La rigenerazione dei quartieri ERP e cicli di vita del territorio peri-urbano di Napoli

UCTAT Newsletter n.43 – marzo 2022

di Marina Rigillo e Anna Attademo

Il successo dei principi dell’economia circolare ha determinato un importante ripensamento del territorio urbano, portando l’attenzione ai processi di tipo metabolico che caratterizzano la sua trasformazione. Un focus speciale è stato posto sugli spazi del peri-urbano, considerati come il terreno di sfida per sperimentare nuovi modi di abitare e nuove relazioni tra la città e l’ambiente rurale (Perrone & Russo, 2019). In particolare si riconoscono, all’interno dei territori del peri-urbano, condizioni di frammentazione funzionale ed ecosistemica, caratteristiche di un paesaggio che non è più espressione dell’equilibrio uomo – natura ma “scarto”, che la letteratura ha formalizzato con la parola drosscape. Introdotto da Alan Berger (2006), il termine descrive quei luoghi della periferia americana pensati già ab origine come territori di risulta, tipicamente ascrivibili alla società post-industriale, nati per essere consumati secondo le esigenze di sviluppo capitalistico dello spazio urbanizzato e, in quanto tali, «not a space of places, but a space of flows» (Castells, 1989).

E proprio perché è spazio interfaccia di flussi e spazio di scarto, il territorio del peri-urbano diventa oggetto della ricerca “Eco-Regen – Economie Circolari e Rigenerazione dei Territori PeriUrbani” finanziata dall’Ateneo Federico II quale spin-off del progetto H2020 “REPAiR- REsource Management in Peri-urban AReas: Going Beyond Urban Metabolism”. Lo studio sviluppa alcuni dei temi chiave del progetto Horizon, segnatamente quelli relativi al controllo dei cicli di vita dei rifiuti da Costruzione e Demolizione (CDW), che vengono associati allo stock edilizio esistente, sia quando in stato di rudere, sia quando in condizioni di non efficienza abitativa e funzionale.

Obiettivo della ricerca Eco_Regen è infatti portare all’attenzione della comunità scientifica i territori di scarto come descritti da Alan Berger, per poi ulteriormente specializzarla nel concetto di wastescape (Amenta ed Attademo, 2016) che, anche in coerenza con i risultati della ricerca REPAiR, viene declinato attraverso una tassonomia originale degli spazi di rifiuto. In tale accezione, i wastescape si aggiungono alle tipologie già acquisiti nelle prassi consolidate della gestione degli scarti, per rivendicare la necessità di integrazione tra ambiente costruito, ambiente naturale ed abitanti, tenendo insieme attraverso forme inedite di collaborazione le conoscenze settoriali e le scale di progettazione (Rigillo, Formato, Russo, 2020).

In particolare, i wastescape sono identificati da una tassonomia dei luoghi dello scarto che include aree dismesse e abbandonate, siti inquinati, reti e impianti territoriali a forte impatto ambientale; vestigia di barbarie contemporanee, che la collettività rifiuta e allontana secondo un meccanismo innato, e non razionale, che vuole questi luoghi Not In My Back Yard (Rigillo, 2017). Ma i wastescape sono anche i luoghi per impreviste occasioni di rinascita: una risorsa di capitale biologico e minerale attraverso cui attivare modelli di economia circolare per una città resource-efficient (Cerreta et al. 2019). I wastescape, infine, sono anche e soprattutto spazi da restituire a comunità implicitamente scartate, confinate ai margini della città in un isolamento fisico e culturale, che nega il diritto di sviluppare processi democratici per l’abitare.

Sulla base di tali premesse, la ricerca Eco-Regen prova a progettare i luoghi del peri-urbano portando l’attenzione alla relazione tra usi, risorse e valori che caratterizzano ciascuna tipologia di wastescape.  Questo approccio ha condotto alla costruzione di un database di mappatura e schedatura di tutte le aree di wastescape, in cui un processo rigenerativo potrebbe rilanciare complessivamente le forme dell’abitare in questi territori (fig.1).

Con questo fine, sono stati definiti alcuni interventi catalizzatori, preliminarmente individuati nella rigenerazione dei quartieri di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP), che vengono strutturati secondo una logica di public engagement tesa ad avvicinare istituzioni e territorio, e per restituire centralità alle intenzioni di popolazioni economicamente svantaggiate ma non per questo prive di desideri e speranze.

Dopo la Seconda guerra mondiale, nella città di Napoli inizia un processo di urbanizzazione che coincide con una fase di espansione del nucleo storico centrale verso le aree periurbane. L’istituto INA CASA iniziò la costruzione di insediamenti monofunzionali (detti “rioni”): l’obiettivo della casa per tutti si accompagna a quello di responsabilità sociale e welfare esteso, individuando nelle istituzioni il soggetto cui compete il compito morale di migliorare le condizioni di vita delle nuove generazioni. 

A dover essere costruita è una struttura di equità sociale e spaziale nell’accesso ai servizi dei centri urbanizzati. Il cosiddetto “Piano Fanfani” (L. 43/1949), attraverso due settennati, si pone in una prospettiva di rilancio sociale ed economico del paese, supportando il settore delle costruzioni. In particolare nel secondo settennato, all’unità di vicinato del quartiere è dato un ruolo di controllo e di principio informatore della crescita urbana diffusa. Seguendo, come nel coevo modello inglese del County of London Plan e delle New Towns, principi insediativi di autonomia funzionale rispetto al tessuto preesistente, si cerca di costruire comunità, progettando ad integrazione dei tessuti residenziali tutto lo spazio del pubblico e ad uso pubblico.

Ma nonostante la buona qualità dei progetti, la quasi esclusiva presenza di famiglie a basso reddito e l’assenza di mixité funzionale ha determinato una graduale introversione e la conseguente creazione di microcosmi deprivati e isolati. Ulteriori normative nazionali (es. Legge 457/78, Legge 67/1962) o programmi di pianificazione (es. il Piano delle Periferie di Napoli del 1980, ma soprattutto il dispositivo combinato del Programma Straordinario per l’Edilizia Residenziale – PSER, 1981-86), hanno sì accelerato le procedure edilizie, ma hanno mancato l’opportunità di fornire strutture e spazi adeguati per trasformare un insieme delle collettività potesse trasformarsi in reali (com)unità di vicinato.

La città contemporanea sta attualmente affrontando l’eredità dei piani urbanistici del XX secolo, promuovendo il ruolo del design urbano nello sviluppo di misure di cura per il patrimonio spaziale e sociale.

La proposta di Eco_Regen disegna scenari per preservare la dimensione umana e valorizzarla, senza trascurare di rispondere alle sfide globali.

Fig. 1_ Sistema dei quartieri di Edilizia Residenziale Pubblica nel territorio peri-urbano di Napoli Est (Credits: ricerca Eco_Regen).

In questo senso, il progetto sulla “città pubblica” risponde all’idea di costruire spazio pubblico come paradigma di paesaggio operazionale. Uno spazio pubblico, ma anche una “macchina” che può fare da snodo di una rete di flussi e energia, che collega tra di loro gli edifici: risorse di un sistema che rimette in moto la vita del quartiere a partire da uno stock materiale e umano. A tale scopo, un riferimento importante per la ricerca è l’esperienza di Lucien Kroll per i quartieri ZUP di Béthoncourt, Belgio (1990-95) e su quelli tedeschi di Berlino-Hellersdorf (1995/98), entrambi oggetto di una sperimentazione pioneristica di riqualificazione urbana incentrata su azioni di sottrazione piuttosto che di addizione. In entrambi i casi, l’intervento si organizza attraverso una fase di ruderizzazione dell’edificio preesistente (Purini, 2001) a cui fa seguito la sua ri-scrittura architettonica secondo pratiche collaborative finalizzate a produrre un insieme di variazioni individuali dell’edificio, in grado di fornire nuove ragioni di identità al luogo ed ai suoi abitanti.

L’idea di lavorare secondo processi di sottrazione trova ragione anche nelle caratteristiche tecnologiche e costruttive tipiche dei programmi di edilizia residenziale pubblica, che consentono operazioni di demolizione selettiva anche grazie all’uso massiccio di elementi prefabbricati. In particolare, gli edifici di un complesso di ERP realizzato grazie ai fondi del PSER nel quartiere di San Giovanni a Teduccio nel Comune di Napoli (oggetto dell’intervento pilota della ricerca), denominato Rione Pazzigno, sono analizzati a partire dalla loro consistenza materica e dalle specificità del sistema edilizio, ipotizzando scenari di progetto coerenti con la rimessa in circolo del rifiuto da demolizione secondo processi circolari, orientati a predeterminare quantità e destinazione dei flussi, anche immaginando un riutilizzo degli stessi nell’ambito della nuova configurazione del quartiere (fig.2).

Da un punto di vista concettuale, questo sistema edificato è interpretato come risorsa minerale potenzialmente disponibile per produrre nuovi, artificiali orizzonti di suolo per il paesaggio costruito e per l’edificio stesso.  Il riferimento, in questo caso, è quello dell’Urban Mining, che rappresenta il più adeguato contesto culturale e operativo entro cui ricondurre «azioni per la gestione sistematica delle risorse antropogeniche (prodotti ed edifici) e rifiuti, in vista di obiettivi di protezione ambientale di lungo periodo, di tutela delle risorse rinnovabili e di vantaggio economico» (Cossu et al. 2012, pp. 13).

L’assunzione dei principi dell’Urban Mining all’interno del programma di rigenerazione dei quartieri ERP mira a ridurre il consumo di risorse rinnovabili e valorizza il riuso e il riciclo dei rifiuti inerti nell’ambito dell’intervento stesso. La rimessa in circolo del rifiuto consente infatti di capitalizzare l’investimento della risorsa suolo, già realizzato al momento della sua costruzione alla fine degli anni ’80, riutilizzando il rifiuto inerte per la progettazione di nuovi suoli artificiali evapotraspiranti in grado di produrre servizi ecosistemici alla scala di quartiere (roof garden, facciate verdi, aree verdi per gli spazi in-between del quartiere).

L’intervento di recupero dei quartieri ERP del peri-urbano si configura così non solo come occasione per restituire dignità e democrazia alla residenza pubblica, quant’anche come pratica innovativa e ambiziosa per contabilizzare i flussi da demolizione in una prospettiva di architettura “non estrattiva” coerente con gli obiettivi di circolarità e sostenibilità.

Fig.2_ Layout azioni di sottrazione e di rimessa in circolo dei flussi materici
(Credits: ricerca Eco_Regen).

Riconoscimenti: Si ringrazia il gruppo di ricerca Eco-Regen e segnatamente il Prof. Michelangelo Russo e la Prof.ssa Marella Santangelo per le immagini utilizzate nell’articolo

Riferimenti:

Amenta L., Attademo A., 2016. CIRCULAR WASTESCAPES. Waste as a resource for peri-urban landscapes planning. CRIOS Critica degli Ordinamenti Spaziali, vol. 12, pp. 79-88.

Berger, A. (2006) Drosscape. Wasting Land in Urban America, New York: Princeton Architectural Press, New York

Castells, M. (1989) The Informational City: Information Technology, Economic Restructuring, and the Urban-Regional Process, Basil Blackwell, Oxford, 1989

Cerreta, M., De Rosa, F., De Toro, P., Inglese, P., Iodice, S. (2019) “Da wastescape a risorsa: approcci multimetodologici per la rigenerazione dei paesaggi di scarto” BDC 19 (2) DOI: 10.6092/2284-4732/7272

Cossu R., Salieri V., Bisinella V. (2012), Urban Mining: a global cycle approach to resources recovery from solid waste, CISA Publisher, Padova

Perrone, C., Russo, M. (a cura di) (2019), Per una città sostenibile. Quattordici voci per un manifesto, Donzelli Editore, Napoli

Purini, F. (2001) “I crolli di Kroll”, Rassegna di Architettura e Urbanistica n.105, pp.6

Rigillo, M. (2017) “Note per un approccio cognitivo alla mappa dei drosscape” in Gasparrini C., Terracciano A. (a cura di) DROSSCITY. Metabolismo urbano, resilienza e progetto di riciclo dei drosscape, ListLab, Barcellona-Trento, pp. 69-81

Rigillo, M., Formato, E., Russo, M., (2020) “Short supply chain of waste flows: designing local networks for landscape regeneration”, Detritus 11 35

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