranno poi i progettisti del padiglione Italiano per l’Expo di Dubai.

Si trattava di un importante momento di svolta, perché era ormai evidente la crisi dei modelli tradizionali dei grandi eventi. Non solo Expo, ma anche giochi olimpici ed eventi sportivi di carattere mondiale, quali ad esempio quelli che coinvolgevano il gioco del calcio. Tali eventi, infatti, si caratterizzavano sempre più da un lato per le evidenti difficoltà di attrarre investimenti e diventare occasione di rilancio economico e di rigenerazione urbana e, dall’altro, per i veloci processi di abbandono e degrado delle infrastrutture appositamente realizzate. Nasce in questo contesto il dibattito sulla SOSTENIBILITÀ dei grandi eventi.

Tematica che in realtà caratterizza anche le discussioni intorno ai prossimi Giochi Olimpici invernali Milano Cortina del 2026.

L’imponente sviluppo anche fisico impostato e trainato dai grandi eventi dei secoli scorsi non è oggi più facilmente ripetibile e per molti aspetti neanche augurabile. Si pensi ad esempio alla prima EXPO di Milano del 1906 che consacrò la città capitale industriale italiana, arricchendola di infrastrutture – quali parco Sempione – che per decenni hanno favorito la crescita sociale ed economica, in contrapposizione alle difficoltà incontrate nel decennio scorso nel sincronizzare l’evento del 2015 con l’attuazione di interventi strategici programmati, quali la Città della Salute, le nuove metropolitane, la valorizzazione del sistema dei navigli, ecc..

Il successo di EXPO 2015 si è infatti esplicitato non tanto nella riconfigurazione formale di brani di città (ancora oggi la riqualificazione della stessa area di Rho Pero insegue il presentarsi discontinuo di opportunità e investitori), ma prevalentemente nel rilancio del brand cittadino, con un significativo aumento dei flussi turistici e un rinnovato vigore del mercato immobiliare. Ricadute quindi indirette, ma comunque indubbiamente fondamentali, per spingere i privati a investire nella rigenerazione del tessuto urbano. Un processo ben noto a Milano, se si pensa all’impatto del Salone del Mobile come stimolo per l’attivazione di veri processi di rigenerazione urbana e riconfigurazione funzionale, talvolta anche di carattere strutturale. Si pensi ad esempio a Zona Tortona, a, Design District di Brera o, pur se in misura minore, a Lambrate Ventura.

Anche i prossimi giochi olimpici sembrano già produrre alcuni effetti. Con l’accelerazione data al completamento di Milano Santa Giulia Nord e all’attuazione della trasformazione dello Scalo di Porta Romana. A questi si dovrebbe affiancare anche la conclusione di progetti infrastrutturali pensati già per EXPO 2015, come la metropolitana 4 e la tramvia tra Forlanini e Rogoredo. Dal punto di vista delle infrastrutture pubbliche (e non quindi private, anche se di uso pubblico nel periodo dei giochi), Milano non sembra invece essere significativamente coinvolta. I principali interventi viabilistici riguardano infatti situazioni extracittadine, quali la Strada Statale 36, la Tangenziale Sud di Sondrio, la SS 42 la SS 639, la SS 51 e la SS 38.

Come spesso accade non mancano le critiche rispetto agli investimenti su infrastrutture certamente impattanti e di cui si fatica a comprendere l’utilità nel tempo: il caso più emblematico è probabilmente l’investimento che dovrebbe superare i 60 milioni di euro per la nuova pista per il bob, a valle anche delle criticità già vissute con la pista realizzata a Cesena per Torino 2006 e che oggi versa in stato di abbandono. Tuttavia, questo breve articolo non vuole chiedersi se sia giusto intervenire o meno sul territorio, o se sia giusto che il pubblico investa direttamente per potenziare le infrastrutture, anche di carattere sportivo. Il nostro territorio è un ambito fortemente antropizzato – come lo sono d’altronde anche i rinomati paesaggi della Toscana o della stessa Cortina – e quindi richiede un continuo intervento per la sua gestione e anche implementazione e miglioramento.

Occorre piuttosto riflettere su come si sia andati progressivamente verso un modello che cerca di produrre ricadute indirette, anche attraverso azioni di carattere finanziario, stimolando l’attività privata ed evitando la realizzazione di infrastrutture ad hoc, secondo una programmazione e un disegno diretto di carattere pubblico (si pensi a come si è arrivati al villaggio olimpico e all’arena dell’hockey per Milano 2026). Si tratta di un modello certamente interessante e che ha prodotto in molti casi risultati utili anche all’interesse pubblico, ma siamo certi che nel lungo periodo sia vincente?

Tutti i giorni vediamo gli esiti dell’abbandono dell’economia reale a vantaggio di un approccio esclusivamente finanziario, anche per l’attuazione delle politiche di interesse nazionale. Pensiamo al tema del social housing e all’efficacia dei piani pluriennali del recente passato rispetto alla risposta che oggi riusciamo a dare attraverso il modello delle fondazioni e delle SGR. Oppure al tema energetico e della produzione industriale, che proprio in questi giorni stanno evidenziando tutti i loro limiti strutturali.

Il problema non è organizzare grandi eventi senza la necessità di nuovi interventi pubblici, ma capire come nella contemporaneità dovrebbero configurarsi gli interventi pubblici di accompagnamento e supporto ai grandi eventi. Viviamo oggi un momento particolare, in cui le risorse del PNRR hanno fatto rapidamente dimenticare la difficoltà cronica nel reperimento di fondi per le opere pubbliche, e quindi i grandi eventi sembrano meno significativi per concentrare le risorse pubbliche su interventi in grado di ripensare interi sistemi territoriali.

Certamente sarebbe sbagliato pensare le Olimpiadi del 2026 come occasione per potenziare l’infrastrutturazione grigia della città di Milano, ma perché non si è pensato invece di usare i Giochi per far fare un salto di scala alla città rispetto al tema della mobilità dolce? Perché non si sono chieste risorse per attuare interventi mitigativi non già delle infrastrutture necessarie per i Giochi, ma dei più ampi problemi quali climate change, sprechi energetici, scarsa accessibilità e qualità degli spazi e servizi pubblici (criticità che certamente impatteranno anche sui Giochi), dandosi come scadenza il 2026 così da perseguire la sostenibilità non dei Giochi, ma del territorio che li ospiterà?

È forse necessario un cambio di paradigma.

La sostenibilità non può essere temporizzata rispetto a un singolo evento, concentrato in un brevissimo arco temporale. Deve essere una sostenibilità di sistema, in grado di permanere oltre allo specifico evento, trasformando i costi innegabili in un vero investimento di lungo periodo.

Questo non significa immaginare un nuovo modello di infrastrutturazione antitetico alla presenza concentrata nello spazio e nel tempo di molte persone, ma richiedere nuovi modelli gestionali e organizzativi, spesso più dichiarati che reali. Le “nuove” visioni territoriali degli eventi non si sposano infatti con la capacità di innovare anche l’organizzazione stessa di queste manifestazioni, il cui modello appare sostanzialmente immutato rispetto al secolo scorso come ben confermato dalla recente esperienza di Dubai.

Esposizione nazionale del 1881 presso i giardini di Porta Venezia, vista da via Palestro.
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