L’identità culturale di un luogo

UCTAT Newsletter n.38 – ottobre 2021

di Paolo Aina

Il nome della stazione della metropolitana dopo quella di Piazzale Corvetto è uno dei pochi nomi di fermata che non si riferisce a una via dal nome illustre, a una piazza, o a un vecchio paese alle porte di Milano.

Non esiste nessun porto e non esiste nessun mare, solo sul fondo della Pianura Padana, al di sotto dello strato geologico delle glaciazioni, vi sono i resti del mare Adriatico che penetrava fino alle Alpi.

Il riferimento è ad un progetto mai realizzato di acceso al mare con un canale navigabile che avrebbe fatto riaffiorare il ricordo del mare sepolto.

Sappiamo questo e sappiamo che non ve n’è traccia. Resta però il nome che da solo è evocativo di una libertà, di una possibilità di fuga, di una vista senza ostacoli.

Questa superficie è un residuato, un reliquato non ancora costruito tra un groviglio di strade, autostrade e ferrovie.

Proprio per questo è facilmente raggiungibile da ogni parte della città con i mezzi pubblici, dal resto del paese con i treni e da ancora più lontano con gli aerei che partono e atterrano a Linate, paradossalmente ciò che manca, nonostante il toponimo, sono le navi.

In effetti l’area non costruita legalmente che si scorge è molto vasta ed è stata adibita a discarica per alcuni anni, le analisi del terreno la danno comunque come risanata e in attesa di nuove/vecchie funzioni, di nuovi/vecchi edifici, di meraviglie costruttive che allontanino le attività illegali che si sono sviluppate in zona.

Attualmente si presenta come superficie lievemente ondulata con macchie di alberi sparse qua e là dove portare i cani o fare attività sportive.

L’edificazione è in buon parte abusiva; altri edifici ospitano una trattoria, un circolo sportivo, un centro giovanile, un maneggio, un’attività caritatevole.

La densità edilizia è sorprendentemente, pregevolmente bassa e potrebbe diminuire se venissero demolite le costruzioni abusive.

Una vasta superficie infine, forse è questo il mare del nome, che merita di conservare la sua vastità attraverso non il Masterplan che impazza nei luoghi dismessi degli scali ferroviari ma un Raumplan urbanistico non limitato alle viste ortogonali dall’alto ma che prenda in considerazione le sezioni, i movimenti terra, la formazione di piccoli rilievi, la sorpresa che può apparire dietro una curva di un edificio seminascosto tra gli alberi, una radura nel bosco fitto dove appare

«Quel cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace».

Vorrei delineare un luogo che seppur inserito nella città possa negarne le pietre e i mattoni, la velocità frenetica e l’aria cattiva, il caldo sfinente e il rumore sferragliante.

Un luogo “salvatico”, un luogo che salvi e permetta una vita meno artificiale, o meglio, una vita meno assediata dall’artificialità degli oggetti e dai bisogni continuamente cangianti.

Un luogo dove vi sia la possibilità di riflettere su di noi e nello stesso tempo uno spazio per “I piaceri del popolo” come venivano definiti i giardini pubblici all’inizio del ‘900.

Nel tempo le esigenze, diciamo così funzionali, cambiano e da estetiche si fanno più pratiche. I percorsi si adattano al passeggio ma vi sono anche runner e biciclette. Mi chiedo se in un eccesso di razionalità da primo della classe non valga la pena di stabilire percorsi differenziati o più semplicemente chiedere ai fruitori con gusti diversi una tolleranza reciproca.

In conclusione credo che le possibilità che stanno nascoste in questo luogo siano date proprio dalla sua residualità, dal suo presentarsi come un’oasi estesa alla fine di viali alberati delimitati da edifici imponenti.

Un posto escluso dalla rendita e quindi libero di sviluppare le numerose diversità soprattutto floristiche che l’ambiente della Pianura Padana ospita. Un’azione di questo tipo richiede tempo, quello che serve alla flora spontanea per crescere e prosperare, quello che si misura in anni e non in minuti giorni o mesi; dapprima si stabiliscano percorsi e dislivelli, si pianti qualche albero di grosse dimensioni per aver ombra d’estate in luoghi di sosta e si lasci poi che la vita spontanea si sviluppi indisturbata.

Parco della Vettabbia.
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