UCTAT Newsletter n.34 – maggio 2021
di Raffaella Riva
Il 25 maggio 2000 si inauguravano a Milano gli Stati Generali delle Periferie[1].
In quella occasione veniva presentato il progetto pilota di Renzo Piano, Ambasciatore Unesco per le Aree Urbane, per la riqualificazione del quartiere di Ponte Lambro. La proposta di Piano era quella di far dichiarare le periferie patrimonio dell’umanità. Una proposta sicuramente provocatoria fatta con l’intento di porre l’attenzione su quel patrimonio diffuso di edilizia residenziale pubblica, sorto principalmente dal secondo dopoguerra fino ai primi anni ‘80 che caratterizza la gran parte delle periferie italiane e che spesso è associato a forme di degrado urbano e edilizio, oltre che a fenomeni di abusivismo, microcriminalità ed emarginazione.
Ponte Lambro era preso come emblema della periferia milanese, per un disagio sociale spesso sulle prime pagine dei quotidiani, oltre che per la presenza di quattro stecche parallele di edilizia residenziale pubblica realizzate negli anni ‘70 in via Ucelli di Nemi e via Serrati, su progetto di Costantino Scoccimarro e fondi Gescal, 250 metri le due più lunghe ad ospitare 350 alloggi circa, decisamente fuori scala rispetto al contesto, con gravi problemi di degrado fisico degli edifici e degli spazi pubblici al piede.
Il progetto di Piano prevedeva la realizzazione di uno spazio al servizio della collettività, il Laboratorio di Quartiere Unesco, da collocarsi nella parte centrale delle due stecche più lunghe e all’interno di due strutture vetrate a ponte di collegamento tra gli edifici, realizzate attraverso lo svuotamento parziale in corrispondenza degli attacchi, con la volontà di riconnettere lo spazio pubblico e ospitare un incubatore attorno al quale ricostruire anche il tessuto sociale del quartiere.
A fronte dello stanziamento dichiarato durante l’inaugurazione di 7 miliardi di lire, dei quali 2 per la realizzazione del Laboratorio vero e proprio e i restanti 5 per il rifacimento degli edifici di proprietà Aler, il progetto Piano ha subito un forte ridimensionamento. I lavori avviati solo nel 2011 sono rimasti incompiuti per il fallimento dell’impresa appaltatrice. Nel dicembre 2018 un nuovo bando del Comune per il completamento dei lavori e la riassegnazione degli spazi per scopi sociali è andato sostanzialmente deserto, con la conseguenza che la struttura oggi versa in condizioni di abbandono e degrado e l’area all’intorno è resa inaccessibile per problemi di sicurezza. Una gestione fallimentare per un progetto forse troppo velleitario per dare risposta alle reali esigenze del quartiere. Quello che doveva rappresentare un centro di rinascita è diventato esse stesso elemento di degrado, e Ponte Lambro è ritornato nel suo limbo, nel suo essere terra di confine alla perenne ricerca di una identità perduta.
Identità perduta perché Ponte Lambro è un quartiere a est di Milano con una sua antica storia che in passato ha avuto una forte autonomia e connotazione identitaria, persa nel tempo forse per una scarsa attenzione da parte dell’Amministrazione nell’individuare e risolvere quelle criticità soprattutto infrastrutturali che hanno relegato il quartiere a diventare una enclave separata fisicamente dal resto della città dalla Tangenziale est. Un tempo comune con Monserchio, poi aggregato a Linate e in parte anche accorpato a San Donato, Ponte Lambro nasce come borgo contadino. Successivamente al suo intorno sono sorti consistenti insediamenti industriali e terziari, fino alla realizzazione della tangenziale che ha determinato una netta cesura con la città, dando avvio a un progressivo processo di degrado di un luogo dall’originaria valenza ambientale, data dalla presenza del fiume Lambro e da ampi spazi verdi naturali o agricoli lungo il suo corso. Problemi per certi versi simili anche ai vicini quartieri Forlanini, Taliedo, Monserchio e Santa Giulia, separati dalla città dalla linea ferroviaria, e che, con Ponte Lambro rappresentano ancora oggi una risorsa strategica per lo sviluppo verso sud-est di Milano come Città metropolitana, avendo al loro interno diverse potenzialità, ma anche contraddizioni, di fatto ignorate da una seria pianificazione urbana.
Negli anni su Ponte Lambro si sono susseguiti diversi interventi e proposte progettuali.
Nel 1984 veniva chiusa la scuola media per collocarvi al suo interno l’aula bunker, destinata a ospitare i processi di mafia del Tribunale di Milano.
Nel 2002 con lo studio di fattibilità per la costituzione di una Società di Trasformazione Urbana tra Comune di Milano, Aler, Comune di Peschiera Borromeo e Comune di San Donato, veniva presentato il progetto di ampliamento dell’edificato verso sud-ovest, per riconnetterlo con Santa Giulia, con la previsione di un insediamento di 6-7.000 nuovi abitanti, contro i 4.000 che si contano oggi.
Nel 2005 è stato finanziato il Contratto di Quartiere “Muovere Ponte Lambro”, per una riqualificazione urbana e sociale dell’area, con l’attivazione di laboratori di quartiere al fine di accompagnare la popolazione durante i lavori, interventi di adeguamento degli edifici di edilizia residenziale pubblica, azioni rivolte alle fasce deboli della popolazione, sicurezza, formazione, integrazione, occupazione lavorativa.
Proposte per la maggior parte rimaste solo sulla carta o incompiute, lasciando sul territorio ferite ancora aperte, con edifici abbandonati, spesso pericolanti, che per le caratteristiche tipologiche e tecnologiche, poco o nulla si prestano a un riuso, quand’anche ci fosse una volontà pubblica chiara di recuperare questi paesaggi degradati, volontà che al momento sembra mancare. E così ad esempio ci sono voluti oltre vent’anni per la demolizione dell’albergo mai terminato per i Mondiali di Italia 90, al limite nord del quartiere, restituendo ai cittadini un’area verde.
Eppure Ponte Lambro ha ancora molto da dire. Dal punto di vista dell’impianto, sono ancora visibili tracce del passato agricolo dell’area, e ci sono pregevoli manufatti, quali ad esempio la bella chiesa del Sacro Cuore, insignita del Premio IN/ARCH, opera dei primi anni anni ‘60 di Guido Maffezzoli, all’epoca assistente di Vittoriano Viganò al Politecnico.
Da un punto di vista funzionale si ha l’eccellenza del Centro cardiologico Monzino, inaugurato nel 1981 per la cura delle malattie cardio-vascolari e sede dell’Istituto di Cardiologia dell’Università Statale, riconosciuto a livello europeo. Eccellenza che purtroppo non sembra dialogare con il contesto, ma vive autonomamente come “isola” autosufficiente.
Anche dal punto di vista sociale ci sono diverse associazioni da tempo attive nel quartiere. E diversi sono ancora gli interventi sociali finanziati. Basti fare riferimento forse al più recente, “Ponti per Ponte”, la rete di quartiere attivata nel 2018 nell’ambito del progetto Ricetta QuBì[2] per sostenere le famiglie con minori in situazioni di povertà.
Ecco allora che anche alla vigilia delle elezioni amministrative è importante riflettere su quali serie prospettive di sviluppo si vogliono offrire a quella città dimenticata che ancora aspetta di essere riconnessa al centro cittadino.
[1] Il gruppo di lavoro per l’organizzazione degli Stati Generali delle Periferie ha visto la partecipazione dell’Assessore alle Periferie Paolo Del Debbio (coordinatore), il Vicesindaco Riccardo De Corato, gli Assessori Salvatore Carrubba (Cultura), Maurizio Lupi (Sviluppo del Territorio), Sergio Scalpelli (Sport), Girolamo Sirchia (Servizi Sociali), Domenico Zampaglione (Ambiente), il Presidente del Consiglio Comunale Giovanni Marra e il Direttore Generale Stefano Parisi. L’obiettivo degli Stati Generali era quello di fare il punto sullo stato delle periferie milanesi, mettendo in luce i bisogni dell’utenza e le necessità di intervento, declinate per ciascuna area.
[2] Ricetta QuBì è un progetto avviato nel 2018 da Fondazione Cariplo con il sostegno di Fondazione Vismara, Intesa Sanpaolo, Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi, Fondazione Fiera Milano e Fondazione Snam. L’obiettivo è quello di promuovere la costituzione di “reti di quartiere” tra parrocchie, cooperative sociali, associazioni del territorio e assistenti sociali del Comune di Milano, con l’obiettivo di contrastare la povertà infantile. Ad oggi sono attive 23 realtà in altrettanti quartieri della città.

