La Commissione del Paesaggio

UCTAT Newsletter n.32 – marzo 2021

di Carlo Lolla

Ho letto in questi giorni un piacevole articolo di Luca Barabino (leader in comunicazione d’impresa) in risposta ad un altro piacevole articolo della scrittrice Federica Bosco, la quale raccontava le sue difficoltà del vivere a Milano, dopo sette anni di permanenza. Barabino invece ha voluto spiegare alla Bosco il perché Milano è la città dove vivere. Il suo, da trentennale genovese residente nella nostra città, è stato un intervento accorato su Milano, elencandone tutte le qualità sia vecchie che nuove di avanguardia e di tendenza di stili di vita, di architettura e di ripensamenti del paesaggio urbano, unico al mondo. Ecco qui lui si sofferma solamente sul centro storico. Descrive e ricorda tutte la archistar (De Lucchi, Boeri, Harzog, Ara Associati) che pervadono e ricostruiscono la grande Milano con progetti di architettura e habitat che il mondo ci invidia. Esaltando giunte politiche diverse, ma unite nell’intento di una Milano più sociale, solidale, aperta, innovativa.

Il Barabino, con questa sua personale narrazione, credo abbia voluto far ricredere la Bosco nel non lasciare Milano. E questo ci sta.

Ma anche se Barabino sono trant’anni che vive a Milano, avrebbe dovuto raccontare non solo l’ambiente radical chic esistente nel fazzoletto del centro storico, ma la reale Milano fatta anche delle periferie e di una stasi del cambiamento poco preveggente, anzi in certo qual modo retrogrado.

Le ultime due giunte (Pisapia e Sala) sono vissute su progetti urbanistici e architettonici degli Albertini, della Moratti (ricordiamoci ancora dell’Expo), trovandosi praticamente un programma, di scelte e comportamenti, già fatto che richiedeva la sola loro attuazione.

Null’altro è stato pensato, tranne trattare con le FFSS sugli scali ferroviari lasciando a loro, generalmente, come e cosa si sarebbe dovuto determinare, realizzare, confezionare; poi si è pensato creare nuove piste ciclabili, quasi in mezzo alle strade, con uno stravolgimento del piano trasporti vergognoso, scellerato e orribile; in più hanno importato dall’estero e trasferito sul manto della strada e dei marciapiedi l’“architettura tattica”. Se il pensiero politico e visionario della prossima giunta percorrerà tali filosofie concettuali, penso e credo che, senza stupirmi, avremo un’urbanistica e architettura disorganica.

Quando abbiamo circa 600 pagine che illustrano il Piano del Governo del Territorio, 150 articoli del Regolamento Edilizio oltre a tutti gli altri regolamenti o leggi che conducono per mano il professionista ad espletare un suo progetto sul quale egli studia per mesi come renderlo il più possibile piacevole, garbato e pratico, c’è da mettersi le mani nei capelli. Sopra tutto quando deve passare tra le forche caudine della Commissione del Paesaggio.

Una Commissione del Paesaggio, composta da laureati chi in architettura, chi in ingegneria e altro dovrebbe conoscere bene quale è la loro mansione e funzione. Essa deve dare un parere, mai vincolante (chissà perché), su qualsiasi opera sia essa urbanistica che architettonica. Ma a constatare quello che passa, a volte ci si domanda se il loro contributo sia apprezzabile o criticabile.

L’amministrazione comunale nel volgere di questi ultimi anni pare che si sia interessata solamente all’area C, al centro storico, all’eliminare le auto senza sostituire un servizio adeguato per il cittadino ed altro. Sorge spontanea l’idea ossessiva o la moda del “green”, senza pensare alla bellezza, all’armonia. E si pensa poco alle periferie, a suggerire nel farle diventare centri di aggregazione, di socialità, di partecipazione. Nuovi centri che si propongono e si orientano, quale cintura di collegamento esterna della città, ovvero all’area Metropolitana.  Non c’è attenzione, o scarsa, da parte dell’urbanistica e della Commissione del Paesaggio nel non creare “ecomostri”, come purtroppo avviene. C’è da gridare al “J’accuse!”, a questa indifferenza visiva, disarmonica, sconveniente e di bruttura.

Ogni progetto è l’incontro di due anime quella del luogo e quella dell’uomo. Ciò che facciamo oggi e che abbiamo fatto nel passato dovrà essere presente nel nostro futuro. Quando Renzo Piano afferma che una città nasce da un groviglio di monumenti e di infrastrutture, cultura e mercato, storia nazionale e storia quotidiana, ciò dovrebbe far parte dello scibile della Commissione.

A volte non c’è attenzione nel guardare i progetti. A volte non si domandano perché vi sia un eccesso di volumetria in un’area grande come un fazzoletto. A volte non si rendono conto se il progetto si inserisce nel contesto, nell’intorno. Dubito che ci sia attenzione nell’osservare il progetto architettonico. Men che meno si pone attenzione nei progetti periferici. Non vorrei che il pensiero della Commissione interpreti la periferia come area degradata e pertanto sorvola. Sarà così?

Installare un’opera architettonica in uno spazio vuoto, che mette in scena l’evento, è il punto di partenza di chi dovrebbe interpretare il tema espositivo come punto di comunicazione e di supporto da inserire in un contesto architettonico che non sia di disorientamento, ma di relazione di tipo dialettico con lo spazio.

Un percorso coerente e scientifico deve convivere in termini assoluti con lo spazio, nel considerare che il sistema architettonico ed ambientale è il suo inizio. Mi rendo conto che non è semplice esprimere pareri su opere sia esse di urbanizzazione, morfologiche sia edificatorie se non si ha una cultura percettiva, sensoriale oserei dire artistica. Non servono lauree, diplomi per valutare, ritenere, osservare e reputare; esse servono solamente per le conoscenze di base. Ciò che conta è l’immaginare una scenografia teatrale, dove collochi un vaso o una serie di fotografie sui mobili del soggiorno, o su quale parete appendere quel quadro, ove il tutto sia comprensione dei sensi.

Ogni opera dovrebbe apparire come un giardino giapponese. La ricerca di una relazione dinamica con lo spazio è la chiave nel far parte di un progetto. A volte sono più importanti gli ambienti, i buchi, i tagli, ovvero il vuoto, elemento attraverso il quale si attua il rinnovamento dell’arte.

Milano non deve pensare solo a sé stessa, essa deve impegnarsi come guida anche per l’Area Metropolitana. Se c’è la volontà di interagire tra città e periferia inurbana, si deve pensare dapprima a rendere gradevole le nostre periferie.

Già nella città esistono una pluralità di elementi che concorrono ad abbruttire l’occhio, come le aree dismesse, giardini o palchi incolti se poi contribuiamo ad appesantire di altre porcherie, col bene placito dei comitati, rappresentanti e funzionari preposti, compresi quelli periferici, sortiremo delle nefandezze. Le disonoranti brutture sono indelebili.

Giorgio Armani invoca la bellezza come la chiave della vita.

Lucio Fontana definiva che: “L’architettura è volume, base, altezza, profondità, contenuta nello spazio. La quarta dimensione ideale dell’architettura è l’Arte”.

La cultura è una produzione di saperi e conoscenze. Se non si ha la mente che percepisce la trasformazione del pensiero in architettura scultorea dello stesso, comprenderne il legame armonioso, adattandosi contemporaneamente nella variabilità della forma con la sensibilità dello sguardo, è bene tralasciare quell’incarico onde evitare giudizi sgradevoli.

L’architettura deve fluire nell’armonia in un perfetto mosaico, nella severità del ritmo musicale alla ricerca delle tante qualità nel raccordo del pensiero.

Nuovo intervento a Milano.
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