L’Avvento

UCTAT Newsletter n.40 – dicembre 2021

di Guido Nava

Stiamo vivendo un tempo difficile fatto di incertezza, ansia, paura (angoscia, mi verrebbe da dire) e abbiamo, chi più e chi meno, i nervi tesi a fior di pelle, perché il presente ci opprime e il futuro prossimo, ma anche più in là, è oscuro e non sappiamo come e quando usciremo da questa pandemia.

La nostra resistenza è messa a dura prova e siamo esposti al logoramento dell’anima e nonostante questo nostro comune sentire l’Avvento è arrivato…

In questi giorni di fine ottobre e inizio novembre, nei quali cerco di raccogliermi per scrivervi qualche riga, sono perlomeno perplesso, perché sono da poco arrivato a San Luigi, ho incominciato a condividere con voi l’Eucaristia domenicale, feriale e quella funebre (un momento alto e intenso per la missione di un parroco), a ascoltare e conoscere qualcuno di voi (dai ragazzi agli anziani) e mi chiedo come non scrivere parole inutili in questo tempo funesto per molti (se non per tutti). E cosa dire di non scontato circa l’Avvento che fiorisce nel Natale di Nostro Signore? Che facce, cuore e anima avremo nel prossimo Natale? Ci raggiungerà chiusi in casa come la Pasqua passata?

Come disse in uno spot pubblicitario Renato Pozzetto: “Il Natale, quando arriva arriva” – inesorabile e ineluttabile, ogni anno, basta avere la pazienza di attendere lo scorrere dei giorni e dei mesi, fino a quel fatidico 25 dicembre. A dirla tutta, anche se non abbiamo pazienza, arriva lo stesso: è un fatto. Nudo e crudo. C’è ancora tempo per il Natale, mentre l’Avvento è già qui.

Per questo ho rimirato per l’ennesima volta Il censimento di Betlemme (1566) di P. Brueghel, artista fiammingo di prima grandezza, che campeggia nella mia casa. L’opera, un olio su tavola, mi ha sempre affascinato. È un universo che ti avvolge e più lo guardo e cerco di entravi e più mi stupisco di quello che scopro: sembra una miniera inesauribile.

Il soggetto è noto: Giuseppe e Maria furono costretti a recarsi a Betlemme a causa del censimento (Lc 2, 1-5). Quasi non ci si accorge che al centro del quadro c’è un uomo che procede a fatica: la schiena curvata dalla sega che porta in spalla, alla cintura un succhiello (gli arnesi del mestiere), mentre trascina un asino, sul cui dorso è seduta una donna incinta. Sono Maria e Giuseppe. Un uomo e una donna, come tanti. Quasi invisibili in questa Betlemme descritta come un qualsiasi villaggio fiammingo risucchiato nella frenesia quotidiana di una fredda giornata invernale: un uomo sgozza un maiale e una donna ne raccoglie il sangue in una padella; una coppia di uomini è intenta a impagliare degli sgabelli, mentre un gallo e due galline beccano con tranquilla noncuranza davanti ad un carretto; si intuisce il vociare di coloro che, davanti alla locanda della Corona Verde, si fanno registrare e pagano le decime, come anche quello dei bimbi che giocano sullo stagno ghiacciato o si rotolano nelle neve, il crepitio del fuoco, il gracchiare dei corvi… e paradossalmente si sente il silenzio che avvolge e ottunde questa umanità e questa natura brulicante di vita.

Che cosa dice Brueghel intorno al Natale? Egli ritrae i giorni immediatamente precedenti la nascita del Cristo: è il tempo dell’attesa, della gravidanza, segno e pegno di un futuro che sorride, come un bimbo. Una speranza che non ha nulla di divino (sembrerebbe) e tutto di umano: questo è l’universo nel quale Brueghel ci immerge. Un mondo rigurgitante di umanità indaffaratissima e praticamente indifferente a quella vicenda, sconvolgente e meravigliosa per ogni uomo e per ogni donna, che è la nascita di un figlio. Eppure accade. Avviene che proprio in questo mondo, così simile al nostro, distratto e drammaticamente occupato da ben altro, una coppia di umani avanzi a fatica nella neve, in silenzio. Povero Cristo! Verrebbe da dire. In tutto simile a tanti poveri cristi che siamo noi in questi tempi – e a ben pensarci di ogni tempo.

Come non immaginare quanto simili ai nostri siano i pensieri e l’animo di Giuseppe in quel frangente? Procederà tutto bene? Troverò un alloggio adatto a una donna che deve partorire? Qualcuno ci aiuterà e accoglierà? Potrò fare qualche lavoretto per tirare a campare e non far mancare nulla al bimbo e a sua madre?  Di Giuseppe non si vede né intravvede il volto, mentre di Maria sì: è cosa intrigante… come se Brueghel in Giuseppe e Maria ci mostrasse le ombre e la luce che hanno casa in ogni uomo? O forse per timore e pudore non ha osato ritrarre il volto di un uomo gravato da pensieri neri? O forse… chi lo sa! Certamente ci da a pensare… come anche noi oggi siamo pensierosi in questo tempo dolente.

Beh, vi confesso che mi conforta questo inizio del tutto umano della venuta tra noi del Figlio di Dio: è un Dio che ci conosce e può capirci perché fin da subito ha vissuto la nostra comune vita di umani. Senza sconti né privilegi. Siamo solo all’inizio, è vero, la partita è appena iniziata e questo nostro Dio si presenta bene: fin dalla prima battuta ci fa già sperare in un buon risultato. Ma non corriamo troppo avanti: ora è il tempo dell’attesa e della speranza. È questo tempo che dobbiamo imparare a vivere e gustare. Con pazienza e fermezza, come quella di Giuseppe che, nonostante tutto, tiene e tira la cavezza dell’asino su cui sta Maria che ci guarda: è l’unico personaggio che ha il volto rivolto verso di noi…e il suo sguardo ci interpella.

Don Guido Nava – Parroco di San Luigi Gonzaga, Municipio 4.

Pieter Bruegel Il Vecchio, Il censimento a Betlemme, 1566 – Olio su tavola.
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