UCTAT Newsletter n.29 – dicembre 2020
di Carlo Lolla
Ripensando al viaggio in Giappone così intenso e frenetico, col quale ho potuto visitare, osservare e notare alcune eccellenze che la mente ha fotografato, impresso e decodificato, un Paese con la sua storia millenaria, affascinante nella sua natura, la sensibilità di un popolo del quale la cultura e l’arte sono le protagoniste naturali dei suoi musei, ma soprattutto dell’ambiente. Del verde innanzi tutto!
Un verde che contemplandolo da vicino ci si rende conto che è un colore così ricco di sfumature, così delicato nelle sue infinite tonalità, poiché è più acquoso o sbiadito in confronto al verde d’Europa.
Ma per non essere tacciato di esterofilia anche il nostro verde europeo ha una sua sensibilità in base al clima suggestivo, all’ambiente naturale dei suoi colori, dei paesaggi, dei giardini all’italiana, alla francese, il paesaggismo dei prati all’inglese e delle loro essenze. Così furono i giardini rinomati di Tolomeo ad Alessandria d’Egitto, così come l’arte del giardino nato nel XIII secolo in Languedoc e nell’Ile de France, quelli moreschi di Spagna (l’Alhambra), nonché la tradizione dei giardini luculliani importati a Roma, quelli visibili a villa Adriana a Tivoli (117-138), sino ad arrivare ai giorni nostri con la Land Art inserita nella disciplina urbanistica.
I parchi, i giardini in Italia hanno dato armonia, grazia ed esaltato storie di ville, palazzi, castelli sin dal Medioevo ai giorni nostri. Chi non ricorda il giardino di villa Medici a Petraia, il Giardino di Boboli a Firenze, il Giardino di palazzo Giusti a Verona e sempre a Tivoli: villa d’Este (patrimonio dell’umanità Unesco).
Anche Milano ha le sue eccellenze. Come parchi ricordiamo i Giardini Pubblici (Indro Montanelli), inaugurati nel 1784 sotto l’amministrazione asburgica, il Parco Sempione, l’Orto botanico di Brera, il Giardino della Guastalla, il Giardino di Villa Belgiojoso Bonaparte (Leopoldo Pollack – 1790) conosciuto anche come Giardino di Villa Reale, un giardino all’inglese…
Villa Reale o Belgiojoso Bonaparte ci collega ad un’altra villa che risiede in quel di Affori. Si tratta di Villa Litta Modignani per la quale è bene un cenno di storia.
Nel 1686 viene assegnato al marchese Pier Paolo Corbella il Feudo di Affori, dal conte Antonio Rossi di Parma, di cui le proprietà terriere, fondiarie e successivi acquisti del feudo ammontano a circa 1.577mila mq. Nel 1687 il neo feudatario fece costruire una lussuosa villa di delizia, immersa in giardini all’italiana, nei pressi della ricca dimora trecentesca dell’arcivescovo di Milano Giovanni Visconti, lo stesso che rimodernò e fece decorare l’Arcivescovado milanese di via delle Ore, quando il duomo visconteo non era ancora iniziato.
Dai Corbella la villa passò ai D’Adda, poi a Girolamo Isidoro Trivulzio e Vittoria dei Gherardini, genitori della principessa Cristina, patriota risorgimentale (1808 – 1871), andata in sposa ad Emilio Barbiano di Belgiojoso a soli sedici anni.
Il recupero di una edicola votiva, datata 1450, completamente restaurata, la cui effige in terracotta è da ascriversi alla bottega dei Solari di Carona, è stata murata nel 1803 sul lato esterno orientale della barchessa in via Cialdini. La “Madonna col bambino” fu li murata per volontà di Teresa Litta Gherardini; testimonianza è l’epigrafe su lapide in marmo bianco, della figlia Teresa, a ricordare e a unire insieme il gesto di devozione della madre e la filiale riconoscenza riflesse nell’immagine sacra.
In quel periodo Girolamo Trivulzio organizzò un circolo di letterati e intellettuali tra cui spiccano il Manzoni, Francesco Hayez, Giuseppe Molteni e il conte Ercole Silva personaggio di spicco della Milano illuminista, architetto di giardini all’inglese. Tutti frequentatori di Villa Litta Modignani.
Il conte Silva con la collaborazione di Luigi Villoresi contribuì con Pollack per l’allora Villa Belgiojoso Bonaparte (oggi Villa Reale) e, in seguito, alla sistemazione del parco di villa Litta Modignani trasformando i giardini originali all’italiana a giardini all’inglese. Niente più simmetrie di vialetti e labirinti, ma ampi prati alternati a fitti boschetti, sentieri serpeggianti e irregolari. Fioriture sparse tra le moltitudini di scorci visuali sempre diversi.
Il Parco di Villa Litta è il più antico tra quelli esistenti in Milano, realizzato nella vasta area agricola a nord della città. Nel ‘700 l’ingresso alla nobile residenza, fu eretto un grande e maestoso portale scolpito in pietra in stile egizio, costituito da due obelischi, due sfingi, due vasi in pietra tutti posti su grandi basamenti: detto “I Sirenei”.
Nel parco si alternano grandi e ampie aree a prato libero con zone ombrose costituite da alte e folte alberature da cui spiccano maestosi platani centenari che risalgono sia prima che dopo l’epoca napoleonica. Platani che ritroviamo anche in altri parchi storici come i Giardini della Guastalla, del Parco Sempione. Le essenze e specie arboree presentano diverse varietà di acero (campestre, americano, giapponese), il bagolaro, il carpino bianco, noce nero, il ciliegio, la robinia, il pioppo gatterino, lo spino di Giuda, il tiglio americano, la sofora giapponese, il cedro dell’atlante, il pino dell’Himalaya, l’abete rosso, il gelso bianco da carta una rarità botanica, il faggio piangente e tante altre essenze.
Purtroppo la maggior parte dei platani di villa Litta sono morti combattendo negli ultimi anni un male così detto “il cancro colorato del Platano”; un fungo arrivato dall’America durante la Seconda Guerra Mondiale attraverso il legno delle casse di munizioni. Uno di questi platani è stato abbattuto nel 2015, per questo morbo, e dal suo magnifico tronco ne è stata conservata una sezione. Sezione, che si trova all’interno della Sala matrimoni, sopra nominata “El Rondelun” che ha permesso di datare con certezza l’epoca della sua piantumazione 1773. Più di 240 anni.
Questa rondella del peso di circa sei quintali e quasi due metri di diametro, conserva a propria testimonianza con un pannello esplicativo con la cronistoria degli eventi più salienti della storia d’Italia. Un altro Platano monumentale, simbolo di Affori, chiamato semplicemente “la Pianta”, si erge superbo in via Astesani angolo viale Affori e la leggenda racconta che sia stato piantato in onore di una nobildonna milanese per cui Napoleone aveva perso la testa.
Milano nei prossimi anni aumenterà il suo verde cittadino, basti pensare al recupero dei soli Scali ferroviari, e della loro progettualità si dovrà tener conto della storia passata, ma anche dovrà essere pensata tenendo conto dell’inserimento delle grandi infrastrutture, superando i propri confini di stretta pertinenza: la scala macro-territoriale costituisce la cornice nella quale l’intervento si inserisce, la scala micro-urbana invece si pone come quadro di riferimento determinante per la qualità sia dei suoi servizi che della sua immagine.
Perciò l’architettura territoriale all’interno del sistema urbano-territoriale segna il passaggio tra struttura “chiusa” ed esigenza di renderla fruibile, quale elemento di connessione di qualità, in grado di formare una trama forte riconoscibile, in stretta relazione con le nuove costruzioni, con la vita quotidiana, con la qualità del “nuovo” paesaggio come bene culturale e sociale.
Ci si augura che le nuove architetture territoriali tengano conto che la riqualificazione del paesaggio sono legate alla sostenibilità di tre valori: mobilità, energia e naturalità.
Riferimenti:
Andreas Kipar – Architetture del paesaggio
Aldo Castellano, Giulio Crespi, Luisa Toeschi (a cura di) – Il Verde a Milano


