UCTAT Newsletter n.36 – luglio 2021
di Maria Teresa Lucarelli [1]
Il concetto transizione circolare da qualche tempo sta entrando nel linguaggio corrente, anche con forza ispiratrice, a voler richiamare l’attenzione sull’urgenza di un nuovo modello di sviluppo, praticabile e risolutivo, con cui far fronte alla grave crisi del Pianeta.
Già dagli anni ’60 veniva denunciata da parte di scienziati ed intellettuali la necessità di una drastica riduzione del consumo di risorse ed energia, della produzione di rifiuti ed emissioni di gas climalteranti, dell’abuso e sfruttamento del suolo, per far fronte ai cambiamenti climatici e alla progressiva desertificazione. Niente che non sia noto ed evidente, come lo sono ormai la consapevolezza sulla reale gravità degli eventi e le difficoltà nel dare risposte adeguate che non possono più trovare soluzione nella retorica dei proclami e nei riferimenti ai massimi sistemi; né, tanto meno, nella complessità degli accordi internazionali, difficili da attuare perché non sempre vincolanti. Molteplici le strategie e le azioni promosse e avviate nel corso degli ultimi quarant’anni; poche però quelle concrete e veramente risolutive anche quando proposte da Paesi a economia avanzata, legati comunque alla logica del modello tradizionale dell’“estrarre, produrre, utilizzare e gettare”. Un modello lineare che caratterizza l’attuale “società liquida” e consumistica, richiamata più volte nei suoi scritti dal sociologo Zygmunt Bauman, non più consono a fronteggiare il crescente uso/abuso delle risorse.
L’auspicata transizione – intesa come trasformazione/cambiamento, diversamente aggettivata come economica, ecologica, ambientale e sintetizzabile con il termine “green” – contiene nel concetto di circolarità un principio profondo non più eludibile, legato a una nuova modalità di produzione e consumo che viene definito dall’UE come «….un sistema economico in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle altre risorse è mantenuto il più a lungo possibile, migliorandone l’uso efficiente nella produzione e nel consumo, così da ridurre l’impatto ambientale del loro uso, riducendo al minimo i rifiuti e il rilascio di sostanze pericolose in tutte le fasi del loro ciclo di vita, anche mediante l’applicazione della gerarchia dei rifiuti».
Questo è il principio su cui poggia il Green Deal Europeo che,attraverso il relativo Circular Economy Action Plan adottato nel marzo 2020, si prefigge un indirizzo innovativo e sostenibile alla propria economia per raggiungere la neutralità climaticaentro il 2050. Proposte concrete, da sviluppare in un arco temporale sicuramente non breve ma indispensabile per rendere attuabile il cambiamento.
Nella direzione prevista dal Green Deal per l’edilizia sostenibile, anche l’industria delle costruzioni – tra maggiori consumatori di risorse naturali e, conseguentemente, produttori di rifiuti e CO2 – parimenti a tutti i comparti produttivi direttamente e/o indirettamente interessati, è chiamata a una revisione del proprio modello di sviluppo industriale, innovando i processi, (dalla produzione alla trasformazione dello scarto) e modificando i prodotti stessi per un possibile ulteriore riutilizzo; in sostanza, l’avvio del recupero circolare di risorse materiche ed energetiche, contestualmente alla gestione del patrimonio edilizio esistente e/o alle realizzazioni ex novo.
Nella logica del cambiamento, il report della Commissione Europea “Circular Economy. Principles for Building Design” (EC, 2020), fornisce indicazioni per arrivare alla riduzione degli impatti degli edifici attraverso tre principi cardine: durabilità, adattabilità, riduzione dei rifiuti; principi che si basano sulla pianificazione, da un lato, ed estensione dall’altro, della loro vita utile facilitando l’uso circolare di elementi, componenti e parti da costruzione, con l’obiettivo di avviare un processo “cradle to cradle” (dalla culla alla culla) e, al tempo stesso, alimentando la catena di valore.
Nel nostro Paese come si colloca il settore delle costruzioni all’interno della transizione circolare?
Mentre in molti Paesi Europei, soprattutto del Nord Europa, sono stati fatti notevoli passi avanti attraverso l’adozione di un approccio green, in Italia, pur con interesse al tema e con volontà dichiarata da parte di diverse aziende a voler modificare il proprio modello industriale, rimangono molti scogli da superare: la discrasia normativa sui rifiuti da costruzione e demolizione, la resistenza culturale all’uso dei materiali di scarto come possibile materia seconda, la difficoltà a “pre-vedere” la disassemblabilità degli edifici, degli elementi e dei componenti, per un ulteriore riuso. Temi questi affrontati nell’ultimo meeting del Green Building Council (GBC) Italia – svoltosi a Milano nel 2021 in occasione della World Green Building Week – in cui l’economia circolare è stata al centro di interessanti riflessioni e confronti tra i rappresentanti del mondo dell’edilizia – costruttori, produttori di materie prime, progettisti e certificatori- consapevoli della necessità di un cambio di passo.
Pure il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR, in linea con le direttive e gli obiettivi europei e in sintonia con la politica industriale nazionale del Piano Transizione 4.0, (MISE 2020), principale pilastro del Recovery Fund (Next Generation EU), guarda con attenzione al modello di economia circolare da incentivare all’interno delle sei Missioni; in particolare nella Missione 2 titolata “Rivoluzione Verde e Transizione ecologica”, che rappresenta un grande occasione per l’industria delle costruzioni considerati i cospicui finanziamenti per l’efficentamento energetico e la riqualificazione degli edifici. Un’opportunità, dunque, per rivitalizzare il Settore e allo stesso tempo ripensare a nuovi modelli di sviluppo “circolare” del comparto.
Nella prospettiva descritta sarà, quindi, indispensabile rivedere gli attuali statuti che governano il Progetto di Architettura che deve assumere un ruolo chiave nell’adozione di nuovi approcci incentrati su una progettazione senza rifiuti e a basso impatto ambientale; sulla conservazione di materiali e prodotti in uso, prevedendone la valorizzazione; sulla rigenerazione degli edifici e dei sistemi antropizzati, migliorandone l’efficienza e la qualità (MacArthur Foundation, 2013). Una prospettiva che ponga al centro l’innovazione di progetto e, contestualmente, di prodotto in cui al cambiamento tecnologico si affianchi quello (complesso) culturale, indirizzato a una visione realmente sostenibile del futuro.
A conclusione di questa breve nota, si riporta un interessante passaggio contenuto nel già citato Circular Economy Action Plan, esplicativo del percorso verso la transizione circolare: “…. sarà sistemica, profonda e trasformativa, dentro e fuori dai confini dell’UE. Le sue conseguenze, a volte, saranno destabilizzanti ed è per questo che deve essere una transizione giusta, Saranno quindi necessari un allineamento e una cooperazione tra tutti i portatori d’interessi a tutti i livelli —unionale, nazionale, regionale e locale, e internazionale….”.

Riferimenti
- Bauman Z., (2008), Vita Liquida, Laterza Ed.
- European Commission (2020a) Circular Economy Principles for Building Design. Available at: https://ec.europa.eu/docsroom/documents/39984
- Circular Economy Action Plan. Available at: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52020DC0098
- MacArthur Foundation E. (2013). Towards the Circular Economy: Economic and Business Rationale for an Accelerated Transition Volume 1; Ellen MacArthur Foundation, Cowes, UK
- Ronchi E. (2017) Economia lineare ed economia circolare, quali le differenze. Available at: https://www.fondazionesvilupposostenibile.org/economia-lineare-economia-circolare-quali-differenze/
[1] Professore Ordinario di Tecnologia dell’Architettura, presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria.