UCTAT Newsletter n.39 – novembre 2021
di Andrea Tartaglia
Nel corso dei secoli l’umanità ha sempre indagato il rapporto tra la città di pietra e l’elemento naturale. L’apparentemente netta separazione tra naturale e artificiale è spesso stata “sfidata” anche con soluzioni di evidente artificializzazione della componete naturale. Il verde non era semplicemente una fonte di grande utilità legata al settore primario ma anche strumento principe per creare valori estetici e paesaggistici. Basti pensare ai così detti “giardini all’italiana” simbolo non solo di bellezza ma anche di ricchezza, potere e talvolta di benessere.
I giardini pensili di Babilonia rappresentano nell’immaginario collettivo probabilmente il primo e più noto esempio di architetture verdi ma molti sono gli esempi che si possono incontrare lungo i secoli. Ad esempio altrettanto noto, almeno tra architetti e urbanisti, è anche la formalizzazione della città giardino da parte di Ebenezer Howard in cui si cercava di fondere gli aspetti positivi della vita in città con tutti quegli aspetti che invece anche nell’Ottocento rendevano attrattivi i contesti rurali.
È evidente come le relazioni progettate tra città di pietra e natura sono state naturalmente molto diverse durante i secoli e ancora oggi non esiste una visione unica e condivisa applicabile in qualsiasi contesto.
Il verde, ancora di più oggi, viene usato non solo negli spazi aperti, ma anche sugli edifici, divenendo una soluzione tecnico costruttiva utilizzabile da paesaggisti, architetti del verde, progettisti architettonici.
Nell’ultimo ventennio abbiamo assistito ad uno sviluppo significativo di soluzioni per quello che normalmente viene chiamato anche verde tecnico, cioè di un verde che, attraverso soluzioni tecnico costruttive talvolta molto complesse, può essere applicato in diversi contesti e su diverse superfici garantendone anche la durabilità nel tempo.
Si tratta di uno sviluppo tecnologico importante e non scontato se pensiamo che nel 2015 per l’EXPO di Milano Israele aveva voluto caratterizzare il proprio padiglione proprio con l’uso del verde verticale attraverso una soluzione innovativa e attenta al consumo idrico con un sistema goccia a goccia che riduceva del 70% l’uso di acqua rispetto alle soluzioni allora più diffuse.
Ma il vero salto più che tecnico potremmo dire che negli ultimi anni è stato di carattere culturale. Infatti le motivazioni alla base dell’introduzione del verde nelle nostre città si sono rapidamente evolute quando abbiamo preso coscienza e iniziato a progettare il verde rispetto alla volontà di rigenerare, implementare, attivare i così detti SERVIZI ECOSISTEMICI. Si è colta infatti l’ampiezza dei benefici prodotti dal verde a vantaggio della qualità della vita degli esseri umani.
Per inciso, però, è importante ricordarci sempre che non è sufficiente usare il verde per mitigare se non interveniamo anche per ridurre e/o evitare a monte le negatività che il nostro modello di vita nel senso più ampio produce.
Tornando ai problemi e alle soluzioni, l’elemento caratterizzante le soluzioni basate sulla natura (NBS) e ancor di più il loro utilizzo all’interno di sistemi maggiormente articolati nella forma di infrastrutture verdi e blu (GBI) è la multifunzionalità. La possibilità cioè, attraverso un’unica soluzione (se correttamente progettata ed eseguita) di rispondere a più problemi. Solo in questa logica infatti si può comprendere l’utilità e le opportunità legate alle NBS. Infatti, se dovessimo invece affrontare le problematiche in modo settoriale, certamente esistono soluzioni non NBS o artificiali che indubbiamente in termini assoluti sono in grado di fornire prestazioni migliori rispetto alla risposta che forniscono le NBS. SI devono però considerare i possibili impatti negativi che magari tali soluzioni “artificiali” producono rispetto ad altri problemi o criticità. Si pensi come esempio agli impianti per estrarre la CO2 dall’atmosfera, o le vernici con un alto albedo – capacità di riflettenza rispetto al fenomeno dell’isola di calore urbana; impianti e vernici che però devono essere “prodotte” e poi smaltiti a fine vita con impatti certamente diversi rispetto a materiali naturali.
La realtà tuttavia è più complessa e articolata e fenomeni, scelte, impatti e benefici si intrecciano rendendo, almeno a mio parere, necessario l’utilizzo di un approccio sistemico per intervenire sull’ambiente costruito. Approccio che consideri la complessità sia nei problemi che nelle soluzioni.
In questo senso le soluzioni basate sulla natura hanno il vantaggio, se ben utilizzate, di portare vantaggi molteplici ad ampio spettro intervenendo non solo sui problemi ma anche permettendo di migliorare la qualità della vita nel suo significato più ampio.
Per questa ragione da anni l’UE sta spingendo verso un uso sempre più diffuso e massivo di queste soluzioni / tecnologie così da rispondere a problemi pressanti con modalità che dovrebbero anche favorire una maggiore capacità di adattamento e resilienza dei sistemi urbani e anche spingendo settori dell’economia in cui è più facile adottare modelli di economia circolare.
Tuttavia, come ha messo in evidenza l’arguto e provocatorio approccio artistico di Ugo La Pietra in una serie di lavori raccolti sotto il titolo di “Il verde risolve” (2013-2015), non poche sono le contraddizioni riscontrabili nella visione mainstream di una rinnovata e pervasiva presenza della natura in città. Prima tra tutte quella che riduce la complessità del progetto ambientale a interventi di mero greenwashing e green marketing; un fenomeno così diffuso da essere ormai oggetto di studio e dibattito anche in ambito scientifico (sì, esistono convegni scientifici in cui si discute del greenwashing nella ricerca scientifica e naturalmente anche nella società).
Ma le scelte non pensate e verificate alle diverse scale possono comportare ricadute quali un nuovo consumo di suolo, a fronte di un immenso patrimonio costruito che continua a permanere in stato di abbandono e degrado, uso di risorse e emissioni non compensate dal nuovo verde, o semplicemente problemi manutentivi e gestionali (pensiamo alle tragedie spesso causate dal verde non mantenuto correttamente durante i fenomeni climatici estremi sempre più frequenti).
Un apprezzabile e sicuramente desiderabile viale alberato può infatti trasformarsi se non correttamente gestito in elemento di grande pericolosità. Oppure, attraverso una verifica con strumenti scientifici potremmo accorgerci che in alcuni casi di canyon urbano (strade delimitate da cortine continue di edifici sui due lati che in sezione assumono la conformazione di un canyon) , la presenza di verde potrebbe ridurre i flussi d’aria abbassando la qualità dell’aria di chi cammina lungo i marciapiedi.
Questo solo per segnalare che stiamo parlando di tecniche la cui applicazione può essere di successo o fallimentare a seconda di come vengono progettate e poi gestite.
Tetti e facciate verdi, sistemi di raccolta delle acque piovane e di ritenzione (bioretention systems), bacini di infiltrazione, tree pits e interventi di forestazione urbana, biobacini, bioswales, pavimentazioni permeabili sono le “nuove” soluzioni tecniche ed elementi costruttivi ad uso del progetto per un verde funzionale a rispondere alle esigenze della società contemporanea.
Nel contesto milanese le ricorrenti inondazioni nel nord Milano e le isole di calore con problemi per la salute e la vivibilità, si sommano al noto problema degli inquinanti aerei, tra cui i gas serra che contribuiscono ad accentuare i fenomeni del cambiamento climatico. Molti di questi fenomeni, pur favoriti dal particolare contesto geomorfologico, sono certamente legati agli stili di vita e ai caratteri della struttura urbana.
I cambiamenti climatici con le relative conseguenze in termini di criticità idrogeologiche, di isole di calore, di inquinamento dell’aria e delle acque, possono però oggi essere gestite con soluzioni multifunzionali basate su elementi naturali e/o parzialmente naturali in grado anche di favorire la biodiversità, il benessere psicofisico e più in generale la qualità della vita.
In questo senso il progetto degli spazi aperti con l’uso del verde, nelle mani di tecnici capaci, non si limita più a essere una “forma d’arte”, ma l’elemento naturale diventa una alternativa tecnica a sistemi tradizionali consentendo di integrare entro una visione organica il progetto di trasformazione e gestione delle componenti ambientali, paesaggistiche e socioeconomiche in una prospettiva di incremento della resilienza urbana.
La partecipazione di Milano al network C40 Cities Climate Leadership Group, la creazione di una Direzione dedicata al progetto Città resilienti, il bando Reinventing cities per favorire la realizzazione di nuovi modelli edilizi sostenibili sono tutte azioni importanti. Tuttavia non è sufficiente. È necessario infatti aumentare la qualità nell’intervento puntuale. In una realtà critica come quella milanese non è solo importante quanti alberi si piantano ma è forse ancor più importante dove e come si piantano cercando di amplificare gli effetti multifunzionali delle NBS. Per fare ciò diventa quindi fondamentale supportare le scelte con strumenti predittivi circa gli impatti degli interventi.
